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18/04/24

Venezia 2016: El Ciudadano Ilustre conquista il pubblico e la critica. Deludente Sorrentino e il suo The Young Pope


Categoria: CINEMA
Pubblicato Martedì, 06 Settembre 2016 12:28

di Vincenzo Basile 

 

L’attesa era tutta per la prima mondiale di "The Young Pope", la serie tv girata da Paolo Sorrentino con Jude Law protagonista e prodotta da  SKY, HBO e Canal +.L'anteprima stampa dei primi due episodi ha invece suscitato reazioni contrastanti ma nessun entusiasmo. Il migliore è apparso senza dubbio l’attore Silvio Orlando, nel ruolo di un Segretario di Stato senza scrupoli, tifoso sfegatato del Napoli. Comunque fuori concorso.

 

"Il mio PapaIl Pio XIII di The Young Pope "è un Papa diametralmente opposto all'attuale, ma è nell'ordine delle cose che il successore di Bergoglio possa essere un pontefice più conservatore". Lo dice Paolo Sorrentino nella conferenza stampa a Venezia. "Insomma secondo me è illusorio che la Chiesa abbia avuto un cambiamento con Papa Francesco. Il mio Papa potrebbe risultare in futuro molto verosimile".

 

Non va meglio per Spira Mirabilis “non è un infilata di belle immagini: è un film contemplativo  e sensoriale. Fra i continui richiami, le assonanze e le rime tra le storie scaturisce un senso superiore”. E per forza che scaturisce! Dopo due ore di riprese, belle si, ma già dopo la prima mezzora, ridondanti, l’unico senso di questa sinfonia visiva, come qualcuno l’ha definita, è di provocare lo sfinimento oculare.

 

Lo scopo della coppia di registi italiani è di mostrare l’immortalità di una medusa che grazie all’aiuto di uno scienziato-cantante giapponese, Shin Kubota, è riuscita a rigenerarsi per ben dodici volte. Prima son gocce, poi diventano stillicidio, infine è un’emorragia quella degli spettatori che abbandonano la visione. Tutti pongono e si pongono la stessa domanda: ”ma chi è il selezionatore che l’ha imposta in Concorso”? È Video Arte? Ma allora perché non girarla alla contigua Biennale? Ah saperlo! Prossimamente al cinema.

 

 

SAFARI: di Ulrich Seidl è un documentario sul turismo venatorio in Africa. Mostra un drappello di bracconieri teutonici, giovani e meno giovani, che con stili diversi abbattono zebre, scimmie, giraffe, bisonti e gnu ma davanti ai leoni, leopardi e ghepardi si fanno i loro sinceri scrupoli; perché, dicono, di quelle specie son rimasti davvero in pochi. Loro, i bracconieri,  aiutano la selezione naturale, altrochè! “Il vero problema è la sovrappopolazione umana. Ma cosa di può fare per contrastarla? Nulla, il mondo va così sia per le bestie che per noi esseri umani”.

 

Con il suo stile asciutto Ulrich Seidl torna a Venezia con il suo consueto, elegante distacco. Per registrare il contrasto tra la ferocia raffinata dei cacciatori bianchi, dotata delle armi più potenti e sofisticate, utilizzate tra una birra gelata e un sonnellino, al riparo di un rifugio sicuro mimetizzato nella landa, in contrapposizione a quella naturale degli indigeni, feroci per fame e necessità di sopravvivenza. A denunciare le diseguaglianze sono le immagini, crude, sconvolgenti, raccapriccianti ma concrete nel mostrare comportamenti che si  condannano da soli, lasciando l’autore al proprio ruolo di testimone, al di quà di qualsiasi ideologismo o moralismo,.

 

È la cifra narrativa di Seidl, che ogni anno sforna un piccolo capolavoro nell’inspiegabile indifferenza o, quando va bene, nel fraintendimento  generalizzato. Grottesco ma anche denso della inconsapevole comicità dei bwana predatori.

 

 

BRIMSTONE: il film diretto da Martin Koolhoven, non è il primo di quella che sembra configurarsi come una rilevante new  wave del cinema anglosassone. Una sorta di revisionismo in chiave anti buonista del genere western, così come lo conosciamo. Almeno queste sembrano le intenzioni esplicite. La prospettiva cambia se però si valutano le modalità attraverso le quali, tale obbiettivo sembra voler essere perseguito.

 

Nel caso, a dimostrazione di  quanto inumana e cruenta sia stata l’epopea dei coloni, la morbosità della ultra violenza, fisica e morale da essi quotidianamente praticata, viene rappresentata con la massima efferatezza. Ad esempio nel mostrare l’agonia di un uomo sventrato da un prete che poi viene impiccato con i suoi stessi visceri. La vittima viene poi finita del figlio undicenne, con il fucile che il padre, il giorno precedente, gli ha imparato a usare.

 

Ma il campionario è ricco di ben altro come scene di sadico esibizionismo pedofelico et similia.  

 

Agli addetti ai lavori tutto ciò può sembrare un mezzaccio furbo per arrivare a far botteghino attraverso la spettacolarizzazione della crudeltà ma quale sarà l’effetto sul pubblico delle sale? 

 

Apprezzerà l’impennata verticale di orrore e disgusto a cui si arriva? Il cast stellare (Dakota Fanning, Guy Pearce e i Tronisti di Spade Kit Harington e Carice Van Houten)riuscirà a contenere le reazioni degli spettatori paganti? In conferenza stampa, il regista ha spiegato che il suo scopo era di rivisitare il western per renderlo il più autentico possibile “come era stato fatto con gli spaghetti western”. Tra le fonti di ispirazione, la più evidente è per lui Il cavaliere pallido: «Eastwood, in generale, ha avuto una grande influenza per tutto il film». Però, chi l’avrebbe mai detto?

