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19/04/24

Elezioni del 4 marzo: mettere il sovranismo alla gogna


Categoria: EDITORIALI E COMMENTI
Pubblicato Giovedì, 18 Gennaio 2018 02:16
  • Silvio Pergameno

Le lamentele contro l’Europa sono parecchie e di tipologie diverse. Per lo più si tratta di proteste per le ingerenze del livello europeo ai danni del livello nazionale; da parte di A.R. si tratta invece di critiche per la mancanza di una politica – soprattutto estera – degna del continente, tali non potendo essere considerati alcuni atti di presenza sulle faccende internazionali, che non sono altro che modeste proiezioni di politiche degli stati e per gli interessi degli stati e non una vera politica europea (del resto ancora priva delle istituzioni dove questa possa formarsi ed esprimersi).

 

Pensiamo anche soltanto alla pericolosa assenza di una politica europea verso il Medio Oriente, culla del terrorismo dell’ISIS, campo della repressione in Iran, fallimento le primavere arabe, assenza di una politica di sviluppo in Africa… e pensiamo alle conseguenze della tendenza degli Stati Uniti a ritirarsi fuori dalle faccende europee, iniziata con Obama che ha lasciato ai russi di vedersela con la crisi siriana e ora con Trump che proclama apertamente “America first”… Ma dobbiamo anche riflettere sulle conseguenze del progressivo esautorarsi della distinzione tra destra e sinistra, proprio al livello della proposta politica.

 

La questione, che non riguarda solo l’Italia, riguarda le sorti della democrazia. Perché la democrazia è vitale se c’è dibattito, scontro, contrapposizione di idee, proposte, domande, risposte su grandi temi politici, come tali percepibili dalla generalità dei cittadini. E la distinzione, anzi la contrapposizione tra destra e sinistra è sempre stata centrale proprio al livello di massa, mentre oggi ad esempio in Germania destra e sinistra si trovano costrette (e non è la prima volta) a collaborare per dare un governo al paese, e un’ipotesi del genere fa insistentemente capolino anche in Italia…

 

Facciamo attenzione, però. Gran parte della distinzione tra destra e sinistra, soprattutto al livello di massa, nel secolo passato era fondata sulla contrapposizione tra capitale e lavoro e le dittature di estrema destra, per accaparrarsi consenso popolare, non hanno potuto ignorare questo dato di fatto. Sostanzialmente, hanno proposto la collaborazione tra capitale e lavoro al posto dello scontro. Non era certo “socialismo” ma comunque conteneva il riconoscimento del soggetto “lavoro” e un’attenzione per i problemi e i diritti del lavoro. E c’erano anche i sindacati dei lavoratori. Del resto già il socialismo riformista aveva compiuto il passo più grosso, accettando che i socialisti potessero partecipare (orrore) a governi con i partiti borghesi.

 

La destra fascista europea ha concentrato a partire dal  primo dopoguerra la sua qualificazione politica sull’esasperazione nazionalistica, che sfociava fatalmente nelle risposte militari. E in questo senso va sottolineato il fatto che la norma più significativa della nostra costituzione è contenuta in quell’articolo 11 dove si legge che l’Italia ripudia la guerra e consente a limitazioni della sovranità: e in questo senso non è soltanto la norma più antifascista della nostra carta fondamentale (perché colpisce il fascismo nella sua motivazione profonda), ma indica agli stati un percorso sovranazionale per vivere in pace e secondo giustizia.

 

In parole povere in Italia il sovranismo è anti-costituzionale. L’argomento non è da poco, ma sembra che non interessi e ormai da troppi anni il discorso sulle riforme del nostro sistema statuale si è  concentrato sulle leggi elettorali con baruffe chioggiotte su liste, candidati, premi di maggioranza …L’intuizione contenuta nel Manifesto di Ventotene, scritto durante l’ultima guerra (1941) è quella che nell’Europa continentale l’ottocentesco legame tra stato nazionale e democrazia era venuto meno, per cui se nel dopoguerra si fossero ricostituiti gli stati nazionali dove erano e come erano, se ne sarebbero riprodotti i disastri. Di qui il federalismo europeo di Altiero Spinelli.

 

Non basta vantare che abbiamo la costituzione più bella del mondo; la costituzione non ha soltanto una portata giuridica, ha anche un alto valore politico e nel momento in cui mette in discussione la sovranità indica proprio un percorso politico, che non è soltanto “antifascista”, non tocca soltanto l’esasperazione nazionalistica, ma apre la discussione proprio sul rapporto tra stato nazionale e democrazia.

