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15/05/24

Crisi e democrazia


Categoria: EDITORIALI E COMMENTI
Pubblicato Sabato, 11 Ottobre 2014 12:29
  • Silvio Pergameno

La recente vicenda parlamentare, che ha visto come protagonista l’art. 18 dello statuto dei lavoratori, sembra avere richiamato l’attenzione dei commentatori più che sulla portata del jobs act, dell’impatto che può avere sui nostri conti pubblici e sulle speranze di un miglioramento delle condizioni economiche del paese, soprattutto, invece, sul deterioramento del nostro sistema democratico, che nella vicenda stessa si è reso palese.

 

Renzi, in sostanza si rileva, si è mosso con piglio autoritario, mettendo gli oppositori davanti ad alternative senza mezzi termini e facendo passare il progetto di legge delega sul lavoro attraverso la pressione del voto di fiducia.

 

Nel merito la riforma a livello europeo è stata accolta bene da Angela Merkel e in termini entusiastici da José Manuel Barroso (la prima non si è capito bene se per vera convinzione o per un fatto di momentanea convenienza) ed è chiaro che avrà i suoi ammiratori e i suoi detrattori, ma quanto al rispetto delle regole democratiche occorre osservare, preliminarmente, che sono decenni che si gira intorno al problema e che anche questa volta la soluzione approvata in Senato è passata perché presentata in una forma attenuata, che ricorda da vicino quella della legge Fornero, con un rinvio ai decreti delegati per una definizione dettagliata dei casi di licenziamento per motivi disciplinari nei quali sarà possibile il reintegro del dipendente (si tratterà, cioè in parole povere, di delimitare la discrezionalità interpretativa dell’autorità giurisdizionale).

 

E il procedimento? Non c’è nessuna regola che vieti di porre la fiducia in caso di provvedimenti legislativi in materia di lavoro, anche se sussisteva una prassi in senso contrario. Ma una prassi resta pur sempre una prassi, che logicamente si forma sotto la spinta di motivazioni di ordine politico.

 

Resta così confermato il fatto che l’istituto della fiducia parlamentare, come tante volte si è scritto, è uno strumento utilizzato dal governo per forzare la mano al parlamento ed è la prova di un’intrinseca disfunzione nei rapporti tra governo e parlamento, che si manifesta quando i regimi parlamentari degenerano in senso assembleari stico, quando i parlamenti pretendono di governare al posto dei governi.

 

É quel che è accaduto in Italia e, sotto, il profilo istituzionale, spiega perchè il paese vive da troppo tempo in una stato di immobilismo; e questo in un tempo in cui innovazioni di vasta portata sarebbero indispensabili. È facile la denuncia del partitismo; ma occorre trarne le conseguenze. Il tratto più dannoso dell’egemonia dei partiti è rappresentato dalla strumentalizzazione che essi costantemente realizzano sulle istituzioni, trasformate in camere di registrazione di decisioni prese fuori. Questo è il punto di partenza, l’antefatto di ogni processo riformatore.

 

I partiti sono diventati i luoghi del potere reale, non sono più le libere associazioni di cui all’art.49 della costituzione, ma lo strumento della difesa corporativa e spartitoria in cui si articola lo stato sociale. E hanno perduto il carattere fondamentale della rappresentatività. I cittadini non si riconoscono più in essi, le iscrizioni si riducono costantemente e vistosamente di anno in anno (come è successo sia al PD che a Forza Italia, in particolare). I cittadini partecipano alle primarie che danno, almeno apparentemente, il senso di contare (anche se iniziano a disertarle, vedi il caso dell'Emilia e Romagna).

 

Il governo, allora, deve trovare la fonte della sua legittimazione nel voto popolare, attraverso un sistema presidenziale o semipresidenziale, altrimenti la forza dei problemi reali fa aggio sulle leggi e sulle costituzioni e arriva a premiare l’esercizio di fatto del potere: la fiducia parlamentare è concepita in un quadro costituzionale come uno strumento di controllo degli eletti sul governo, ma si ribalta in concreto in uno strumento con il quale il governo piega le resistenze del parlamento, quando il parlamento non è più tale, ma si riduce a una proiezione del gioco tra i partiti.

 

C’è una postilla a questo discorso: una trasformazione costituzionale di quella indicata è realizzabile ed ha  portata novativa se matura nell’ambito di un dibattito approfondito, in grado di coinvolgere il paese e trovare espressione a tutti i livelli della classe dirigente. Che sembra essere proprio l’elemento mancante nell’attuale panorama politico nazionale.

 

 



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