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19/04/24

Dal coronavirus ai rischi per la democrazia


Categoria: EDITORIALI E COMMENTI
Pubblicato Martedì, 21 Aprile 2020 16:36
  • Luigi O. Rintallo

Nel suo articolo sul «Corriere della Sera», Angelo Panebianco ha il merito di aver indicato i fattori che sono di ostacolo alla ripresa dalla crisi causata dal virus cinese e che, a un tempo, fanno dell’Italia un’anomalia nell’ambito delle democrazie. Spirito di fazione, invadenza della burocrazia, deriva statalista e il pan-penalismo per cui ogni aspetto della vita è ricondotto al diritto penale, amministrato da settori della magistratura inquirente portati a debordare dall’alveo costituzionale, combinati con uno spirito di fazione alieno dal considerare prioritario l’interesse pubblico, rappresentano per l’editorialista quattro formidabili zavorre.

 

Esiste una coincidenza fra questi fattori e la profonda crisi dell’assetto democratico del nostro Paese, che l’emergenza in atto ha reso ancor più evidente. Quanto avvenuto in questi ultimi mesi, per certi versi, ha riprodotto con un moto accelerato le fasi tipiche delle trasformazioni intervenute dopo il primo conflitto mondiale.

 

Come allora l’irreggimentazione della società, con il potenziamento del controllo e la riduzione degli spazi di autonomia imposti per fronteggiare le difficoltà belliche, la predispose alle svolte in senso autoritario, oggi stiamo assistendo a ripetuti vulnus delle libertà proprie di un ordinamento democratico.

 

Per quanto riguarda la nostra repubblica e la sua radicata pre-modernità, il fenomeno in realtà dura da tempo e le situazioni attuali non ne sono che l’estrema propaggine. Del resto, la condizione italiana oltre che l’esito di un semi-secolare processo politico che pativa i guasti del consociativismo, si inserisce nel più generale contesto di deriva autoritaria registrato ovunque dopo lo sfumare delle prospettive della globalizzazione, evidenziatosi a seguito della lunga parabola discendente provocata dalla crisi del 2008. 

 

L’attacco alla democrazia è stato condotto con sistematicità, a partire dalla riduzione a vassallaggio della politica rispetto alla finanza globalista, e se ne evidenziavano i contorni già cinque anni fa nel libro-intervista del direttore Giuseppe Rippa, Alle frontiere della libertà (Rubbettino). Il territorio a rischio di conflitti devastanti è rappresentato proprio dalla libertà, di cui ancor di più oggi si percepisce come sia sottoposta alle minacce che provengono tanto dai regimi politici verticistici, quanto dal cedimento e frustrazione delle istanze liberali mai davvero nutrite e coltivate nel nostro Paese.

 

Il modo in cui si è intervenuti per affrontare i problemi dell’epidemia ha dimostrato quanto sia condizionante il peso di burocrazia e corporazioni, che non hanno esitato a profittare del vuoto politico per insediarsi con le loro determinazioni.

 

Il grande assente è stato il Parlamento, di fatto esautorato e auto-esclusosi dall’esercitare un qualunque ruolo. Si sente la mancanza di un leader come Marco Pannella che, in altri momenti critici della nostra storia recente, seppe se non altro dare testimonianza della difesa estrema, di fronte all’intimidazione esercitata da poteri fuori controllo: ricordiamo tutti le auto-convocazioni del cosiddetto Parlamento degli inquisiti.

 

Oggi dall’opposizione non proviene alcun segnale degno di nota, dal momento che, al pari delle forze di maggioranza, essa dà mostra di quanto stordita e confusa appaia la classe politica nel suo complesso denutrita com’è di una effettiva capacità di governance.

 

La miriade di componenti di task force di consulenti (oltre 450 stando ad alcuni calcoli) costituite dal governo, in assenza di un indirizzo e di una reale capacità gestionale, appaiono più dei comitati pletorici utili a dare rappresentanza delle velleità e a posizionarsi negli equilibri di potere che non altro.

 

Così come enormi varchi si sono aperti per le influenze di soggetti oggi esonerati dal rispondere a chicchessia del loro operato: lo dimostra la vicenda del rinnovo delle nomine di enti come Finmeccanica, dove gli spostamenti sono serviti – come riferisce su «la Repubblica» Giuliano Foschini – per risolvere contese dal sapore feudale all’interno degli uffici preposti alla sicurezza. 

 

Altrettanto preoccupanti sono le ripetute incursioni, di natura fintamente tecnocratica, nel dibattito pubblico, riguardino queste la situazione delle carceri o le strategie da seguire per la prossima ripresa. Da esse non proviene mai una indicazione rivelatrice di una sincera volontà risolutiva dei problemi, ma piuttosto la proterva rivendicazione di un ruolo egemonico. Lo stato delle istituzioni appare così quanto mai esposto a un preoccupante anarchismo baronale, che potrebbe sfociare in forzature e accelerazioni dagli esiti imprevedibili.

 

 



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