di Alessandro Barbano
(da ilmattino.it)
Presidente Raffaele Cantone, il Senato si appresta ad approvare in prima lettura una riforma del codice antimafia che estende le confische e i sequestri di patrimoni nei confronti degli imputati di reati contro la pubblica amministrazione, compreso il peculato semplice. Uno dei più autorevoli studiosi del diritto penale, Giovanni Fiandaca, ritiene la riforma di nulla utilità e «frutto di un populismo penale onnivoro, che strumentalizza politicamente la lotta alla corruzione come spot elettorale». Uno dei maggiori costituzionalisti italiani, Sabino Cassese, la giudica contraria alla Carta e controproducente nella lotta alla corruzione, perché - dice - avrà solo l’effetto di scoraggiare gli onesti. Lei pensa che la riforma sia giusta? E necessaria, o almeno utile?
«Condivido le preoccupazioni espresse dai due illustri cattedratici, certamente più autorevoli di me. La modifica che si vuole approvare al Codice antimafia non è né utile, né opportuna e rischia persino di essere controproducente. Non è utile nei confronti delle organizzazioni mafiose che utilizzano la corruzione, perché in tali casi può certamente già utilizzarsi la normativa vigente; non è opportuna e non serve nemmeno per le altre vicende di corruzione, perché, come ha già sperimentato con successo la Procura di Roma, anche in questo caso la confisca di prevenzione può essere adottata a legislazione vigente, in presenza, però, di episodi reiterati che dimostrino che il soggetto trae risorse in via non episodica dalla corruzione.
Rischia, invece, di essere persino controproducente, perché la legislazione antimafia ha retto rispetto ai dubbi di legittimità costituzionale e a quelli di contrasto alle convenzioni internazionali, proprio per il suo carattere eccezionale e per il fatto di essere rivolta a organizzazioni pericolose come le mafie; un’estensione così ampia anche a reati non mafiosi, per paradosso, potrebbe portare a rivedere queste posizioni e quindi rendere concreto il rischio di una declaratoria di illegittimità dell’intero impianto normativo, sguarnendo il campo dell’antimafia di un presidio che si è dimostrato molto importante».
Nel provvedimento in discussione al Senato, si è deciso di porre un argine all’uso indiscriminato dei sequestri e delle confische, condizionandoli alla presenza di un’ipotesi indiziaria di associazione per delinquere. Secondo il procuratore antimafia Franco Roberti questa limitazione è una garanzia sufficiente a rendere la riforma coerente e valida. Secondo un altro autorevole studioso del diritto penale, Vittorio Manes, è invece addirittura dannosa, perché potrebbe persino alimentare un pericoloso circolo vizioso: aggravando la tendenza – già molto diffusa specie in sede inquirente - a contestare la fattispecie associativa anche in assenza dei suoi reali presupposti, in modo da poter domani ottenere, se non la condanna, una confisca di prevenzione. Qual è la sua opinione?
«L’intervento del procuratore nazionale antimafia dimostra la serietà della preoccupazione per i possibili effetti di una eccessiva estensione applicativa di una normativa di prevenzione, estesa ai reati contro la pubblica amministrazione; non credo però che il rimedio suggerito da Roberti sia davvero in grado di sterilizzare i rischi, atteso che da un lato basterebbero meri indizi dell’esistenza di un’associazione a delinquere per disporre la confisca, e sotto altro profilo si potrebbe persino impedire una confisca, oggi possibile, per quei corrotti che, fuori dai circuiti associativi, utilizzassero sistematicamente la corruzione per arricchirsi. Lo dico con umiltà e grande rispetto del Parlamento, che in buona fede crede di fornire un nuovo strumento per contrastare il cancro corruttivo, ma credo che questa riforma rischi di portare vantaggi di gran lunga inferiori ai possibili effetti negativi sul sistema complessivo»...
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