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29/03/24

Un partito che manca


Categoria: EDITORIALI E COMMENTI
Pubblicato Martedì, 13 Febbraio 2018 08:53
  • Silvio Pergameno

Presentate le liste, si è aperta una campagna elettorale che rivela caratteri singolari. Non si tratta tanto del fatto, ampiamente sottolineato, che candidati e dirigenti politici si rivolgano agli elettori, sollecitandone il voto con gran dispiego di promesse tanto allettanti quanto… fantasiose o che vantino le buone cose fatte: succede sempre nelle campagne elettorali. E non potrebbe essere altrimenti.

 

Quel che stupisce è il fatto che grandi problemi di attualità vengano trattati di sfuggita o ignorati del tutto. Si pensi ad esempio al nostro enorme debito pubblico, accumulato nei decenni passati e che ci costa cifre imponenti per interessi (e finanzia rendite che si dice di voler combattere, ma non in qual modo…) o alla crescente disaffezione per il voto (anche qui: se ne parla, ma non se ne cercano e discutono le cause…).

 

Altro esempio: la disattenzione per un fatto di eccezionale rilevanza, di cui si è letto giorni fa sul “Foglio”: il Parlamento europeo ha bocciato una proposta di Macron che voleva mettere in gara nelle prossime elezioni europee i seggi rimasti vuoti per effetto della Brexit riservandoli a liste di candidati trasnazionali, che quindi non avrebbero rappresentato nessuno stato dell’Unione… e anche Macron poteva ben aspettarsi un esito del genere, perché si metteva direttamente in causa la sovranità degli stati proprio nell’ambito delle istituzioni…

 

O il terribile problema della sicurezza, dove è facile che situazioni, evenienze, occasioni di fatto diano luogo a situazioni inaccettabili o generino anche soltanto paure.

 

Non sono che esempi, certamente. Ma non basta mettere sotto accusa il populismo o lamentare l’astensione dal voto o le molteplici scomposizioni e ricomposizioni tra le forze politiche o che i dubbi, le perplessità, i ripensamenti di questo o quell’esponente non fanno che alimentare. Né se ne esce con l’idea dei “5 Stelle” che pensano di aver trovato la formula magica per rivitalizzare la democrazia: raccogliere la domanda che viene dal basso.

 

A ben vedere si tratta invece di un rischio per la democrazia. Legiferare e governare, in particolare in tempi complessi e difficili come gli attuali, richiede la disponibilità di una mole sterminata conoscenze e il possesso di capacità di decidere non comuni, che la gran massa di noi cittadini non possiede.

 

Ecco allora la funzione dei partiti: costituire il luogo politico ove le conoscenze convergono e all’interno del quale si elaborano soluzioni possibili, delle quali poi viene data notizia attraverso tutti i mezzi di diffusione, orientando l’elettorato. Una formazione politica che non svolge questo compito essenziale viene meno alla funzione che dovrebbe caratterizzarne l’esistenza e la natura democratica: in realtà si costruisce un meccanismo che potrà usare una libertà di decisione sconfinata e diventare un rischio per la democrazia, al di là della stessa volontà dei suoi esponenti.

 

Nell’Europa continentale le minacce alla democrazia, i rischi dell’emersione qua e là di tendenze autoritarie sono sempre possibili, basta fare attenzione a quanto sta accadendo in Ungheria o in Polonia e non possiamo non tener conto che le vicende dell’Africa o quelle della Russia o quelle del vicino oriente sono strettamente legate a quelle di casa nostra.

 

Basti pensare alla questione dei migranti, alla presenza sempre più consistente della Russia nel Mediterraneo, a cosa comporta il disimpegno americano dal ruolo di potenza mondiale che ha assicurato la funzione del poliziotto per bloccare i pericoli maggiori in giro per il mondo (un disimpegno di cui i primi segni sono venuti già dalla presidenza Obama)… Sulle vicende del Medio Oriente in questi ultimi venti anni siamo stati assenti, come lo siamo sull’evoluzione interna della Russia, dove non bastano le sanzioni quando in questo paese avvengono fatti che non ci piacciono, sanzioni che poi da tanta parte della popolazione russa vengono interpretate come fatti aggressivi al loro paese… (come fu con le sanzioni applicate all’Italia, quando Mussolini andò a conquistare l’Etiopia…).

 

Quando si parla di migranti veri e propri (e non solo di profughi) è facile dire che è in Africa che bisogna affrontare le cause delle migrazioni e che ci vorrebbe un piano Marshall per l’Africa: è vero, ma chi lo mette in atto? Chi lo finanzia? Tutte queste questioni comportano rischi pesanti per le nostre democrazie, proprio perché gli stati europei non sono in grado di affrontarli. E questo spiega la crisi delle sinistre in Europa. Minniti ha avuto buoni esiti con il suo intervento in Africa. Ma è una goccia d’acqua in mezzo al mare. E invocare pericoli nazisti o fascisti è solo un appello al passato….

 

 



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