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29/04/24

Renzi, quel percorso autoritario alla ricerca della governabilità


Categoria: EDITORIALI E COMMENTI
Pubblicato Mercoledì, 16 Luglio 2014 18:46
  • Silvio Pergameno

La governabilità è una brutta bestia e ove le sue esigenze non vengano soddisfatte è capace di sbranare qualsiasi forma di governo che non ne assicuri presupposti e condizioni: proprio noi italiani dovremmo ben essere consapevoli del peso di questa asserzione, in ragione del nostro passato, proprio di quel fascismo del quale tanto si parla, ma senza evidenziarne le origini. 

 

In realtà dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale nulla è stato fatto da parte delle classi dirigenti, dei partiti e dei sindacati, cioè del ceto nel quale si concentrano i poteri reali (forti o deboli che siano) e delle grandi organizzazioni di massa, per chiarire bene le origini del fascismo, del quale viene offerto – almeno al livello della grande comunicazione diffusa – soltanto un riferimento ai mesi della Repubblica Sociale Italiana, che sono stati venti per l’Italia del nord, nove per l’Italia del centro e nessuno o quasi per l’Italia meridionale: i mesi dell’incubo, per quanti hanno vissuto passivamente quel tempo, e di una prospettiva di riscatto per quanti hanno tentato le strade per conquistare un diverso domani.

 

Ma il fascismo italiano per oltre vent’anni (28 ottobre 1922 – 25 luglio 1943) è stato il percorso di un autoritarismo sempre più marcato, caratterizzato tuttavia – nei primi quattordici, cioè fino alla conquista dell’Etiopia - dal consenso popolare che ha riscosso proprio in dispregio alla democrazia e con il determinante sostegno di un nazionalismo, sempre più accanitamente revanschista: alla fine il disastroso ingresso nel secondo conflitto mondiale è diventato ineluttabile. La conquista dell’Etiopia (1935 – 36) determinò una svolta, prima di tutto a libello internazionale.

 

Fino a quel momento Mussolini era trattato bene dalle grandi potenze, perché aveva atto una politica che esse apprezzavano (un po’, diciamo, come hanno fatto fin troppo nel secondo dopoguerra con i dittatori del Medio Oriente – e proseguono a fare – con le conseguenze che sono sotto i nostri occhi). Furono la conquista dell’Etiopia e poi il sostegno armato al franchismo in Spagna e il progressivo avvicinamento (non privo di scimmiottamenti) alla Germania hitleriana a guastare i rapporti con la Francia e l’Inghilterra.

 

Gli anni del primo dopoguerra presentavano un’Italia in condizioni politiche molto simili a quelle attuali, proprio sotto il profilo della governabilità: la democrazia non la assicurava in alcun modo, partiti e sindacati ragionavano in termini di conquista di spazi e di potere e se, certo, esistevano spiriti illuminati , Gobetti, Gramsci, Amendola… certo, esistevano resistenze antifasciste al livello popolare, ma il loro peso nel quadro politico generale era quasi irrilevante.

 

Un paese allo sfascio, per mancanza di governo. L’inconcludenza delle istituzioni fu il dato di fatto che sostenne la vittoria del fascismo, attuato attraverso un colpo di stato messo in atto progressivamente, con la fase cruciale rappresentata dal delitto Matteotti. E nel 1946 la costituente, sorda agli appelli di Piero Calamandrei, ha costituzionalizzato l’errore di ricreare un esecutivo debole, in balìa delle maggioranze variabili delle assemblee (e variabili anche all’interno dei singoli partiti).

 

Oggi il rischio è grosso, in questa Italia corporativizzata e sminuzzata in tanti piccoli lotti di potere, assai spesso sostenuti da legislazione ad hoc – le famose leggine sulle quali tutti si trovano d’accordo, perché ognuno approva avendo il suo spazietto da conquistare e da difendere.

