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23/11/24 ore

'Cogan – Killing them softly', l'America del disincanto


  • Florence Ursino

"Abortire l'America e poi guardarla con dolcezza" sembra sussurrare il 'Cogan' di Andrew Dominik. L'ultima pellicola del regista di 'The assassination of Jesse James by the coward Robert Ford' si insinua con eleganza tra le gambe di una Nazione che per secoli ha cullato nel suo grembo un sogno fatto di prosperità, uguaglianza, unione, estirpando infine il denutrito scheletro di quell'idea da una cavità rivelatasi sterile e malata.

 

'Cogan – Killing them softly', tratto da 'Cogan's Trade', romanzo del 1974 dell'ex procuratore aggiunto di Boston George V. Higgins, è la storia di una rapina durante una partita di poker organizzata dalla malavita, di un'economia criminale che risente del colpo, di un killer ingaggiato per scoprire i colpevoli e restaurare il naturale ordine delle cose.

 

Sullo sfondo la periferia umida e arrugginita di una New Orleans in piena crisi finanziaria, atmosfere sporche e minimaliste, la faccia sbavata e grigia di Stati 'uniti' solo dal Business, cuore pulsante ma indebolito di un assemblamento di umanità senza legge né morale.

 

Mentre sugli schermi e nelle autoradio della Lousiana impazza lo scontro elettorale tra Bush e Obama e la voracità di un'economia che ingurgita ogni speranza, per le strade il killer Cogan uccide dolcemente, da lontano, coreografo impassibile di una danza di morte e violenza, fatta di schegge di vetro, sangue e metallo.

 

Un film 'nero', quello di Dominik, solcato dal rosso viscoso di un capitalismo ferito che non differisce nelle sue dinamiche naturali da una qualsiasi organizzazione criminale. L'America di Jefferson riflette le sue reali sembianze di disincantato sicario nello specchio frantumato di un'economia al collasso, visione deformata e deformante di una realtà tenuta in piedi dalle consunte corde del burattinaio Denaro.

 

Il regista neozelandese mette in scena uno spettacolo della parola in cui i protagonisti si lasciano andare a lunghi dialoghi carichi di alienante normalità e sardonica indifferenza: un 'saggio' filmico sulla naturalità del crimine, scritto con sobrietà, senza troppi fronzoli, arricchito da un ottimo cast (brillante le performance del 'Soprano' James Gandolfini e del sempre più bravo Brad Pitt), da un sapiente uso della macchina a mano e da musiche che 'sporcano' in maniera perfetta il ralenti di alcune sequenze clou.

 

Non c'è riscatto, pietà o speranza, per Dominik: 'Cogan' è l'America senza passato, senza futuro, è un presente di domanda e offerta, di "terre promesse regalate a chi non le mantiene".


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