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19/04/24

Fiat, l'Italia non è più un dovere


Categoria: ECONOMIA
Pubblicato Mercoledì, 15 Gennaio 2014 18:12
  • Antonio Marulo

Sergio Marchionne l’ha definito “questo sogno che abbiamo realizzato…”, mentre c’è chi invece teme di vivere un incubo, che si materializzerà alla fine con la scomparsa definitiva in Italia dell’industria automobilistica. E sì, perché il colpo grosso della Fiat su Chrysler, con tutto ciò che ne conseguirà, al di là della soddisfazione di stampo nazionalistico, non cambia i termini della questione: sono finiti i tempi in cui “ciò che va bene alla Fiat va bene all’Italia”, così come si spera sia finito quel brutto vizio, di cui tanto hanno beneficiato gli Agnelli in passato, di socializzare le perdite e privatizzare i profitti.

 

Proprio per questo non si possono pretendere investimenti a tutti i costi, come ha fatto ancora ieri il leader della Fiom, Landini, chiedendo l’intervento del governo affinché faccia qualcosa. Ora come ora, infatti, il governo non è nelle condizioni di fare nulla di ciò che ha fatto per esempio Obama per salvare Chrysler, prestando miliardi di dollari; come non può perpetuare inutili interventi assistenziali per prendere tempo. Tuttalpiù può incardinare un processo finalmente virtuoso, che renda nel tempo il Paese competitivo e quindi attraente in generale per i capitali, italiani e esteri.

 

È inutile girarci intorno, già è un miracolo che non siano state chiuse le catene produttive rimaste. Costruire oggi auto in Italia non conviene a nessuno, tanto meno al nuovo gruppo nascente dalla fusione italo-americana. Agitarsi quindi con rivendicazioni sindacali ancien regime è un esercizio sterile, utile al massimo a riempire le pagine di giornali o qualche piazza di caschi gialli. Ed è peraltro illusorio credere, come fanno molti, che riformare in qualche modo la legislazione del mercato del lavoro basti a superare gli ostacoli all’occupazione.

 

La crisi italiana, lo sanno ormai anche le pietre, è generale e di struttura e su questo bisogna agire, facendo in modo che il paese venga visto come luogo adatto all’investimento industriale come e più di altri: dove i costi dell’energia sono più bassi, dove la burocrazia non imbriglia, dove la macchina della giustizia è rapida e affidabile, dove il fisco non è una giungla esosa, dove la corruzione non imperversa, dove i prezzi in generale sono più bassi grazie a un sistema concorrenziale che lo permetta…

 

Ovviamente, tutto questo non si raggiunge dall’oggi al domani e non è detto che ci si riesca. Intanto, non vivendo più in epoca di dazi e di svalutazioni competitive della Lira, bisogna rassegnarsi all’idea che nel breve periodo ci si può affidare, nel caso specifico, alla magnanimità di Sergio Marchionne, mentre si prova a dare segnali su quel famoso “cambio di passo” tanto enunciato di recente. A partire dall’approccio di certa classe dirigente, ancorata tuttora a logiche sindacal-corporative che non sono più efficaci come negli anni 70-80 del secolo scorso.



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