di Giulia Anzani
È ormai giugno. A due settimane dalla prima di Exodus, ho il piacere e l’onore di fare una chiacchierata con Mariana Porceddu, prima ballerina della compagnia NoGravity e co-coreografa dello spettacolo.
Raccontami un po’ dei tuoi spettacoli.
In realtà non sono “i miei” spettacoli, in genere è Emiliano (Pellisari, nda) l’ideatore. Exodus è il primo per cui io ho avuto l’idea. È stata una piccola novità…
Allora riformulo… com’è nato Exodus?
Nasce tutto da una prima immagine. È difficile da inquadrare perché tu non sai come né perché arrivi. Exodus, nello specifico, è nato da un’immagine fortissima che mi è venuta in mente entrando a teatro: una barca formata da dei corpi. Era un periodo in cui si parlava spessissimo di migranti e io mi sono molto interessata a quelle toccanti storie. È probabile che le idee nascano anche da quello che respiri nel periodo. Ho studiato tanto un libro che avevo già letto e che ha rappresentato il concreto punto di partenza per tutte le idee successive: L’ultimo viaggio di Sinbad di Erri de Luca, in cui storie bibliche del profeta Giona s’intrecciano a un viaggio senza tempo.
Mi ha aiutata anche studiare l’arte di Jordi Savall, un raffinatissimo studioso di musica antica che ha rimesso in musica il Mediterraneo: i Balcani, il Medioriente, l’Africa del Nord. Una volta messo insieme tutto, con Emiliano abbiamo dato alla luce Exodus, un connubio tra le mie idee e la sua capacità immaginativa superiore alla media. Ha inquadrato esattamente quello che avevo in mente. Non è frequente che le mie idee fioriscano, di solito lo fanno dopo che lui butta il seme.
Mi piacerebbe sapere qualcosa sulla compagnia NoGravity
L’esordio della compagnia risale al 2005, a Mosca, con Daimon Project. Si sono susseguiti alcuni spettacoli, come Orfeo ed Euridice durante la notte bianca del 2006. Poi nel 2008 sono arrivata io, quando la compagnia stava per fare la prima tournée di undici date, dopo molte date sporadiche, con Inferno. Dal 2008 ad oggi, sono cambiati tutti i danzatori… tranne me! Posso dirti che s’instaurano rapporti che a volte durano nel tempo.
Il mio assistente, Saverio (Cifaldi, nda) lavora con noi dal 2016, ed è lavorativamente il più anziano. Leila (Ghiabbi, nda) lavora con noi da un po’ e sta diventando fissa all’interno della compagnia. Poi c’è Jade Inserra che è la nostra mascotte, e lavora con noi da più o meno cinque anni. Gli altri sono novelli, ci sarà chi resterà e chi no. In quest’ambito lavorativo è difficile sapere quanto durerà il rapporto. Sicuramente però tra noi c’è affetto e ci troviamo bene.
Da spettatrice, ti dico che il feeling si vede. E poi credo sia necessario, dato che immagino passiate ore a contatto…
Assolutamente sì. Si vive insieme, solo il dormire ci separa. Preparando Exodus, siamo stati insieme tutto il giorno, tutti i giorni. All’essere umano tutto questo contatto fa male, dopo un po’… produce tensioni e nervosismi, ma per fortuna abbiamo abbastanza esperienza per saperli gestire. E poi, come dicevo, c’è affetto e sopratutto voglia di fare. Sento da parte loro la voglia di lavorare insieme. Quando ci si conosce bene, poi, le opere sono migliori. La novità e il ricambio tra i danzatori è normale e ci vuole. Ma è necessario che ci sia qualcuno che ti capisca nel profondo, con cui avere fiducia reciproca.
E per quanto riguarda il tuo percorso personale? Intendo da prima di arrivare alla compagnia NoGravity.
Io sono nata nel 1981 nell’Isola di Sant’Antioco, in Sardegna. Ho iniziato immediatamente a danzare. È qualcosa di magico, come le idee… sai come ti arrivano le idee? No, arrivano e basta. E così è danzare, semplicemente nasci per farlo. Nessuno dice che devi danzare, è solo un messaggio che dal tuo corpo arriva al tuo cervello. Tu innanzi tutto balli sempre, in ogni posto. Una spinta e un motore interno che non si ferma mai. La fortuna che ho avuto è che nel corso degli anni ’80, nell’Isola di Sant’Antioco, sono arrivati due maestri diplomati all’Accademia Nazionale di Danza di Roma e hanno aperto la scuola. Gli sarò sempre grata di essersi accorti di me, di aver notato la mia passione. Mi hanno chiesto se volessi fare la carriera di danzatrice.
Come ti dicevo, sono nata in un’isola. Un’isola in un’isola. Per chi nasce in un contesto così, è difficile spiegare ciò che si ha dentro. Sapevo che c’era chi andava all’università dopo la scuola, ma non avevo idea c he esistesse una carriera di danzatrice. A 11 anni ho deciso di farlo, di lanciarmi a capofitto su questa carriera. I due insegnanti mi hanno fatto intraprendere gli studi, paralleli alla scuola, in modo da poter fare l’esame per l’Accademia dopo il diploma scolastico.
A posteriori, penso a quanta fatica ho fatto dedicando tutte le mie energie alla danza. Studiavo tre ore al giorno, poi cinque, poi sei… e così via. Man mano che crescevo aumentavano le mie ore di studio. La mia priorità era la danza. Ho fatto, poi, tre anni nell’Accademia Nazionale di Danza, dove mi sono diplomata. Da lì, c’è stata la ricerca del lavoro che mi ha fatto piombare in una depressione nera.
Un giorno, mentre facevo lavoretti di mantenimento come tanti studenti, ho deciso: lascio tutto e mi dedico solo alla danza. Per due stagioni ho fatto parte della compagnia di Danza Prospettiva di Vittorio Biagi, maestro assoluto della danza, grande coreografo che mi ha riempito l’anima. Poi ho avuto altri periodi con poco lavoro… e finalmente ho conosciuto Emiliano. Ricorderò per tutta la vita il momento in cui ho messo piede nella sua compagnia e ho pensato “è quello giusto”. Mi sono lasciata andare al suo lavoro.
Dopo cinque anni di collaborazione intensa, in cui sono stata sua assistente e appassionata seguace, ci siamo innamorati, e abbiamo dei figli insieme. Uno dei nostri connubi più riusciti.