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24/04/24

Dei ballottaggi, di Napoli e del ribellismo populista … Intervista del direttore di Radio Radicale Falconio a Rippa


Categoria: POLITICA
Pubblicato Mercoledì, 22 Giugno 2016 20:35

Nell’intervista che Giuseppe Rippa ha rilasciato ad Alessio Falconio direttore di Radio Radicale sulle elezioni amministrative di Napoli, emergono tre elementi che meritano di essere evidenziati. Innanzi tutto, il fatto che Napoli ha non solo anticipato taluni comportamenti degli elettori, ma pure l’affanno di un Partito Democratico che non riesce a delineare una prospettiva politica idonea ad affrontare le dinamiche e i problemi della società. Un deficit dovuto alla mancata soluzione della questione liberale al suo interno perché, nonostante la retorica della rottamazione e della modernità renziane, non ci si è liberati di nessuno dei vincoli corporativi e assistenzialistici che zavorrano la sua azione politica.

 

La vittoria arancione di De Magistris di cinque anni fa è stata così confermata oggi, lungo la scia di un’indignazione alimentata dal risentimento ribellista che stenta a declinarsi in un progetto di cambiamento reale. Ciò è particolarmente vero per una realtà come quella di Napoli, dove di fatto si è finito per assecondare il “non governo” endemico della città travestendolo come auto-governo. Una situazione che rischia di degenerare, laddove la polverizzazione della camorra estenderà i suoi effetti oltre i confini regionali.

 

Infine, emerge ancora una volta dalle recenti elezioni comunali un difetto di rappresentatività del nostro sistema politico e istituzionale. La metà degli elettori che rinunciano a esercitare il proprio diritto (a Napoli addirittura ha votato al ballottaggio solo il 36%) va spiegato non tanto in termini di accresciuta indifferenza o qualunquismo, ma come rifiuto delle opzioni sul campo. Le percentuali di consenso degli eletti vanno pertanto ridimensionate e lasciano intravedere uno spazio politico che può ancora essere ampiamente recuperato alle ragioni di una politica responsabile, capace di dare risposte di governo in difesa dei diritti. (L.O.R.)

 

***

 

Parlare raccontare quello che avviene dopo i ballottaggi. In particolare Napoli, racconta una realtà che è sempre più di marginalizzazione del PD, che non ha toccato palla in questa partita.

 

La sostanza è che la vicenda di Napoli è marginalizzata rispetto ad altre realtà, mentre invece è drammaticamente presente per tutte le conseguenze e i riflessi nazionali che potrebbe avere. Basta considerare il quadro generale della città, con la polverizzazione camorristica che avrà presto i suoi effetti nel contesto nazionale.

 

Emergono due fattori evidentissimi a Napoli. Il primo riguarda certamente la catastrofe del PD napoletano, che non è di oggi ma risale a cinque anni fa. Pochi ricordano che già nelle precedenti elezioni comunali De Magistris era riuscito vincitore proprio perché il PD aveva devastato la sua stessa ragione d’essere, senza riuscire a realizzare neanche la possibilità del ballottaggio.

 

In quell’occasione suonò il primo campanello d’allarme: il PD ottenne solo quattro consiglieri comunali…

 

Va considerato che si veniva da vent’anni di governo del Pds-Ds, per cui è sorprendente come si sia riusciti a terremotare una situazione del genere. Aggiungo che la situazione napoletana rischia ora di essere sottovalutata, in considerazione dei rischi che essa contiene.

 

Non posso che condividere il giudizio espresso da Biagio de Giovanni, a proposito del sindaco neo-eletto. De Giovanni parla di una “plebeizzazione” della città, che ha dei riflessi drammatici per lo sviluppo della situazione. A questo si aggiunge, secondo il filosofo, la volontà di non-governo politico da parte di De Magistris, ascrivendola non soltanto alla sua propensione populista ma al fatto che la città non vuole essere governata. Il percorso scelto da De Magistris magnifica un finto auto-governo che non corrisponde per nulla alla realtà delle cose.

 

È da sottolineare, inoltre, come i riformisti a Napoli – espressione del gruppo raccolto attorno all’ex presidente della Repubblica Napolitano – abbiano finito per assecondare, sin dalle primarie svoltesi in occasione della passata consigliatura, l’anti-politica di De Magistris. Come questo sia potuto accadere, si spiega con le radici che hanno dato vita al Partito Democratico.

