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19/04/24

La Bibbia miniata della Comunità ebraica di Venezia


Categoria: LIBRI
Pubblicato Lunedì, 26 Febbraio 2018 12:59
  • Elena Lattes

Un committente, Daniel figlio di Shmuel il medico (Daniel ben Shmuel a Rofeh) alla fine del quattordicesimo secolo incaricò due amanuensi di redigere una bibbia ebraica di rito italiano, ma scritta con caratteri quadrati, tipici dell’edizione sefardita (ovvero degli ebrei provenienti dalla Penisola iberica).

 

Il testo fu iniziato a Pisa nel 1398 e venne completato a Perugia nel 1404, dopodiché compì un lungo viaggio, passando per Costantinopoli e Iasi (Romania) per approdare infine a Venezia nel sedicesimo secolo.

 

Quando circa sessant’anni fa fu aperto in quest’ultima città il Museo in “Ghetto novo”, esso fu scelto per essere tra gli oggetti esposti e ora, che è uno dei volumi più preziosi della Biblioteca “Renato Maestro”, è stato riprodotto per una maggiore diffusione dalla casa editrice “Il Prato”, grazie al paziente lavoro di Gadi Luzzatto Voghera  e del suo corposo team di storici e studiosi di ebraismo.

 

Il manoscritto, pubblicato in una preziosa edizione fotografica, riporta due versioni che furono alla base di un lungo e profondo dibattito tra gruppi di scribi presenti a Tiberiade, Gerusalemme e in Iraq tra il sesto e decimo secolo dell’Era Cristiana. Le due scuole di pensiero, quella di Ben Asher e quella di Ben Naphtalì, differivano sul modo di porre gli accenti e sulla vocalizzazione.

 

In ebraico, infatti, le lettere rappresentano solo le consonanti che possono essere lette in maniera diversa a seconda della punteggiatura. Le due versioni sono una accanto all’altra e decorate, nelle pagine iniziali, da belle e colorate illustrazioni che avevano molteplici funzioni: onorare il testo sacro, evidenziare le capacità dell’artista, mettere in luce la ricchezza e lo status sociale del committente e fornire un’ulteriore testimonianza della diatriba di carattere grammaticale e fonetica tra le due scuole di pensiero.

 

Esse non rappresentano scene bibliche, perché, come è noto, nell’ebraismo è vietato illustrare le sue scene per evitare che il lettore possa distrarsi dal testo o possa essere condotto ad interpretazioni sbagliate. Le illustrazioni quindi rappresentano “figure ibride, mostri, membri delle gerarchie demoniache e celestiali, bestie esotiche e animali reali” e decorazioni botaniche.

 

In questa nuova versione l’antico testo è preceduto da alcuni interventi esplicativi, sia in italiano che in inglese, utili e necessari per una migliore comprensione del suo valore: il primo è la presentazione dell’attuale presidente della comunità ebraica di Venezia, Paolo Gnignati; il secondo è una breve storia sul ritrovamento del libro scritta da Gadi Luzzatto Voghera, direttore del Centro di Documentazione ebraica contemporaneo; segue una spiegazione del già accennato conflitto lungo, ma sostanzialmente innocuo, curata da Marc Michael Epstein, “professor of Religion and Visual Culture on the Mattie M. Paschall & Norman Davis Chair” e direttore di Studi ebraici al Vassar College; infine una “Descrizione Codicologica e Paleologica” di Zsófia Buda catalogatrice di manoscritti e responsabile del progetto di digitalizzazione del manoscritti ebraici per la British Library chiude la parte introduttiva.

 

Un tomo quasi enciclopedico che è un prezioso contributo alla storiografia della cultura e dell’arte ebraica medievale in Italia che ha tuttavia, purtroppo, il piccolo difetto presente unicamente nella versione italiana degli interventi di cui sopra, di aver trascritto le parole in ebraico da sinistra a destra, anziché, come regola questa lingua, da destra a sinistra.

 

 



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