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23/11/24 ore

Cina: morte di Liu Xiaobo e Occidente ignavo. Nobel e diritti dell'uomo



di Stefano Pelaggi*  

(da affarinternazionali.it)

 

La morte di Liu Xiaobo, avvenuta giovedì 13 luglio nell'ospedale di Shenyang, ha temporaneamente acceso i riflettori sulle presunte violazioni dei diritti umani in Cina. All'attivista cinese, condannato con l'accusa di 'incitamento alla sovversione dei poteri dello Stato', era stato diagnosticato un cancro al fegato allo stato terminale nel mese di maggio 2017. Liu Xiaobo era stato trasferito lo scorso 26 giugno in una struttura ospedaliera al di fuori del carcere, pur rimanendo in stato di arresto.

 

La famiglia di Liu Xiaobo aveva chiesto alle autorità cinesi di permettere al dissidente di tornare a casa per le sue ultime settimane di vita. Liu Xiaobo è il primo premio Nobel per la Pace a morire mentre si trova agli arresti dopo Carl von Ossietzky, il pacifista tedesco avversario del nazismo che ricevette il premio nel 1935 e morì in carcere nel 1938 dopo anni di maltrattamenti. La sua vicenda ha attirato l'attenzione della stampa occidentale nelle scorse settimana, ma le reazioni dei Paesi europei sono state ben lontane dalla strenua energia con cui per anni l'Occidente ha difeso i dissidenti cinesi.

 

Il percorso di uno studioso 'dissidente a tempo pieno' 
Liu Xiaobo era uno studioso, un letterato e un poeta che per quasi tutta la sua vita è stato costretto dalle circostanze a divenire un 'dissidente a tempo pieno', impossibilitato a svolgere la sua professione dal governo di Pechino. Liu si trovava all'estero, con una cattedra alla Columbia University di New York, durante la rivolta di Tienanmen: non appena arrivarono le prime notizie delle proteste, ritornò in Cina per scendere in piazza con gli studenti. Fu uno dei promotori dello sciopero della fame e tentò di aprire la trattativa con i militari mentre i carri iniziavano la violenta repressione.

 

Negli anni seguenti verrà arrestato più volte con accuse che vanno dalla propaganda controrivoluzionaria al disturbo della quiete pubblica. L'attivista, che ha ricevuto il premio Nobel per la Pace nel 2010, è stato il promotore di 'Charta 08' un manifesto redatto in occasione delle Olimpiadi di Pechino che sostiene la necessità di introdurre gradualmente delle riforme democratiche nel sistema politico cinese.

 

Il documento aveva attratto l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale: le richieste redatte dai 303 firmatari erano centrate sulla necessità di un cambiamento nella gestione della cosa pubblica in Cina e sull'avvio di un processo di apertura nei confronti della libertà politica e dei diritti civili. Il governo cinese reagì da subito in maniera decisa e dura nei confronti di tutti i firmatari del documento: l'appello venne definito un attacco alla sovranità e un tentativo di sovversione alimentato da poteri stranieri.

 

Occidente 'distratto', Norvegia silente 
La stessa Norvegia venne duramente criticata per l'assegnazione del Nobel a Liu Xiaobo, e Pechino si mobilitò immediatamente per boicottare la cerimonia di consegna del premio. Ben 19 nazioni, tra cui la Russia e l'Iran, declinarono l'invito per la serata a Oslo, mentre altre cinquanta nazioni non risposero. Pechino vietò, nei mesi immediatamente successivi, l'importazione di salmone norvegese in Cina, creando danni all'economia del Paese.

 

Una situazione che è cambiata solo qualche mese fa, con un riavvicinamento suggellato da uno scambio di dichiarazioni. Oslo cita la volontà di rispettare la sovranità della Repubblica popolare cinese e promette di non attivare nel futuro nessun tipo d'azione che possa minare gli interessi di Pechino. Pechino fa esplicito riferimento a un riconoscimento, da parte di Oslo, delle ragioni che avevano portato ad un congelamento dei rapporti diplomatici e cita esplicitamente la volontà norvegese di non ripetere gli errori commessi nel passato. Il rifiuto del premier norvegese Erna Solberg di rilasciare un commento sulla vicenda di Liu Xiaobo o di sottoscrivere un appello pubblico nelle scorse settimane può essere letto come un adempimento di Oslo all'accordo con Pechino.

 

Nel recente G20 tedesco nessuno dei leader ha nominato Liu Xiaobo: la Cina ha fatto chiaramente capire che non accetta alcun tipo di intromissione nelle sue vicende interne e anche la citazione di violazioni di diritti umani nel Paese rappresenta una interferenza sulla sovranità nazionale per Pechino. Gli Stati europei preferiscono lasciare le proteste e le obiezioni sulle questioni dei diritti civili all'Unione europea per poter sviluppare accordi economici e politici bilaterali: Pechino ha sinora accettato questa condizione senza troppi problemi. E gli Stati Uniti di Donald Trump non hanno la stessa sensibilità dell'America di Obama. 



* Stefano Pelaggi è Docente presso l'Università di Roma La Sapienza e Research Fellow presso il Centre for Chinese Studies di Taipei

 

- da affarinternazionali.it

 

 


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