 

Più volte, come «Quaderni Radicali», siamo intervenuti sulla natura e i limiti del PD: sia quando esso è sorto, evidenziando l’alternativa che aveva di fronte tra la sfida necessaria e il progetto da realizzare; sia in seguito per porre con forza la questione liberale all’interno della sinistra, la cui mancata soluzione è stata determinante per la creazione di questo stato di cose. E ancora di recente, in un numero del 2013 dedicato ad “un domani al Partito Democratico”, abbiamo evidenziato ambiguità e fragilità di un partito dove c’era tutto tranne che le soluzioni democratiche necessarie, caratterizzandosi piuttosto come l’amalgama di gruppi dirigenti ex comunisti e cattolici sociali alla ricerca di un perenne compromesso.

 

Tutto questo grumo di cose, proiettato su una città contraddistinta da gravissimi problemi ha generato questo tipo di parabola, senza che il PD riesca a mettere davvero a fuoco l’obiettivo della sua politica. In fondo il percorso di Renzi non si distingue da quanto è finora accaduto all’interno della sinistra, che ha sempre stentato a fare i conti con la propria storia per non disturbare gli interessi corporativi. Questo perché, al di là della studiata sottovalutazione del voto amministrativo, lo stesso Renzi manca di una propria sostanza politica limitandosi ad attuare un’occupazione di potere.

 

Né d’altro canto, si intravede da parte del sindaco un progetto praticabile al di là delle pose da Masaniello e della coltivazione di forme di ribellismo.

 

Sul piano della gestione amministrativa sono stati cinque anni di mera sopravvivenza. Anche se, va detto, che De Magistris ha compiuto il suo miracolo, essendo come rinato proprio dopo la vicenda giudiziaria che riguardava la sua candidabilità. Tuttavia, sembra da un lato aver scelto il nutrimento dei sentimenti di una popolazione intesa come “plebe” appunto, e – dall’altro – l’esercizio di un governo nei limiti del possibile e spesso anche al di sotto del possibile…

 

Da evidenziare che intorno a De Magistris abbiamo avuto il deserto di qualunque altra prospettiva alternativa al poujadismo populista. Un deserto prodotto dalla vocazione della città a operare nell’assenza di regole, cui ha dato forma politica De Magistris convertendola in un preteso auto-governo. Oltre che, non va dimenticato, dall’occupazione manu militari del post-comunismo a Napoli, che ha avuto come esito quello di annullare tutti gli altri filoni politico-culturali.

 

Mentre a Milano si ragiona in termini di confronto tra culture politiche, dove sono presenti se non altro i segmenti del poligono europeo, nel rispetto dell’avversario che caratterizza i soggetti che si sono sfidati, a Napoli viviamo una condizione di marginalizzazione. Emerge anche nei modi in cui l’elezione napoletana è stata trattata dall’informazione e non può non preoccupare per i suoi effetti drammatici. Eppure, proprio la polverizzazione della camorra, cui prima accennavo, si ripercuoterà sull’intero territorio nazionale. In verità, l’abbandono della realtà di Napoli è un atto di scelleratezza totale che si ricongiunge alla più generale assenza del Sud dagli orizzonti politici nazionali, nonostante il recentissimo presunto impegno governativo a rimetterlo al centro dell’agenda.

 

In questa chiave, l’atteggiamento di De Magistris – al di là delle sue ambizioni nazionali a svolgere un ruolo strategico sulla scia dei “podemos” spagnoli – è un atteggiamento politicamente fragile, inadeguato. Il punto rilevante è che la città sembra destinata ad altri cinque anni di non governo e di mancata coscienza e consapevolezza della gravità dei problemi che l’attraversano. E questo è sì conseguenza dell’azione di recupero di De Magistris nelle ultime settimane, ma anche dell’assoluta assenza di alternative possibili.

 

Si può dire che a Napoli il “grillismo” sia arrivato cinque anni prima che a Roma…

 

Il fenomeno del grillismo è il segno di una decomposizione: non nasce come un’alternativa politica, nasce come una forma di ribellismo i cui dati – secondo il nostro spirito laico ed empirico – sono tutti da valutare. Ma tutto l’impianto pregresso, gli interventi che la Raggi ha fatto – parlo per Roma – fanno presupporre che non abbia un progetto per la città: i vari argomenti trattati sono legati a delle emozioni, a delle situazioni specifiche e ribellioni anche legittime, senza che si delinei una via d’uscita dalla situazione creatasi nella capitale. Una città prodotto della storia del modello partitocratico e che è la summa di un sistema burocratico e parassitario. Come si pensa di affrontare il disboscamento di questo groviglio di interessi inestricabile, non è dato saperlo. Né è credibile che possa essere efficace il solo intervento di natura giudiziaria, come dimostra fra l’altro il ridimensionamento dell’inchiesta in sede d’appello.

