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21/11/24 ore

Spettacoli galleggianti al ‘Teatro alla Deriva’ alle Terme-Stufe di Nerone (Bacoli, Na). Conversazione con Mario Autore



di Claudia Pariotti 

 

È partita, alle Terme-Stufe di Nerone (Bacoli, Na), l’undicesima edizione di Teatro alla Deriva (il teatro sulla zattera) ideata da Ernesto Collutta e con la direzione artistica di Giovanni Meola. Nella suggestiva atmosfera flegrea enfatizzata dallo scenario del complesso termale delle Stufe di Nerone, quattro serate, quattro domeniche, durante le quali godere di opere selezionate tra le proposte più avvincenti al debutto o semi-debutto.

 

Con la particolarità che verranno recitate sospese su una zattera circondati dalle acque delle stufe termali. La rassegna è partita domenica 3 luglio con Cazzimma&Arraggia di Fulvio Sacco e Napoleone Zavatto, un lavoro presentato già quest’inverno al Bellini in cui due improbabili dirigenti attendono nella loro camera d’albergo a Barcellona la conferma dell’acquisto di Diego Armando Maradona.

 

Domenica 10 luglio è stata la volta dell’Urlo di Jimmy per la regia di Peppe Miale, uno spettacolo liberamente ispirato alla trilogia della violenza di H. Pinter, per risate amare e “compassione per uomini deboli”. 

 

I prossimi appuntamenti, che iniziano alle 21h30, prevedono in cartellone il Don Giovanni, per la regia di Mario Autore (con Anna Bocchino, Ettore Nigro, Antonio Piccolo e Federica Pirone) in scena galleggiante domenica 17 luglio, e Fattochiarìe, regia ed interpretazione di Marco Sgamato, in scena domenica 24 luglio (info e biglietti si possono richiedere alla mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. ). 

 

In virtù dell’appuntamento di domenica prossima, ci siamo intrattenuti in una breve conversazione con Mario Autore sul suo Don Giovanni

 

 

 

 

Don Giovanni in zattera. Una bella challenge. Pensare di rappresentarlo su un palcoscenico così particolare ha destabilizzato l’idea originale che avevi per il tuo spettacolo oppure ha reso la gestione della regia più interessante? 

 

È stata sicuramente una sfida interessante. Questo spettacolo ha mutato molte volte forma, in primis perché era stato programmato per andare in scena nel 2020, poi la pandemia ha bloccato tutto. L’occasione di presentarlo nella rassegna di Teatro alla Deriva mi ha fornito, in un certo senso, una soluzione di regia alle numerose idee che nel tempo si accumulavano per via dell’attesa.

 

Alcuni elementi erano già previsti, come l’assenza di quinte che implica una costante presenza in scena degli interpreti, e sulla zattera si presenta esattamente la stessa situazione. Ma anche l’idea di isolare gli attori, in particolare di isolare Don Giovanni, in quello che è uno spazio a parte, sospeso, quasi abbandonato.

 

Su una classica scena teatrale avevo pensato di rendere questo aspetto disegnando uno perimetro circolare bianco all’interno del palco, quasi come fosse una piattaforma lunare. Invece, da questo punto di vista, la zattera si presta ancora meglio per enfatizzare questo senso di isolamento. 

 

Come hai appena accennato, questo spettacolo era stato programmato per andare in scena nel 2020. Si può dire che era in cantiere da un po’. Come hai vissuto quest’attesa durata quasi due anni?

 

L’attesa è stata lunga, direi anche troppo. Eravamo praticamente pronti, e d’improvviso siamo stati bloccati. Poi sono sorte, come successo in molte compagnie, difficoltà, cambiamenti nel gruppo, per un po’ sembrava quasi che questa creatura non dovesse vedere la luce!

 

Infatti, in queste peripezie, ci ho visto una sfiziosa analogia con l’opera originale. Il testo del Don Giovanni nacque in fretta e furia per sostituire un’altra opera di Molière che era stata totalmente censurata (Il Tartufo), tant’è che il testo è in prosa e non in versi.

 

Tuttavia, anche questo nuovo testo incontrò numerose critiche, fu censurato in alcuni punti e fu avanzata anche una richiesta di scomunica per Molière in quanto autore dello ‘scandaloso Don Giovanni’. I problemi non riguardavano solo gli argomenti trattati ma anche la rappresentazione a tratti ridicola della provvidenza religiosa. Insomma, il testo fin dalla sua apparizione nel XVsecolo ha sempre avuto un’anima un po’ dannata… e così è stato anche per noi.

