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20/04/24

L'arte di Andy Warhol a Napoli


Categoria: MOSTRE
Pubblicato Giovedì, 12 Giugno 2014 17:49

Una mostra allestita da Achille Bonito Oliva è in questi giorni al Pan. Lo storico Palazzo Roccella, dopo decenni di abbandono, dal 2005 è diventato il Palazzo delle Arti di Napoli e, nel suo acronimo, ricorda il licenzioso dio della grecità. La mostra è un ritratto verosimile – sembra- e accurato di Andy Warhol e segue a un dipresso i tempi della sua biografia.

 

Lo descrive sin da giovanissimo, quando, alle prime armi, si cimentava, come disegnatore pubblicitariodi copertine di dischi e di riviste. Era un gran lavoratore - vien da pensare - considerando la gran massa di queste illustrazioni. E un ambizioso - si potrebbe dire - ché spesso le due qualità stanno insieme.

 

In questa sua attività Andy studiava con attenzione i gusti del pubblico, che  con figure di belle donne acconciate secondo la moda del momento e rivestite da un’aura di certo fascinoso romanticismo commerciale. Ma poi la svolta: da adulatore del pubblico, Warhol diventa una sua espressione. E rinasce come artista pop. La popular art, l’arte popolare. L’aggettivo si può attribuire anche alla mostra, considerando il gran numero di persone accorse a visitarla.

 

Lo si può fare ancora: la mostra chiude il 20 luglio. “Ma questa non è arte” si è sentito dire dai visitatori oppure “ma questa non è arte come la intendiamo noi” e già va meglio. Perché, se l’arte è originale e penetrante visione del mondo, Warhol artista lo è.

 

Infatti, se, durante la sua attività di pubblicitario, dimostrava di avere un talento speciale nel comprendere i gusti della gente, poi è consapevole di possedere una propria coerente visione del mondo e la capacità di illustrarla: osserva ed esprime la realtà così come è pensata dalla gente, che ha la mente occupata da quelle persone, oggetti e cibi che sono propagandati dalla pubblicità commerciale. Per cui tutto diventa uguale, la Coca cola come Marylin Monroe: pure icone, vuote di contenuti propri. Certo Warhol è artista del mondo contemporaneo.

 

Molto contemporaneo, direi, cioè molto legato all’attualità. E la sua arte, oggi molto trend, potrebbe a breve tramutarsi in waste, potrebbe essere considerata sorpassata. E forse questo è un suo limite. Ci sono invece artisti, forse perciò più grandi, che prevedono ciò che sta per accadere.

 

Prendiamo a esempio i vedutisti napoletani del Settecento, che intuirono e realizzarono precisamente quello spazio a 4 dimensioni che sarebbe stato definito dalla scienza secoli dopo. Oppure prendiamo i cubisti che, dipingendo, per esempio, un occhio di prospetto e un naso di profilo, raccontarono le realtà parziali guardate superficialmente dai diversi singoli punti di vista di individui diversi. I cubisti rappresentarono così le varie superficiali opinioni degli uomini,che essi, quasi opinion leader, assemblarono a proprio modo, costruendo una realtà fittizia. Cosicché possiamo dire che i cubisti intuirono e mostrarono quell’opinionismo ignorante oggi tanto diffuso, che agli inizi del Novecento non c’era.

 

Per tornare a Warhol, ecco che ammiriamo in mostra le sue serigrafie: fotografie giganti, ritoccate con colori forti, di star e di prodotti industriali. Warhol si esercita abbondantemente in questa attività, aiutato dagli artisti della sua bottega, la famosa Factory, aperta a tutti e frequentata da tanti, tra cui quelli che in seguito si sarebbero fatti un nome importante nel campo dell’arte, come il nostro Francesco Clemente. Poi lo stile dei ritratti firmati Warhol cambia: le stesse figure di star perdono la loro allure.

 

Cosicché una Liza Minelli, dapprima ritratta secondo il solito cliché, appare,poi, nell’atmosfera di un concerto, un viso alterato da strisce di luci accecanti; e infine ancora, in un’altra immagine, gli occhi stralunati e i lineamenti tesi, sofferti: la tragica esistenza di un personaggio famoso, la sua verità. Si potrebbe appunto definire artista sincero Warhol che, in altre opere, esprime sinceramente la propria omosessualità.

 

Con compiaciuti ritratti di uomini belli, con la riproduzione attenta di quella parte dei pantaloni maschili che più gli interessa,con l’immagine di amplessi amorosi resi in un chiaroscuro, più scuro che chiaro, per rendere l’atmosfera morbosa e quasi disperata delle pratiche omosessuali.

 

Noto è il rapporto di Warhol con Napoli, iniziato negli anni Settanta attraverso il gallerista Lucio Amelio, e famose sono le sue gigantografie con quel “Fate presto” stampato in prima pagina su Il Mattino, in occasione di quel terremoto dell’Irpinia nell’Ottanta, che sconvolse anche Napoli. “Napoli, una città fantastica” scrisse Warhol. E la rappresentò.“Il nome, il semplice nome “Napoli”. È uno dei più carichi di forza immaginativa ed evocativa che siano al mondo.

 

Ecco, basta pronunciarlo: “Napoli” ; e innanzi alla fantasia di tutti - e specialmente di coloro che non sono mai stati a Napoli – è presente una grande visione. Le linee e i colori di questa visione derivano, in sostanza, dai grandi “vedutisti” del Settecento.” scriveva Giovanni Ansaldo nel 1961 in “Passeggiate napoletane”. Di Napoli il Vesuvio è un elemento caratteristico, ritratto più volte in vedute a olio e gouaches della tradizione napoletana.

 

Warhol, appunto, rappresenta la città con un Vesuvio, in edizioni diverse, con diversi e sempre forti e contrastanti colori. Ancora una volta scava nella testa della gente e ne trae un’immagine. Ecco il modo come la città viene dagli stranieri immaginata. O, meglio, come allora veniva immaginata. Ora l’immagine con cui la città viene pensata nel mondo è quella suggerita da Gomorra.

 

Adriana Dragoni 



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