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19/04/24

Dai diritti civili la difesa della dignità


Categoria: EDITORIALI E COMMENTI
Pubblicato Lunedì, 25 Marzo 2019 12:06

 

di Paolo Brogi

 

Del Sessantotto si è celebrato il cinquantenario e Giuseppe Rippa, raccontando la propria esperienza politica ne L’altro Radicale, prende le mosse proprio da allora. All’uscita del libro, durante la presentazione a Roma del 26 luglio, Paolo Brogi – autore del recente 68, ce n’est qu’un début. Storie di un mondo in rivolta (Imprimatur editore; 2017) – ha scelto di evidenziare l’importanza del rinnovamento, culturale prima ancora che politico, di quella stagione che ha posto le premesse per le successive battaglie dei diritti civili.


 

La cosa che mi ha fatto più piacere nel leggere questo libro-intervista di Rippa si trova nelle prime pagine de l’altro Radicale. È il ricordo della Mensa dei bambini proletari di Montesanto, nel quartiere napoletano di Avvocata: lo cita come uno dei luoghi da lui frequentati quando era alle prime armi della sua attività politica. Venendo da un’esperienza che non era la stessa del fondatore della Mensa, Peppino Fiorenza, o Cesare Moreno ed altri che hanno costruito quell’impianto, abbastanza anomalo nella Napoli destinata a diventare la città del sindaco Valenzi e della prima giunta guidata dai comunisti.

 

Perché ho preso le mosse da questo fatto? Perché apparteniamo a uno stesso ambito: provenendo da Lotta Continua, ho conosciuto abbastanza bene i radicali. Dal 1973 al 1978 ci siamo frequentati abbastanza a lungo, abbiamo fatto una serie di cose insieme; alcune hanno segnato in modo piuttosto profondo e drammatico le nostre vite, come ad esempio l’uccisione di Giorgiana Masi. Un ricordo che resta come una ferita aperta, non risolta, un problema che ci portiamo dietro.

 

Provenivo da Pisa e, quando sono arrivato a Roma, nei radicali una delle prime cose che mi ha attirato è stato il loro “estremismo” – lo dico tra virgolette – nel portare avanti una serie di battaglie, di convinzioni, di momenti di scontro, sino a impegnare la propria vita nelle forme di lotta che venivano assunte nel modo che sappiamo. Lo trovavo interessante dal punto di vista di quel fenomeno che avevamo alle spalle, il Sessantotto, che credo anche per i radicali abbia rappresentato un momento di passaggio fondamentale. Esiste un libretto che si intitola Il 68 dei liberali, perché anche i liberali, con la loro piccola formazione, hanno partecipato al movimento di quegli anni.

 

Ma andando al di là delle sigle, che poi erano relativamente importanti perché nel ‘68 la partecipazione “siglata”, costituita, è qualcosa di davvero relativo. Io sono stato nell’Unione goliardica italiana (Ugi), nella quale Marco Pannella aveva impegnato una serie di sue attività precedenti al ‘68: era un posto dove si andava dal Psiup ai repubblicani, un posto curioso, come un mondo a parte, contro l’Intesa che invece era dei cattolici e democristiana grosso modo.

 

Comunque l’Unuri che riuniva tutte le associazioni universitarie era qualcosa di limitato rispetto a quello che succede dopo, con una partecipazione di massa così larga ed internazionale, in quella fase del Sessantotto che si dilata e che vede all’ordine del giorno una serie di elementi che sono liberaldemocratici, oppure di deficit di democrazia che va risolto.

 

Pensate solo alle battaglie americane che conosciamo dell’epoca, e che si sono intrecciate con le manifestazioni contro la “guerra sporca” del Vietnam. Sono le battaglie per il free speech movement, che nascono con un signore di origine italiana che sale su un auto della polizia, togliendosi le scarpe e i calzini, Roberto Savio, perché un suo compagno è stato fermato avendo disobbedito all’ordine del direttore del campus di Berkeley di non parlare di politica.

 

In ragione di ciò è nato questo movimento, tramite questa iniziativa abbastanza curiosa di Roberto Savio, che riprendeva quanto già fatto negli anni ‘20 dai manifestanti delle soap box, le scatole di sapone usate come un podio a Hyde Park.

 

Quel riferimento occasionale alla Mensa dei bambini proletari esprime dunque qualcosa di più vasto, che descrive bene quella fase storica. In quella fase si è messo a disposizione di un numero molto grande di persone, non necessariamente formate o con un piccolo bagaglio politico alle spalle, la possibilità di battersi per quello che io credo sia un carattere di fondo del Sessantotto. Voglio dire: la difesa della dignità delle persone, che è un comun denominatore che possiamo ritrovare in una serie di ambiti...

 

Prosegui la lettura su quaderniradicalionline.it

 

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- No al falso cambiamento di Giuseppe Rippa

- Il coraggio di una politica liberale di Luigi Oreste Rintallo

- Preparare un domani di Silvio Pergameno

- La tragicomica fiera delle contraddizioni di Antonio Marulo

- All'Africa non serve la cultura pop dell'aiuto ma democrazia di Anna Mahjar-Barducci

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