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24/12/24 ore

Le ipocrisie di chi odia l’America (il gioco delle parti pro/contro Trump)



di Angelo Panebianco

(dal corriere.it) 

 

C’è, in Europa, un gioco delle parti, paradossale solo in apparenza. Gli antiamericani tifano, compatti, per Donald Trump. I filoamericani sperano nell’impeachment o anche, eventualmente, in qualunque altra gabola o miracolo che possa servire a cacciarlo dalla Casa Bianca. Le ragioni per le quali gli antiamericani sono con lui e i filoamericani contro sono le stesse. I primi sperano, e i secondi temono, che egli smantelli quella società liberale occidentale che l’America ha contribuito a difendere e a sostenere dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi. Protezionismo, sovranismo, convergenza con i russi.

 

I nemici del libero mercato e della democrazia (occidentale) vanno a nozze con un simile programma. Da sempre, odiano l’America perché, con le idee e con le armi, ha sostenuto, e difeso (contro i vari tipi di totalitarismo che si sono succeduti nel corso del tempo), questi due pilastri della società liberale. Gli antiamericani apprezzano Putin perché rappresenta un mondo e una cultura antitetici rispetto a quella occidentale. Trump ha dato loro la speranza che in Europa possa realizzarsi un grande rivolgimento: la fine della influenza (culturale, economica, politica, militare) americana e la sua sostituzione con l’influenza russa. Come gli antiamericani sanno benissimo, o intuiscono, un simile rivolgimento porterebbe in breve tempo anche l’Europa fuori dalla (odiata) civiltà liberale.

 

Sono identiche le ragioni che spingono i filoamericani ad avversare Trump. Essi continuano a pensare che senza l’America non ci siano argini contro i nemici della società aperta. Pensano che il protezionismo generi povertà, guerre e dispotismo. Pensano anche che con Putin si debba trattare ma senza abbassare la guardia, nella consapevolezza della distanza, culturale e politica, che ci separa da lui. In quella prospettiva risulta solo indigesto un presidente che si propone di smantellare, in nome del nazionalismo e dell’opposizione a qualunque forma di internazionalismo — ivi compreso l’internazionalismo liberale — il ruolo egemonico assunto dall’America dopo il 1945.

 

Per questo, i filoamericani sperano che il Russiagate diventi la fossa politica di Trump. Al momento, questa appare solo una pia illusione. Ma è comunque lecito sperare che egli ne esca condizionato. In modo da minimizzare, da ridurre il più possibile, i danni che la sua amministrazione potrebbe procurare al mondo occidentale nel suo insieme.

 

Ci sono tuttavia due aspetti del «trumpismo» che hanno una certa validità e che non dovrebbero essere gettati via. Il primo riguarda la sua opposizione nei confronti della ideologia del politicamente corretto. I nemici di Trump farebbero bene a non sottovalutare quanto quella opposizione abbia suscitato consensi e contribuito alla sua vittoria. La malattia — lo sappiamo — è nata nei campus universitari e si è poi diffusa anche al di fuori. Il politicamente corretto è una forma di integralismo culturale che ammorba l’aria e soffoca il libero pensiero. È davvero poco lungimirante lasciare a Trump il compito di combatterlo.

 

Il secondo aspetto riguarda la sua politica mediorientale...

 

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