 

 

EL CIUDADANO ILUSTRE:Daniel Mantovani (l’attore Oscar Martinez) è uno scrittore argentino che abita in Europa da oltre trent’anni ed il vincitore del premio Nobel per la letteratura. I suoi romanzi raccontano la vita a Salas, un piccolo paese dell’Argentina in cui è nato e nel quale non è più tornato da quando era un giovane aspirante scrittore. Anni dopo la prestigiosa affermazione,  tra la fitta corrispondenza che riceve ogni giorno, gli arriva una lettera spedita dal comune di Salas in cui viene invitato a ricevere il più alto riconoscimento del suo paese: la medaglia al Cittadino Onorario. Sorprendentemente, nonostante i suoi importanti impegni, Daniel decide di accettare la proposta e di tornare in incognito per alcuni giorni al suo paese.

 

Sarà un ritorno trionfale nel paese che lo vide nascere, un viaggio nel passato in cui ritroverà vecchi amici, amori e paesaggi di gioventù, ma anzitutto un viaggio nel cuore stesso della sua letteratura, nella fonte delle sue creazioni e ispirazioni.  Ma una volta sul posto, lo scrittore verificherà sia la familiarità che lo lega quanto le insormontabili differenze che lo faranno velocemente diventare un elemento estraneo e involontariamente provocatore nella vita del paese.

 

L’affettuosità paesana scompare allo stesso momento in cui crescono le controversie, giungendo ad un punto senza ritorno che svela due modi inconciliabili di vedere il mondo.

 

Il Cittadino Onorario mette inoltre sulla scena diversi dibattiti vivi in Argentina e nel mondo. Uno di essi è lo sguardo critico del protagonista, uno scrittore esiliato da anni in Europa, di fronte alla difesa nazionalista dei suoi conterranei. La vita serena, l’esaltazione del proprio io e lo sguardo paesano sono uno stile di vita accettabile in un paese di provincia, ma per questo scrittore cosmopolita costituiscono una negazione della società ad ogni pensiero di sviluppo. A questo conflitto viene aggiunta una sorta di ferita aperta nell’orgoglio argentino, perché è un paese che vanta importanti scrittori che non hanno ottenuto il Nobel per la letteratura, argomento che il film riprende saldando quella mancanza con il protagonista che, invece, ottiene il premio che è stato negato a Jorge Luis Borges.

 

Daniel Mantovani incarna anche la grande soddisfazione e l’orgoglio che comporta per il suo paese natale avere una figura universalmente nota. Per contro si manifesterà contro di lui un progressivo rifiuto quando inizierà a diffondersi il contenuto dei suoi romanzi, critici nei confronti della vita paesana di Salas.

 

Gaston Duprat e Mariano Cohn conducono lo spettatore in quel mondo rurale fatto di valori semplici ma maschilisti, in cui la volgarità è presente ovunque, nelle consuetudini e negli usi.

 

Le situazioni comiche  in cui il protagonista precipita scandiscono la tensione continua del dramma che sostiene la commedia, prendendo lo spettatore di sorpresa. Quella di Mantovani in quanto Artista “è una battaglia persa, ma val la pena di farla, costi quel che costi” come afferma con forza  lui stesso. La cultura, ricorda, “è una parola pronunciata solo dagli stupidi, dagli ignoranti e dai più pericolosi”.

 

 

Dieci minuti durano gli applausi calorosi e riconoscenti rivolti a tutto il cast al completo, emozionato, in piedi, a ricevere commosso.

 

La Passione di ROCCO  o più semplicemente ROCCO è il titolo del  biopic sulla pornostar italiana più famosa al mondo: Rocco Tano, detto Siffredi, da Cortona.

 

Che racconta la sua infanzia, adolescenza e maturità di sessodipendente (parole sue) e di come sia riuscito a far virtù e business di un vizio a dir poco imbarazzante. Girato tra Cortona, Los Angeles e Budapest, presenta momenti di vita familiare, professionale e le confessioni sincere di un uomo diventato, suo malgrado, un’icona dell’eros mondiale. Che in piena crisi da successo raccconta la dissoluzione delle sue certezze. Finale con un Ultima Scena a cui segue, ça va sans dire, una sua personale crocifissione assistita, ovviamente sadomaso. Popolare nello stile narrativo e profondo nell’elaborazione dei contenuti, ha deluso quelli che si aspettavano qualcosa di scandaloso, e ha sufficientemente soddisfatto coloro ai quali ha proposto spunti di riflessione verso tutto ciò che, con la pornografia, ha direttamente o indirettamente a che fare. Incluso, immancabilmente, il suo strumento del desiderio.

 

A proposito. Da rilevare che l’edizione di quest’anno passerà alla storia come quella in cui venne finalmente chiuso definitivamente “Il Buco”. Con tale appellativo ci si è riferito agli scavi dentro i quali, sei anni fa, si sarebbero dovute interrare le fondamenta del nuovo Palazzo del Cinema. Quei lavori furono interrotti a causa di una vicenda giudiziaria di ordinaria mala edilizia che lasciò aperta una voragine rettangolare di considerevole estensione e di disdicevole apparenza. Conclusasi la causa, la ragione del curioso e irrisolto smarrimento dei visitatori stranieri della Mostra del Cinema, non esiste più.

 

Al suo posto è stato installato un capannone color rosso Ferrari, capace di circa 500 posti, battezzato come: Cinema nel Giardino.

 

 

 

 



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