 

Nel frattempo qual è la transizione politica? Come dare una forma di sviluppo positivo alle situazioni? È tutto ben lontano dall’essere definito. Tornando a Napoli, è chiaro che l’affermazione di De Magistris risponde a un modello di cultura non politica, di natura ribellistica, che allontana una risposta politica di cui c’è estremo bisogno. L’anti-politica non apre alcuna strada, perché non ci sono anticorpi per affrontare i rischi derivanti da una promiscuità dove c’è spazio per la polverizzazione camorristica.

 

Si evoca l’orgoglio partenopeo, ma esso non offre prospettive reali. Voglio citare un esempio a mio avviso chiarificatore della situazione. Negli ultimi dieci giorni il titolare di una importante struttura “Impresa”, che ha gestito di persona, anche se in modo nascosto, centinaia di milioni è stato arrestato. Si parla di un buco di circa 700 milioni di euro! Ebbene la città non sa nemmeno che questo arresto è avvenuto e del buco finanziario enorme da lui provocato, per dire come il sistema informativo sia ridotto in uno stato miserando. Basterebbe solo questo per comprendere quale clamoroso intreccio di interessi vi sia. È una situazione che lascia esterrefatti, ma dalla quale si evince che il camuffamento è una scelta obbligata e necessaria.

 

Dietro vi sono rischi enormi perché senza un ordine democratico liberale vi è soltanto l’anarchia e la frantumazione sociale. Cosicché i soggetti aggressivi e violenti possono alla fine prevalere. Qui non si tratta di guardare con disprezzo al meccanismo plebeo, ma di guardare con perplessità all’assenza di luoghi che formano risposte di governo.

 

Oggi De Magistris può anche mostrare un maggior margine di consapevolezza della situazione creatasi, tant’è vero che lamenta la scontatezza con cui l’informazione ha descritto la sua vittoria e mostra di preoccuparsi. Eppure lui stesso ha contribuito all’isolamento di Napoli, perché si muove con il semplicismo dell’autogoverno che è populismo allo stato puro.

 

Forse quella marginalità è stata la sua fortuna…

 

È stata la sua fortuna ma rischia di essere anche la pietra tombale della città, perché altri cinque anni di questa traiettoria finiranno per dare forza a nuclei di infezione che non si fermeranno a Napoli o alla Campania, ma si diffonderanno in tutto il territorio nazionale.

 

Il mancato governo politico delle situazioni rischia di condurre a esiti drammatici e non lo dico come pretesto, bensì perché voglio sottolineare come la vicenda radicale non è stata marginalizzata per caso ma in quanto conteneva gli ingredienti per affrontare in modo strutturale la crisi di un Paese che ha vissuto di assistenzialismo.

 

Ora che siamo giunti nudi alla meta e che i nodi di un debito pubblico incontrollato sono arrivati al pettine, si delinea la possibilità di rivitalizzare le culture politiche finora massacrate ma che sono le uniche in grado di gestire la parabola che stiamo vivendo. Né va trascurato che De Magistris è comunque il sindaco del 20 per cento dei cittadini, tenuto conto del buco nero dell’astensionismo che ormai costituisce ben oltre la metà degli elettori. Alla tradizionale quota di non partecipazione al voto, oggi si somma qualcosa in più che si spiega con il fatto che le opzioni di scelta non convincevano affatto. In questo senso c’è uno spazio politico enorme: il sindaco che ha ottenuto quasi il 70 per cento dei voti espressi, rappresenta in realtà poco più di un quinto della città. Cosa farà l’80 per cento che in lui non si riconosce?  Anche escludendo quel 20-25 % che si astiene sistematicamente per disinteresse, il resto è una porzione ampia di città che è priva di rappresentanza. Con queste elezioni si è esaltata la crisi di rappresentatività del nostro sistema politico e istituzionale: è un elemento sul quale dovremo ragionare, anche perché ha riguardato un po’ tutte le realtà. Non è che a Roma vi sia stata chissà quale partecipazione.

 

E anche in questo Napoli aveva anticipato questa tendenza cinque anni fa…

 

Senza dubbio alcuno. Adesso vedremo se i radicali, saranno in grado di tessere una trama capace di raccogliere l’intelligenza di fondo di questa crisi e di fornire gli strumenti per affrontare le problematiche politiche in modo corretto, ma anche adeguato per soddisfare sia le spinte di governabilità sia le domande di partecipazione. Finora il PD, nel suo evolversi dal 2007 a oggi, ha finito piuttosto per occludere uno sbocco positivo, laddove proprio Pannella nella formazione di un vero Partito Democratico capace di accogliere tutta la sinistra laica e liberale ­aveva individuato il soggetto in grado di affrontare la drammatica crisi nazionale e internazionale del nostro tempo. E forse proprio per questo era stato ulteriormente “oscurato” …..

 

- Geppi Rippa sul risultato dei ballottaggi alle elezioni amministrative (Radio Radicale.it)

 

 



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