All’inizio de La Ruota Delle Meraviglie uno pensa “Sarà Jim Belushi a farci ridere in questo film”. Humpty, Il goffo e burbero giostraio ancora innamorato di Ginny (Kate Winslet) entra prepotentemente in scena con la grinta affettuosa del padre rude ma disposto al perdono di Carolina (Juno Temple), sua figlia di primo letto sposata a un gangster che adesso le da la caccia perché, da pentita, è passata all’FBI.
Ma l’insoddisfazione della moglie, attricetta riciclatasi come cameriera di un ristorante, alle prese con un figlio piromane e i sensi di colpa verso il precedente marito, diventa il perno della storia.
Tutto si svolge nel 1950 in una Coney Island-capitale del divertimento in declino. Vittorio Storaro dipinge l’immenso Luna Park di cui è fatta la città come un perenne Sunset Boulevard lungo il quale quattro personaggi fanno i conti con sogni irrealizzati e improbabili possibilità di nuove chances redentrici.
Anche Mickey (Justin Timberlake), il bagnino-aspirante drammaturgo, all’inizio l’unico “pulito” dei quattro protagonisti, che nella prima parte del film è la fedele voce narrante della storia, poi abbandona il flirt con gli spettatori in sala per immergersi nei fatti, verso il dramma conclusivo; a sorpresa.
D’altro non si può svelare se non la straordinaria interpretazione di Kate Winslet, superba per verità, misura ed efficacia, perfetta in ogni sfumatura recitativa durante tutto il percorso e gli snodi del suo ruolo, riuscendo ad assecondare persino qualche capriccio del direttore della fotografia in vena di virtuosismi da Star della Luce.
Allen riesce in un’impresa finora mai portata compiutamente a termine né con Interiors che con Un’Altra Donna, né con Crimini e Misfatti o Blue Jasmine, pur somiglianti per la maggior parte dei contenuti: lo schiacciante realismo del Sogno statunitense (da sempre spacciato dagli autoctoni per Americano perché così suona più esteso e dunque condivisibile), l’impotenza individuale di fronte agli eventi inattesi, l’essenziale illusorietà di passioni e sentimenti, i bilanci esistenziali fallimentari, l’imperativo categorico di non soccombere alla fatica di gestirli.
Privato dell’humor e dell’ironia ai quali ci aveva abituato, Il regista costruisce un film dal carattere simile a quello dei drammi più rappresentati di Tennessee Williams, di più e meglio di quanto avvenuto in precedenza, anche se permane un spessore narrativo meno amaro in cui tutto cambia ma nulla si distrugge. Almeno, così vien dato a vedere.
Chi però si starà chiedendo, se la discontinuità qualitativa dell’ultimo decennio rivela in quest’opera la svolta stilistica del regista, dovrà attendere l’uscita del prossimo film, peraltro già in lavorazione. Titolo provvisorio: Rainy Day in New York.
Nel cast Jude Law e Elle Fanning. La storia è quella di un uomo di mezza età che seduce (o quanto meno ci prova) ogni ambiziosa attrice o modella che gli capiti a tiro di provino. È naturalmente inclusa la relazione sessuale tra l’adulto e una donna molto più giovane.
Rimane da chiarire, almeno per il momento, se eventuali riferimenti a persone o fatti reali siano casuali o meno…