 

La Francia prima di De Gaulle presentava un panorama politico-economico affine a quello italiano, ma ne è uscita attraverso un approfondito cambiamento istituzionale, che ha portato a un regime semipresidenziale nel quale i poteri dei due presidenti sono stati definiti e istituzionalizzati; si dirà che non ha riacquistato quel ruolo di grande potenza cui appare tanto legata, ma una razionalizzazione interna è stata ottenuta e le maggiori ambizioni da cui è afflitta appartengono a un discorso che appartiene ad altro ambito di considerazioni.

 

Il rischio per l’Italia sta nel fatto che una razionalizzazione venga imposta di fatto e a colpi di maggioranza senza una previa e accurata disamina della situazione e senza un dibattito diffuso, senza un esame di coscienza come quello effettuato in Germania sul passato nazista a partire dal 1968: un percorso del genere potrebbe dare adito a una svolta di stampo autoritario (e non pochi presupposti ne sono già in atto), dalle cui più deleterie conseguenze potrebbe salvarci soltanto l’appartenenza più stretta all’Unione Europea e alla zona euro. Forse… Tanto per fare un esempio, la situazione ungherese non sembra molto persuasiva.

 

Matteo Renzi ha enfatizzato notevolmente il ruolo della riforma del Senato nell’assicurare una garanzia di governabilità, in questo sostenuto dal noto politologo Roberto d’Alimonte (v. il Corriere del 16 luglio), in quanto le disposizioni in corso di approvazione attuano una concentrazione nella camera bassa dei poteri di controllo del governo. D’Alimonte anzi li vorrebbe rafforzati.

 

Ora a questo proposito si deve osservare che, senza dubbio, se il governo deve superare la prova dell’approvazione di suoi provvedimenti da parte di un’assemblea invece che di due, con il rischio di diversi andirivieni tra Camera e Senato, si dovrebbe realizzare una riduzione dei tempi. Ma il campo della governabilità non può ritenersi confinato in questo aspetto; proprio in questi giorni infatti si è molto parlato dei ritardi, addirittura di anni, da parte delle Amministrazioni nel dare corso si provvedimenti attuativi delle riforme varate dal Parlamento, rimaste quindi nel limbo delle buone intenzioni. Anche questa è materia di governabilità (il governo propone che in caso di ritardi oltre certi limiti sia esso stesso a provvedere in merito…).

 

Ma il problema della governabilità non finisce qui: si rifletta anche solo su un altro aspetto, del quale pure tanto si parla, anche se non con espresso riferimento al tema della governabilità: le decine e decine di migliaia di disposizioni di legge, affastellate senza alcun criterio, che creano infinite barriere allo svolgimento concreto dell’attività governativa.

 

Sicuramente ministeri e autorità giurisdizionali creano infiniti ostacoli, ma sono istituzioni che di fronte alla farraginosità e non di rado alla contraddittorietà delle disposizioni “vigenti” non possono fare altro che prenderne atto e cercare delle vie giuridicamente possibili per venirne in capo o magari per ostacolare provvedimenti non graditi…: e poi è fatale che più si allarga il cosiddetto settore pubblico, più si resta vittime delle burocrazie.

 

Occorre poi alzare lo sguardo e prendere in considerazione le incidenze che provengono dal mondo politico, dove i conflitti fra partiti e all’interno dei partiti rappresentano un altro capitolo della massima rilevanza in termini di governabilità: un governo redige delle proposte di legge o pone in essere misure di ordinaria o straordinaria amministrazione o comunque iniziative di politica interna o estera, che ovviamente mirano a perseguire scopi o a introdurre cambiamenti negli assetti esistenti: è chiaro che in tale opera si urta contro interessi consolidati e spesso protetti da disposizioni di legge….pensiamo proprio alle misure di riforma indispensabili per assicurare crescita alla nostra economia, ai conflitti che suscitano, ai rischi che stiamo correndo, pensiamo soltanto al fatto che il peso già enorme del debito pubblico continua a crescere…

 

Ecco, questi sono temi di governabilità, temi, cioè, che investono direttamente e in profondità tutto il mondo politico e sociale, La governabilità non la si assicura con un fiat e il punto di partenza di un percorso lungo e doloroso sta in un indispensabile confronto politico esteso e senza mezzi termini, perché gli italiani almeno possano iniziare a comprenderne i termini.

 

 



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