
“Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia”: questa frase pluricitata di Pasolini si conferma di nuovo valida a proposito delle polemiche sorte attorno al Manifesto di Ventotene, dopo le dichiarazioni alla Camera della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Ne è nata una “tempesta mediatica”, paragonabile a certi esperimenti dei fisici in laboratorio: simulazioni che artificiosamente ricreano un evento, ma che non hanno niente a che vedere con la realtà.
La sua particolarità interessante consiste nell’aver concentrato in sé tutti gli effetti derivanti dalla storica prevalenza nel panorama politico italiano di concezioni estranee a una visione laica e liberale dell’agire politico.
L’estromissione di ogni residua area liberale, laica, socialista e radicale dalla scena avvenuta nell’ultimo trentennio ha reso possibile che potesse verificarsi, attorno alla discussione sul Manifesto redatto da Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, questo fenomenale ingorgo di asserzioni e proclami che hanno in comune soltanto un caotico intreccio fatto di intenti manipolatori e cattivi servizi del sistema informativo, subalterno come sempre agli obiettivi di quanti hanno interesse a sabotare ogni processo di autentica consapevolezza da parte dei cittadini.
Far defluire questo ingorgo richiede pazienza e per questo è necessario procedere con metodicità allo sgombero degli incroci critici, cercando di ricostruirne la formazione. Ci proveremo di seguito con questi appunti che, sebbene non ci contiamo molto, possono forse rivelarsi utili.
1. A pregiudicare la viabilità di un corretto confronto d’idee su passato e futuro dell’Europa, è stato dapprima l’uso improprio del testo redatto da Rossi e Spinelli durante la manifestazione promossa dall’appello dell’editorialista de «la Repubblica» «»ed autore tv Michele Serra il 15 marzo scorsoDel resto, l’evento stesso nasceva sotto il segno dell’equivocità: l’appello a scendere in piazza per l’Europa giungeva all’indomani dell’annuncio da parte del Presidente USA dell’avvio di trattative per un cessate il fuoco tra Russi e Ucraini, dalle quali l’UE era di fatto esclusa. In tal modo, la manifestazione assumeva poliedrici contorni: rianimava l’anti-americanismo d’antan ed evocava un quanto mai artefatto orgoglio europeista, dove la velleità di protagonismo si mescolava al radicato pacifismo che invoca la pace, guardandosi bene dal costruire le condizioni che la rendono possibile.
Dalla redazione della testata, proprietà di Elkann, per la quale Serra firma la sua rubrica, pensavano bene di stampare in forma di opuscolo il Manifesto di Ventotene, con il quale rifornire alla vigilia della marcia i lettori.
Con la prefazione di Corrado Augias, il libretto veniva così sventolato dai manifestanti a Piazza del Popolo a mo’ di sacro breviario che, in una ideale continuità dall’isola pontina a Bruxelles, serviva a dare una qualche identità a quella sorta di Europe Pride di una piazza dove non affiorava nemmeno una lontana parvenza dello spirito critico dimostrato dall’autore, Altiero Spinelli, verso una Unione Europea assai lontana da quello che egli auspicava.
Gongolanti per la geniale trovata, a «la Repubblica» non immaginavano che essa si sarebbe convertita in un assist per la premier del governo di Centrodestra. Succede quando una buona musica è fatta suonare da tromboni arrugginiti di ideologie nefaste, frettolosamente riverniciati con una patina liberal dopo avere per decenni fatto da megafono alla propaganda di oltrecortina.
Diverso esito avrebbe avuto l’operazione se, anziché usare come un feticcio il Manifesto, si fosse seguito un altro tipo di approccio, quale quello adottato da «Quaderni Radicali». Anche la nostra rivista, dieci mesi prima, alla vigilia del voto per il Parlamento europeo, ne aveva pubblicato il testo integralenel n. 119.
Tuttavia, ben consapevoli – come scrivevamo – che “a più di ottant’anni da allora sarebbe insensato credere che le parole degli estensori possano essere riprese alla lettera”, lo avevamo fatto seguire da una lettura critica affidata a una giovane collaboratrice, Giulia Anzani, che ne evidenziava il senso più vero nella sfida della costruzione di un futuro improntato sui principi del diritto capace di dare speranza alle nuove generazioni.
2. Una volta “ingabbiato” il Manifesto di Ventotene, riducendolo a icona identitaria di una opposizione incardinata sul PD, che fa di un europeismo di facciata la “figura di schermo” per preservare il continuismo restaurativo delle oligarchie, è stato gioco facile per Giorgia Meloni farne un bersaglio polemico nella replica pronunciata alla Camera dei deputati il 19 marzo. Anche in questo caso si è assistito alla combinazione di manovre capaci di ostruire l’accesso tanto alla semplice comprensione dello scritto, quanto alla sua effettiva interpretazione storico-politica.
Il paradosso, infatti, sta nel fatto che i passi citati nell’intervento alla Camera, relativi alla necessità di una “dittatura pedagogica” sulle masse e alla limitazione della proprietà privata, hanno suscitato sia nei detrattori della premier, sia nei suoi supporter commenti e giudizi che incrementavano oltre misura la confusione e snaturavano perfino i riferimenti ideali e storici delle frasi contestate.