 

Cosa purtroppo non intuita dai socialisti francesi e tedeschi nel 1914, quando misero in soffitta l’internazionalismo e si acconciarono a spararsi addosso nella prima guerra mondiale: il mito nazionale prevalse e distrusse uno dei tratti di fondo del socialismo delle origini che, fondando la prima Internazionale, aveva messo qualcosa al di sopra dello stato nazionale, proprio perché il problema del lavoro superava gli stati nazionali. E sicuramente negli avvenimenti del 1914 Mussolini trovò argomenti a sostegno della sua evoluzione politica.

 

La contrapposizione destra sinistra è stata centrale nei paesi europei per più di un secolo e, mentre da un lato la spinta riformista ha prodotto lo stato sociale con la tutela del lavoro, l’assistenza per le malattie e la vecchiaia…  dall’altro una spinta neoliberale ha dato luogo alla riforma del diritto di famiglia, al riconoscimento dei diritti dell’uomo e al rispetto per le coscienze… 

 

Grandi passi avanti. Ma questo non significa che non esistano più conflitti all’interno del mondo del lavoro o nel campo dei diritti umani, perché sul terreno delle libertà i confini si spostano sempre più avanti, ma si resta pur sempre all’interno di un quadro, di una filosofia…si tratta di problemi che si risolvono con le trattative…

 

E questo spiega le grandi coalizioni tedesche, compresa quella in gestazione, per la quale, per esempio si è giunti a un accordo tra CDU/CSUI e SPD dopo la faticata stesura di un papier di 28 pagine destinate alla distribuzione di 46 miliardi di euro – aggiuntivi – di benefit pensionistici e vari, oltre che alla riduzione di 10 miliardi di tasse ecc.ecc, (v. Paola Peduzzi sul Foglio di sabato scorso).

 

Il contrasto di fondo sta comunque esplodendo, con le preoccupazioni europee espresse due giorni fa dal socialista francese Pierre MoscoviciCommissario per gli Affari economici e monetari delle Commissione europea -, che teme sorprese antieuropee dalle incertezze con cui l’Italia va alle elezioni del prossimo marzo. Salvini, per tutta risposta, ha lamentato interferenze… i termini della faccenda si stanno chiarendo, cioè ed è auspicabile che il tempo che ci divide dalle urne non venga sprecato.

 

Il problema centrale oggi è l’Europa e su “Europa-sì/Europa no” dovrebbe concentrarsi lo scontro nella campagna elettorale in corso, muovendo dalla premessa che l’Europa non toglie nulla alle nazioni e, a ben vedere, nemmeno agli stati, perché i compiti da affidare all’Europa sono quelli che gli stati non sono più in grado di esercitare.

 

Il corpo elettorale allora non va a votare perché “tanto sono tutti uguali”, giudizio crudele, ma comprensibile, perché tanto in tutti i partiti, movimenti e formazioni oggi si parla solo della stessa cosa: come si fa a vincere le elezioni e con quali benefit distribuire a un popolo trattato da bue. E questo in un tempo politico nel quale si deve decidere se affrontiamo i prossimi secoli con un’Europa veramente unita e in grado di far fronte sul serio alle sfide attuali o se continuiamo a pensare che l’avvenire sia comunque ancora nelle nostre mani.

 

Gli inglesi hanno pensato di risolvere il problema con il referendum della primavera di due anni fa: un tentativo che si è rivelato un errore grossolano non tanto perché si è voluta una consultazione popolare, ma soprattutto per il fatto che il partito che la ha promossa non si è reso conto della complessità del problema; è pensato che vincesse il “remain”, cioè l’equivoco di una zona di libero scambio  senza avanzamenti di carattere politico e istituzionale.

 

Ha vinto (sia pure per poco) invece il “leave” e adesso il governo inglese si trova in un mare di difficoltà perché non sa come fare a uscire dall’Unione europea e i tempi di uscita si allungano… Il referendum poi era solo consultivo, si chiedeva un parere, dal quale quindi governo e parlamento potrebbero ancora discostarsi… bella figura…! Peggio dei catalani, che possono aver pensato in un sostegno dell’Europa… e sono rimasti a casa.

 

I tedeschi non riescono a uscire dalla “grande coalizione”, una democrazia senza un grande partito di opposizione, perché l’AfD (“Alternativa per la Germania”) non ha nemmeno il coraggio di proporre l’uscita dall’Unione. Dice solo: fermiamoci senza procedere in ulteriori passi avanti, una posizione debole, espressione solo di malcontento, ma destinata a vita breve.

 

E i socialdemocratici, la sinistra tradizionale in Germania, sono in difficoltà a fare coalizione con la destra cristiana, oggi meno “erede” di Adenauer, che credeva profondamente nell’Europa, proprio perché sapeva che la democrazia in Germania è profondamente legata al legame con l’occidente e aveva timori nei confronti di uno stato nazionale tedesco chiuso in se stesso, risentendo anche profondamente del Kulturkampf, la battaglia di Bismark contro la  Chiesa cattolica, cui la sua famiglia (cattolica di Colonia) era stata molto sensibile.

 

 



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