 

Ma adesso sono entusiasta che incontri finalmente il pubblico, anche perché, per quanto abbiamo provato, ci sono dei momenti in cui la partecipazione e reazione degli spettatori sarà una sorpresa anche per noi e per i tempi delle musiche ad esempio…

 


 

Musiche che in quest’opera, come in altre, hai curato tu?

 

Sì, anche per il Don Giovanni ho curato i riadattamenti di alcuni temi musicali dell’opera omonima di Mozart. E mi sono divertito molto a farlo, mi piace rielaborare in chiave elettronica delle arie già familiari per il pubblico, ma restituirgliele con qualcosa di diverso, con toni che forse non si aspettavano nemmeno da certi brani. 

 

Com’è stato confrontarsi con Molière, e come mai hai scelto proprio quest’opera?

 

Devo essere sincero, io ho una predilezione per le drammaturgie pop, cioè per gli spettacoli che non richiedono una particolare preparazione del pubblico per essere capiti. Molière è stato un autore monumentale proprio perché con le sue opere riusciva a parlare a tutti con il registro giusto, con ironia, e riuscendo ad interpretare al meglio tanti aspetti della natura umana.

 

Affrontare quest’opera mi ha permesso di indagare tanto, del resto, da allievo di Carlo Cerciello, ho la tendenza a passare prima per uno studio saggistico delle opere che affronto. Leggo moltissimo, prima e durante l’elaborazione della regia, e quando trovo questioni psicoanalitiche, come in questo caso, così interessanti non posso fare a meno di esserne attratto. 

 


 

Classe ’93, sei da molti anni nel teatro, l’anno scorso è arrivato anche il grande successo al cinema come attore protagonista nei ‘Fratelli de Filippo’. Adesso senti di voler ritornare al teatro o ti piacerebbe proseguire con la settima arte, magari immaginandoti non solo davanti allo schermo ma anche dietro…

 

Sono due mondi completamente diversi, e che affronto in maniera diversa. Però ora non riesco a dirti che voglio sceglierne uno piuttosto che l’altro. Sento che posso ancora dare moltissimo sia nel teatro che al cinema, e questa continua ricerca nell’uno come nell’altro ambito è una forza che mi alimenta e stimola tantissimo.

 

Non sono uno a cui piace adagiarsi, sono uno a cui piace avere sempre qualcosa di diverso da provare. Mi rendo conto che non sia una passeggiata conciliare le due arti, sono entrambe scienze particolarmente elaborate, io vorrei trovare il giusto algoritmo per equilibrarle nella mia vita entrambe perché sento che ne vale la pena.

 

Per quanto riguarda le partecipazioni sul grande schermo, ti confesso che attualmente c’è un lavoro di scrittura a cui mi sto dedicando… non posso ancora dire molto ma sono fiducioso e spero che arriverà a realizzarsi.

 

Ti faccio un’ultima domanda prima di salutarti e di farti l’in bocca al lupo per i tuoi prossimi lavori. Pensi che essere nato e cresciuto, anche a livello di studio e di carriera, a Napoli ti abbia in qualche modo dato degli stimoli o delle opportunità particolari? 

 

Napoli ha un humus teatrale molto ricco, vive un fermento artistico che secondo me arriva ad essere superiore a quello di Roma. Per cui sì, per chiunque voglia iniziare a lavorare nel teatro Napoli è un’ottima palestra, o comunque per me lo è sicuramente stata, questa città ed i suoi talenti mi hanno alimentato e fatto crescere esponenzialmente. Poi però, c’è da dire che per mantenere vivo quest’humus forse c’è bisogno di scelte politiche molto più strutturate.

 

Se devo pensare al cinema, ad esempio, è vero che negli ultimi anni tantissime produzioni sono passate per Napoli a girare tantissimi film che sono circolati tra sale e piattaforme digitali, ma questo non significa che la città sia stata trasformata in un polo di riferimento.

 

Per fare questa operazione ci vorrebbe tutta un’infrastruttura di servizi che girano intorno al mondo del cinema e dello spettacolo che ancora non abbiamo, per cui a livello di opportunità viviamo in una giostra di alti e bassi, ma questo non significa che in futuro le cose non si possano trasformare. Ripeto, però, che per fare questo c’è bisogno di scelte politiche mirate.  

 

 

 

 


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