Da un lato gli indignati dell’opposizione, accusando la presidente del Consiglio di aver “dissacrato” il testo, finivano per assolutizzarlo e lo sottraevano all’ovvia contestualizzazione, rivendicata dallo stesso Spinelli in una intervista di anni fa dove ammetteva che esso conteneva “parecchie cose sbagliate”; dall’altro lato quanti, a difesa della provocazione meloniana, riconducevano quelle citazioni a una matrice comunista, contribuivano ad un ulteriore fraintendimento, visto che esse erano precedute nel Manifesto da una spietata critica alla politica dei partiti comunisti e andavano ricollegate piuttosto all’anti-fascismo azionista, di radice gobettiana.
Nel merito, poi, andrebbe tenuto presente lo stato del mondo al momento in cui queste frasi – obiettivamente ostiche a ogni minima sensibilità democratica – furono vergate dagli autori: nel 1941, al posto di popoli liberi in tutta Europa vi erano masse plaudenti verso i dittatori nazisti e comunisti, fra l’altro ancora alleati tra loro col patto Molotov-Ribbentrop che aveva dato inizio alla guerra con la spartizione della Polonia tra Germania e URSS. Quale meraviglia che si avesse qualche dubbio circa la possibilità di scalzarli attraverso libere elezioni? Una situazione estrema, che giustificava il prefigurare soluzioni estreme ben più di quanto accada oggi, quando classi dirigenti mediocri non esitano irresponsabilmente a praticarle le soluzioni estreme, tradendo i valori fondanti ai quali dicono di ispirarsi.
Quanto alle ipotesi di limitazione del diritto di proprietà, non sappiamo se qualcuno ha suggerito alla premier il riferimento del passo, ma certo suona alquanto singolare che la leader di Fratelli d’Italia, un partito che nel suo programma attuale prevede la golden share per le aziende di servizi primari per la collettività o l’azionariato diffuso dei lavoratori alle imprese, si erga a paladina della proprietà privata e respinga in modo così tranchant concetti che sono stati poi recepiti nella Costituzione repubblicana (art. 43).
3. Sul Manifesto di Ventotene si è dunque consumata una vera e propria opera di mistificazione. A sinistra se ne sono appropriati per coprire l’incapacità di compiere una revisione profonda: semplicemente lo usano come surrogato delle ideologie condannate dalla storia, per evitare di fare i conti con il passato. A destra, lo descrivono come la matrice originaria delle deviazioni autoritarie dell’odierna UE.
Queste due interpretazioni sono in realtà complementari e non stupisce, dal momento che entrambe sono il prodotto di culture politiche contrarie al progetto politico che ispirava i confinati a Ventotene. Quanto poco l’UE scaturita dai Trattati di Maastricht e Lisbona, con le sue derive ottusamente tecnocratiche, ancora profondamente condizionata dalle logiche nazionaliste che guidano i due paesi pilota, Francia e Germania, fosse invisa ad Altiero Spinelli lo ha testimoniato Marco Pannella poco più di dieci anni fa nell’intervista a «Quaderni Radicali» (n. 110). È allora – ricordava il leader radicale – che “viene fuori lo scoramento di Spinelli, il suo pessimismo”, anche perché “coloro che dopo la scomparsa di Altiero si autodefinirono federalisti europei… si muovono nella scia di un modello che con chiarezza in un’intervista al «Die Welt» Mario Monti sintetizzò: ‘Stati Uniti d’Europa? Non sono possibili…’”.
L’abbandono di ogni prospettiva federalista certifica l’assoluta irrilevanza di qualunque pretesa di considerare l’UE dell’eurocrazia come un’eredità del progetto del Manifesto di Ventotene. Non ha niente a che fare e gli ultimi eventi non fanno che confermarlo. Da questo punto di vista, prende purtroppo un abbaglio anche Luca Ricolfi quando – su «Il Messaggero» del 20 marzo – scrive: “L’Europa di oggi, governata da una élite burocratica ed autoreferenziale, soffre del medesimo male – la costruzione dall’alto, senza coinvolgimento popolare – che affligge il Manifesto di Ventotene”. Una lettura anti-storica, che trascura l’impegno politico di Spinelli nel dopoguerra e lo inchioda al 1941 per comodità polemica.
Quella di Ventotene è una “profezia liberaldemocratica” che, come ricordava Pannella nel 2014, rivela tutta la fragilità dell’illusione statalista e indica invece per l’Europa la prospettiva federale, che è ben diversa dalla tentazione al Super-Stato che ha insita sé la tabe nazionalista e alla quale oggi taluni paiono occhieggiare pregiudicando il futuro.
Come concludevamo un nostro articolo nel n. 119 di «Quaderni Radicali»: “Delle due Europe che storicamente, negli ultimi secoli, si sono manifestate va respinta quella che ha prodotto i totalitarismi, frutto delle ideologie che hanno insanguinato il mondo, e va invece perseguita quella che ha sempre difeso le ragioni della libertà individuale, della convivenza, delle autonomie e del diritto. Un’Europa che faccia proprie le caratteristiche del suo cuore geografico, la Svizzera, fondata sulla libertà dei cittadini, sulla espressione democratica della loro volontà, aliena da stolidi conflitti ma anche pronta a difendersi ed a scongiurare il sopruso di burocrazie voraci di risorse a danno della prosperità di tutti”.