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29/03/24

Distanziamento sociale, telematica e processo penale


Categoria: EDITORIALI E COMMENTI
Pubblicato Domenica, 05 Aprile 2020 16:31

di Fabio Viglione

 

La drammatica e perdurante emergenza epidemiologica ha colpito, ineludibilmente, anche il processo penale e le sue regole di ordinario svolgimento. 

 

Inevitabile il ricorso a provvedimenti di differimento delle attività (fatte salve specifiche e limitate eccezioni) in ragione della impossibilità di garantire quel distanziamento sociale, incompatibile con l’ordinario corso del lavoro. Un lavoro necessariamente vissuto, nell’espletamento dell’attività,anche nella fisicità dell’incontro e nella condivisione degli spazi di confronto ed interazione.

 

Ma la misura contenitiva e prescrittiva del “distanziamento sociale” ha conseguentemente prodotto due risultati che meritano di essere analizzati nella loro vocazione a proiettarsi nel futuro. Sono a mio giudizio caratterizzati dalla prospettiva con la quale si guarda alle opportunità tecnologiche rispetto alla ottimizzazione delle risorse ed alla capacità di migliorare lo stardard qualitativo del servizio.

 

Un primo risultato va certamente ritenuto una grande opportunità per migliorare, sburocratizzare e velocizzare una serie di adempimenti di carattere amministrativo. Parlo dell’utilizzo delle modalità di notificazione a mezzo pec direttamente da parte del difensore, nonché del deposito di atti in modalità telematica piuttosto che “a mani” negli uffici di cancelleria.Nel nostro sistema processuale, infatti, tutti gli adempimenti di cui il difensore deve farsi carico sono ancorati ad una materialità di deposito front-office.

 

Depositare una memoria, una opposizione, una impugnazione, una delega, significa recarsi fisicamente in cancelleria, raggiungendo lo scopo, talvolta, dopo interminabili tempi di attesa. Parliamo di adempimenti che impegnano quotidianamente migliaia di professionisti da una parte e numerosissimo personale amministrativo dall’altra, con spendita di  quantità significative di tempo ed energie.

 

Tuttavia, con l’utilizzo più esteso dell’informatica in entrambe le “direzioni” si guadagnerebbero risorse preziose da dedicare ad altre attività e, pensando agli uffici pubblici, ad una maggiore efficienza del servizio. Innegabile sarebbe il vantaggio di questa proficua modernizzazione ed alcun nocumento si andrebbe a determinare per l’esercizio del diritto di difesa. Parliamo di attività nelle quali l’informatica oltre che aiutare può sostituire la fisicità e la materialità dell’adempimento rendendo il servizio più celere ed efficiente.

 

In questo senso l’opportunità che il “distanziamento sociale” dell’emergenza ci ha offerto potrebbe essere messa a frutto con maggiore estensione, costanza ed incisività, anche quando si sarà superata la fase di emergenza. Così, i luoghi fisici e le modalità di deposito ben possono cedere il passo a nuove e più moderne forme di adempimento. A questa promozione a pieni voti dell’informatica si accompagna l’auspicio che il legislatore pensi in modo significativo alla massima implementazione dell’utilizzo degli strumenti ormai proficuamente testati e sdoganati dal progresso tecnologico. Ma veniamo al secondo risultato, consegnatoci nel periodo di emergenza, dall’utilizzo della telematica. 

 

Qui la promozione a pieni voti dell’informatica si trasforma, a mio giudizio, in una bocciatura, soprattutto se guardiamo alle capacità di seduzione che queste modalità tecnologiche sono in grado di esercitare. Mi riferisco alla celebrazione dei processi a distanza con un sistema di videoconferenze. Ora, al netto dell’emergenza, della provvisorietà ed eccezionalità di questo periodo, la celebrazione del processo deve guardarsi il più possibile da forme di smaterializzazione. 

 

Il processo non è il deposito materiale di un atto rispetto al quale attraverso un inoltro via pec ben può sostituirsi (auspicabilmente) lo sforzo fisico. Ci sono attività umane, e lo svolgimento del processo è una di queste, che non possono ammettere surrogati, qualunque diventi il grado di perfezionamento della tecnologia. Dal miglioramento della risoluzione video, all’aumento della qualità dell’audio, alla certificazione dell’identificazione da remoto.

 

Mi rendo conto, però, della capacità di seduzione che queste tecnologie possono esercitare se si guarda ai diritti difensivi ed alle attività processuali solo in termini formalistici o elevando a valore assoluto la massima economia di un sistema e di un servizio da velocizzare.

  

Queste seduzioni possono condurre a possibili, e da alcuni auspicate, rivisitazioni del processo che portino sempre più a forme di maggiore sostituzione della presenza fisica con quella a distanza e, per l’effetto, virtuale.  

  

Un processo a distanza, con icone sullo schermo a far emergere giudici, pubblici ministeri, imputati e testimoni sarebbe, a mio avviso, la negazione del processo stesso. Produrrebbe un simulacro di contraddittorio, un ologramma del difensore, una giurisdizione informaticamente oracolare. Il diritto di difesa si ridurrebbe al minimo. L’aula è un luogo in cui si consumano molteplici livelli di analisi, di studio, di percezione e di sensibilità che si nutrono della necessaria fisicità. Anche di quella di uno sguardo e di una smorfia che possono cambiare il corso di una narrazione o portare alla modifica immediata di una strategia.

 

A tacere, poi, della prova testimoniale. Il testimone non è uno statico documento, che può, al più, ingiallirsi. È una persona che vive delle proprie emozioni e della sua umanità che non può non essere “testata” attraverso l’osservazione diretta, nel saggio della genuinità. Ma anche l’imputato ha diritto ad una fisicità fatta di “sguardi”, attivi e passivi, con tutti i soggetti processuali. Sguardi che non possono confinarsi nello scrutare telecamerine sui monitor. Ciò che potrà rivelarsi una grande opportunità in altri settori ed in altre forme di contatto sociale non lo sarà mai per un processo penale e per la qualità delle attività che in esso si svolgono.

 

D’altronde, anche il senso del controllo sull’amministrazione della giustizia da parte della comunità (il principio della pubblicità del processo) si sostanzia non guardando alla decisione ma alla correttezza e regolarità del percorso che a quella decisione ha condotto. Ed allora, conclusa auspicabilmente al più presto, la fase emergenziale, le attività di partecipazione a distanza dovranno considerarsi soluzioni irriducibili con la natura, lo spirito e la funzione del processo penale.  Credo sia opportuno ribadirlo proprio in un momento in cui si è chiamati a fare i primi bilanci di questo periodo emergenziale e proiettare le sperimentazioni forzate nel graduale “ritorno al futuro” ed alla normalità.

 

 



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