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25/04/24

La Parata scomoda, andare o non a Mosca


Categoria: ESTERI
Pubblicato Martedì, 12 Maggio 2015 07:47
  • Silvio Pergameno

La grande parata militare a Mosca per le celebrazioni del 70° anniversario della vittoria nella seconda guerra mondiale sono diventate un caso politico. Infatti quasi tutti i leader occidentali hanno ritenuto opportuno non andare, per motivi abbastanza ovvi – in ragione delle recenti vicende di Crimea e del sud est ucraino. Paolo Gentiloni e Laurent Fabius, ministri degli esteri di Italia e Francia, invece si sono recati a Mosca, senza però andare a sedersi sul palco dei maggiorenti e si sono limitati a portare dei fiori al monumento del milite ignoto. il giorno dopo la parata è andata anche la cancelliera Angela Merkel, compiendo analogo atto di solidale partecipazione.

 

Era giusto andare o era preferibile non andare? E l’aver tenuto una via di mezzo può essere tenuto un comportamento significativo o mera espressione di prudente cerchiobottismo? Certamente buone ragioni e dubbi giustificati ci sono stati per tutti e probabilmente non vale la pena di andare alla ricerca di quale sarebbe stata la miglior cosa da fare.

 

È indubbiamente più utile, invece, cercare di compiere un passo avanti. Proprio i recenti avvenimenti hanno fornito elementi di riflessione sul generale problema dei rapporti tra l’Occidente, e in particolare i paesi europei, e la Russia postcomunista; da occidente, peraltro, non è stata tentata alcuna analisi approfondita su quanto stava a accadendo, e meno ancora è stata elaborata una qualsivoglia linea di condotta.

 

Con la caduta del Muro di Berlino, i paesi dell’est europeo si sono liberati del giogo sovietico e la Germania si è riunificata; fatti del massimo rilievo, che hanno ampiamente innovato il quadro politico europeo. Si è in un primo momento avuta la fugace sensazione che, venuta meno una delle due potenze in cui si articolava il mondo della Guerra fredda, non restassero che gli Stati Uniti nella posizione di unici padroni del mondo.

 

Illusione di breve momento, come è diventato presto chiaro; mentre la Russia iniziava un percorso di restaurazione nazionale, nel quale emergeva la figura di Boris Eltsin, che in qualche modo riusciva a garantire una sopravvivenza, senza peraltro ottenere alcuno specifico appoggio dall’Occidente, che fosse concepito nella prospettiva di avviare un processo di evoluzione in senso democratico della struttura politica di questo grande paese; tale non potendo certo essere considerato l’avvio di un sostegno al processo di “modernizzazione” tecnico-economica posto in essere dalla Germania, che,anzi, lascia fortemente temere si sia risolto in un sia pur involontario aiuto alle nuove forze autoritarie che hanno preso il sopravvento a Mosca, anche avvalendosi delle vecchie strutture.

 

La conseguenza di questo corso delle cose ha dato luogo a una ricostruzione di una Russia legata alle vecchie dimensioni e alle vecchie prospettive di paese di cultura europea, ma di dimensioni eurasiatiche, dotata di strutture statuali centralistiche e fortemente autoritarie, sempre interessata al ruolo di riferimento per tutti i popoli slavi e dominata dall’ambizione di rappresentare una forte potenza mondiale. Ed è un’ambizione molto sentita anche al livello popolare, proprio come sostituto alla mancanza di libertà, come è accaduto nell’Europa occidentale nella prima metà del secolo ventesimo: un contesto del quale noi europei oggi subiamo in maniera sempre più pesante l’evoluzione delle pretese. Non si può peraltro trascurare il problema.

 

La nuova Russia, in buona sostanza, non è affatto nuova; si sta ricostruendo come una grande potenza, in particolare attraverso la valorizzazione dello sterminato territorio tra gli Urali e l’Oceano Pacifico al fine di costruire intensi scambi con le nuove realtà del continente asiatico.

 

La nostra condizione di piccoli paesi europei (tra l’altro interessati da agguerrite tendenze a secessioni interne - la Jugoslavia si è frantumata in sei stati-regione, e poi scozzesi, catalani…) apre a una grande potenza ai nostri confini infinite possibilità di intervento, per farla da padrone, secondo una logica che appare indefettibile per una compagine a struttura autoritaria, in possesso di grandi risorse.

 

Si torna in tal modo al nostro discorso di sempre: l’assoluta necessità di dar vita a una compagine federale continentale, che sia in grado di operare al livello dei nuovi attori della politica internazionale e di avere la capacità di reggere ai nuovi confronti e alle nuove sfide, positivamente influenzando anche l’evoluzione politica fuori dai propri confini.

 

P.S.:

Silvio Berlusconi nella lettera inviata al Corriere della Sera giorni fa e di cui tanto si sta parlando, rivendica la sua amicizia con Putin come modello di un approccio diverso e più proficuo con la Russia postcomunista. Siamo certi che il Cavaliere abbia operato e si esprima con la massima convinzione e la miglior buona fede; ma la sensazione è che più che di una politica in grado di influenzare il corso delle cose si tratti di un’ingenua illusione non priva di tanti rischi.

 

 



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