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29/03/24

Legge elettorale, il sogno...francese


Categoria: EDITORIALI E COMMENTI
Pubblicato Lunedì, 22 Ottobre 2012 16:59
  • Danilo Di Matteo

È nota da decenni la simpatia dei Radicali per il mondo anglosassone, il quale non ha conosciuto le derive totalitarie che hanno un po' ovunque tragicamente contrassegnato il Novecento. E altrettanto nota è quella sorta di spigolosità non di rado attribuita agli stessi Radicali.

 

Eppure guardando agli emendamenti all’ipotesi di legge elettorale elaborata dalla Commissione affari costituzionali del Senato presentati dai Radicali Emma Bonino, Marco Perduca e Donatella Poretti, volti a dare al Paese un sistema di voto alla francese – con l’uninominale maggioritario a doppio turno –, si coglie assai facilmente l’altro volto dell’approccio di questi “strani” liberali di sinistra: lo spirito empirico e l’attitudine a porsi in sintonia con i fatti e con la realtà, fino a smascherare i limiti e le contraddizioni degli altri soggetti politici.

 

Già: tanti anni fa il Psi di Bettino Craxi guardava alla Francia di Mitterrand e quella suggestione si è in seguito più volte riproposta, tanto che lo stesso D’Alema, in diverse circostanze, ha dichiarato ad esempio di non escludere a priori l’elezione diretta del Capo dello Stato.

 

Per non dire dell’idea di Giovanni Sartori di un esecutivo “con due motori”: presidente della Repubblica votato dai cittadini e governo espressione del Parlamento. Il “doppio turno”, poi, caratterizza le attuali regole elettorali per i Comuni con più di 15mila abitanti e per le Province, e persine le prossime primarie del centrosinistra prevedono tale meccanismo.

 

Senza dimenticare “le pulsioni francofile” suscitate dalla vittoria di Hollande, specie nell’area politico-culturale vicina al segretario del Pd Bersani. Certo: nessuna forza politica può riformare la legge elettorale da sola. Occorre il concorso di più soggetti, con i rispettivi interessi “di bottega”.

 

E al momento, avendo a disposizione pochissimo tempo, non ci sarebbero le condizioni per promuovere un autentico dibattito pubblico di alto profilo al riguardo. Perché, però, non provare a battersi con coerenza per le proprie ragioni e soprattutto per quelle del Paese, confidando finalmente nell’eventualità che “il possibile” divenga addirittura “probabile”?



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