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30/04/24

Il partito dell’Antiriforma contro i referendum sulla Giustizia-Giusta


Categoria: EDITORIALI E COMMENTI
Pubblicato Domenica, 06 Giugno 2021 22:41
  • Luigi O. Rintallo

Se si dovesse individuare una costante negativa della politica italiana in questo ultimo decennio la si può individuare nell’assenza di un reale coinvolgimento dei cittadini. Sia a causa dei sistemi di voto adottati, sia perché il processo decisionale è stato condizionato dall’esterno o attraverso gli accordi delle nomenclature, fatto è che da tempo la popolazione non ha modo di incidere sulle scelte politiche.

 

Lo stesso exploit del Movimento 5 Stelle, favorito in parte anche dall’utilizzo del web che televisioni e giornali compiacenti rilanciavano, ha rivelato presto quanto fosse ingannevole e illusoria l’enfasi che esso riponeva nelle forme di democrazia diretta on line, dal momento che si è convertito in uno sfogatoio qualunquistico anziché in un’opportunità di crescita della democrazia.

 

In tale situazione, l’annuncio dei sei referendum radicali sulla giustizia dovrebbe essere accolto come un’occasione di rinnovata partecipazione, una vera e propria ventata rinfrescante nella stagnante palude degli interessi autoreferenziali delle segreterie di partito. E invece prontamente è scattato un muro di sbarramento, sia a livello politico che mediatico, in linea con il permanente progetto restaurativo e conservatore che contraddistingue il cosiddetto establishment.

 

La cosa non sorprende più di tanto, ma conferma anche che per certi ambienti – non solo politici, ma pure economici e corporativi – la democrazia partecipata è qualcosa da scongiurare, qualcosa che si teme perché capace di mettere in pericolo assetti consolidati su cui si fondano poteri e privilegi. Il paradosso, rilevato dal direttore Giuseppe Rippa, è che in Italia le limitazioni dello sviluppo democratico provengono in primo luogo da alcune enclave presenti all’interno di due perni essenziali di ogni democrazia: magistratura e informazione.

 

Singolare come su alcuni giornali è tutto un agitarsi contro l’ipotesi referendaria. In una nota di Massimo Franco sul «Corriere della Sera», la principale preoccupazione è quella di denunciare l’uso strumentale dei referendum anziché discuterne nel merito.

 

Un espediente per parlare d’altro, usando il bau bau dell’adesione salviniana, per occultare la limpidezza del percorso che essi consentono di intraprendere, nel pieno rispetto delle prerogative costituzionali senza cedere affatto alle tentazioni poujadiste delle proteste di piazza (reali o virtuali che siano). Anche la sottolineatura delle contraddizioni, per cui la Lega un tempo forcaiola si unisce alla campagna radicale (che potrebbe essere un ripensamento di civiltà giuridica), serve soltanto a screditare la campagna referendaria.

 

Altrettanto speciose ci appaiono le obiezioni avanzate dal segretario del PD, Enrico Letta, il quale violentando la grammatica istituzionale li definisce “strumento per fare lotta politica”, quasi fossero paragonabili a mezzi di propaganda e non piuttosto il modo per chiamare i cittadini a esprimersi sui problemi che li riguardano direttamente. O forse per il prof. tornato da Parigi, la preoccupazione è che uomini del suo partito stanno dichiarandosi a favore del referendum. Lo stato comatoso in cui versa la giustizia rappresenta oggi il principale problema della convivenza civile e dalla sua riforma dipende la stessa possibilità di un rilancio del Paese intero.

 

È un errore ritenere che i referendum possano rappresentare un ostacolo a un eventuale processo riformatore da parte del legislatore: tutt’altro. La riforma (il cui luogo, contrariamente a quanto dichiarato da Letta, non è il governo Draghi ma il Parlamento) è anzi favorita dai quesiti referendari che contribuiscono a individuare i nodi da sciogliere. Anche perché è finito il tempo delle diagnosi – oramai ampiamente recepite dal dibattito pubblico – e si devono indicare le terapie.

 

Il percorso dei referendum è autonomo e dà tempi certi, che non sono particolarmente lunghi: con la loro celebrazione entro il 15 giugno 2022, esso si conclude. Dai referendum non viene alcuna limitazione al lavoro dei parlamentari, i quali se prevarrà una disposizione fattiva hanno ben modo di realizzare le riforme che servono.

 

Se al suo posto, prevarrà invece ancora una volta la pratica dilatoria e si eluderà la rimozione degli ostacoli che impediscono alla giustizia di funzionare, allora i referendum saranno una straordinaria occasione per coinvolgere i cittadini in un confronto aperto apportatore di un chiarimento importante.

 

 - Referendum Giustizia. Politica e magistratura: il difficile equilibrio. Angelo Panebbianco su Corsera

 

 



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