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20/04/24

Degli inchini e degli abusi. Le streghe ignoranti


Categoria: STILE LIBERO
Pubblicato Martedì, 15 Luglio 2014 15:26

Che i nostri inchini non abbiano mai la valenza di un namasté lo sappiamo da tempo: non a caso gli inchini "fanno notizia" e ci rivelano che c’è ancora tutto un medioevo di usanze, pratiche e tradizioni nel nostro Paese che andrebbe debellato.

 

Se non altro, perché questi "rituali" hanno quasi sempre un sentore di morte, che si tratti della riverenza di una nave o di una Madonna…

 

Eppure, di fronte al "male conclamato", ciò che ancora riesce a stupire è l’ipocrisia dello scandalo, l’emersione di una coscienza grigia incerta, a metà tra il consenso del passato e l’"ideologia rivoluzionaria" del presente.

 

Esattamente come processi(oni) in corso, che si fermano…

 

Così, le ondate di sdegno dovrebbero tradursi in una forza motrice, in un appello costante a procedere, appunto, rispetto alle nostre fughe da fermi, poiché non è più tempo di teorie demonologiche che generino oscurantismi e false coscienze.

 

Nel dibattito etico in cui vengono chiamate in causa le istituzioni ecclesiastiche, ci si è talmente assuefatti alle risposte deboli e predicatorie, che l’immagine di Cristo con il bastone, a cui rimanda Papa Bergoglio a proposito della necessità di "punire" i responsabili di crimini perpetrati all’interno della Chiesa, può persino apparire come una svolta.

 

Perché non ci hanno convinto, per non dire indignato, le "Crimen sollicitationis" emesse dall’ex Sant’Uffizio, e nemmeno i briefing (sic!) con le vittime di abusi da parte di religiosi, almeno fino a che non è stata istituita la "Pontificia Commissione per la tutela dei minori": risposta dovuta da parte di Francesco, ma insufficiente a soddisfare le richieste avanzate dall’Onu sui diritti dell’infanzia.

 

Resta, inoltre, da chiarire il senso di certe scomuniche, paradossalmente per quelle che non sono state ancora emesse. Per quanto si possa meditare su una punizione parimenti inflitta alle donne che scelgono di abortire, ai massoni (tra cui, di fatto, rientrano diversi vescovi e cardinali) e ai mafiosi, viene da chiedersi perché tra le migliaia di preti accusati, solo poche decine di questi sono stati semplicemente spretati e i loro protettori neanche sollevati dai rispettivi incarichi.

 

Il magistero spirituale della Chiesa appare incerto di fronte alle sue stesse contraddizioni e ambiguità. Queste ultime, come le connessioni tra la mafia devota e la chiesa omertosa, non sono affatto una novità, eppure i "sacri inchini" al boss coglieranno sempre tutti di sorpresa fino a che, consumata la notizia e con essa il nostro sdegno, si ricomincerà a sorvolare su tutto…

 

Più che un volo in perfetto stile "Malleus Maleficarum", Francisco Goya ritrae proprio l’atto simbolico del "sorvolare", quando, dopo essere stato catapultato in una dimensione introspettiva e solitaria da una sindrome vestibolare, realizza il dipinto "Volo di streghe".

 

Fu egli stesso, dopo aver condiviso con molti amici intellettuali afrancesados ideali libertari e in nome dell’autonomia di giudizio, a scrivere: "Ci sono teste tanto piene di gas infiammabile che per volare non occorrono loro né pallone né streghe". Una lotta alla mediocrità del suo tempo senza sconti per nessuno: dalla derisione dei potenti a un’energica e sardonica offensiva nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche, non immuni da quei mali che affliggevano la comunità, ovvero ignoranza, superstizione, dissolutezza, corruzione.

 

Una doppiezza della vita reale che Goya mette in scena, dunque, anche nel dipinto acquistato nel 1798 dai duchi di Osuna.

 

Non credendo alla stregoneria e considerando il culto delle streghe come un’espressione del male annidato nella mente di ogni essere umano, Francisco conferisce una valenza polisemantica all’opera, intessuta di violenza, sacralità ed erotismo.

 

Antropofagismo, ascensione/deposizione, estasi?

 

Ogni personaggio rimanda a una possibilità rispetto alle tre strade indicate, che si avvicinano e si respingono in un atto che da solo sintetizza il senso dell’enigmaticità dell’opera, ovvero il gesto ambiguo del soffiare/succhiare (la vitalità?) della triade in volo.

 

Religiosità e capovolgimento della stessa in superstizione o crimine: tutto si delinea attraverso il movimento del corpo, laddove l’idea di trascendenza ne giustifica torture e sofferenze, fino a renderlo vittima di abusi inconfessabili.

 

Saper "ascoltare" la tela dell’artista spagnolo, potrebbe aiutarci a uscire dalla stupita indifferenza sui fatti di oggi, proprio come Goya seppe liberarsi dall’isolamento della sua malattia attraverso la creatività e la capacità di "sentire".

 

Piera Scognamiglio

 

 



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