Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

23/11/24 ore

Regeni, complotto in chiave anti-Roma. L'ombra degli 007 britannici e Usa



di Valentino Di Giacomo (da Il Mattino)

 

Una morte orrenda, giunta dopo atroci torture, poi gli innumerevoli depistaggi nel corso del tempo. Dietro l’uccisione di Giulio Regeni c’è un intrigo di interessi internazionali. Una spy-story che coinvolge non solo l’Egitto e l’Italia, ma anche, e soprattutto, Regno Unito e Usa, in particolar modo le influenze di questi governi sulla complessa situazione in Libia che il nostro Paese da anni cerca di gestire.

 

Un’oscura regia che ancora continua – presumono gli analisti dell’intelligence - ad osservare l’anomala tempistica con cui il New York Times ha pubblicato le «prove esplosive» sull’uccisione del giovane ricercatore italiano. Rivelazioni che in realtà di «esplosivo» hanno ben poco e non aggiungono nulla a quanto già riportato dai giornali italiani – tra cui Il Mattino – all’indomani del ritrovamento del cadavere martorizzato di Regeni. Un mix di ipotesi pubblicate dal quotidiano statunitense che però arrivano nello stesso giorno in cui Alfano ha deciso di far ritornare al Cairo il proprio ambasciatore che era stato richiamato nei giorni successivi all’omicidio.

 

Il complotto. Per comprendere meglio quanto sta accadendo nelle ultime ore bisogna però riavvolgere il nastro e ritornare a quel 3 febbraio dello scorso anno quando il corpo di Giulio fu ritrovato. Regeni era stato pedinato e filmato dai Servizi di sicurezza egiziani per poi essere prelevato e ucciso tra atroci torture. L’intelligence era già al corrente di tutto sin da subito, probabilmente informata proprio dalle spie americane, ma la provenienza delle informazioni non è mai stata rivelata. Sempre il Mattino pubblicò in esclusiva il 10 febbraio dello scorso anno l’ipotesi vagliata dai nostri 007 e dal Copasir (la commissione parlamentare che interagisce con i Servizi segreti) che Giulio potesse essere stato inconsapevolmente assoldato dall’intelligence britannica per fare attività di ricerca in Egitto per conto della Military Agency.

 

 «Presto – scrivevamo lo scorso anno - sarà attivata un’indagine per sapere se Regeni appartenesse ai servizi di sicurezza di altri Paesi. Il college di Cambridge, dove Giulio studiava, è infatti considerato un centro di reclutamento dei servizi segreti del Regno Unito». Un’ipotesi che resta in piedi e che, anzi, è avvalorata dal totale silenzio nel corso del tempo da parte dell’università inglese che è stata reticente anche nei confronti della procura di Roma che indaga sul caso. Su alcuni organi d’informazione fu persino fatta passare la fake news che Regeni potesse essere una spia italiana, ma in realtà il giovane mai aveva fatto richiesta di adesione alla nostra intelligence e tra le oltre 8mila domande non compariva il suo nome.

 

Il dossier libico. Appena un mese prima l’uccisione di Giulio, l’Italia ebbe un ruolo decisivo per far siglare lo storico accordo tra il Parlamento di Tobruk (nell’Est della Libia) e il governo di unità nazionale a guida al-Sarraj. Era il 17 dicembre del 2015 quando a Skhirat, in Marocco, fu firmata l’intesa alla presenza dell’allora ministro degli Esteri e attuale premier, Paolo Gentiloni. Il 25 gennaio successivo sarebbe poi stato rapito Regeni.

 

L’accordo tra l’Est e l’Ovest della Libia sarebbe stato un passo importante per l’Italia per salvaguardare i propri interessi economici che attraverso l’Eni ha in Tripolitania, poi per il delicato controllo del traffico di migranti verso le nostre coste fatalmente esploso nei mesi successivi. Un’intesa, come poi effettivamente accaduto, messa a dura prova dalle rimostranze del generale Haftar in Cirenaica. Lo stesso generale che è sostenuto fortemente dal governo egiziano, ma anche da Inghilterra, Francia e Arabia Saudita. Altri Paesi – si sono chiesti in questo tempo gli analisti del comparto intelligence italiano – avevano interesse a far saltare i rapporti diplomatici tra il Cairo e Roma per pregiudicare un’intesa tra i due governi sulla Libia?

 

 «I rapporti italiani tra Italia ed Egitto sono ottimi da sempre, ne è il segnale che sia stato Renzi il primo premier occidentale a fare visita al presidente egiziano al-Sisi. Differenti visioni soltanto per quanto riguarda la situazione libica, dove il nostro esecutivo spinge per un accordo tra i governi di Tripoli e Tobruk. Al-Sisi ha invece legami eccellenti solo con Tobruk».

 

Il ritorno dell’ambasciatore. Martedì scorso l’Italia ha deciso di far ritornare in Egitto il proprio ambasciatore Cantini. Una decisione sofferta, ma necessaria alla luce della recente visita al Cairo del generale Haftar. La settimana scorsa il capo dell’autoproclamato esercito libico di liberazione, dopo aver lanciato le proprie minacce di bombardare le navi italiane impegnate nella missione bilaterale per il contrasto al traffico di esseri umani, aveva aperto un dialogo con il capo di stato maggiore egiziano Hegazy per cercare sponde contro l’Italia.

 

In particolare il generale aveva chiesto un aiuto all’Egitto per portare dalla propria parte le milizie di Misurata che attualmente sono decisive per sostenere anche militarmente il governo di Tripoli. Per il nostro governo, se saltasse al-Sarraj, si aprirebbe una fase complicatissima sia per la gestione dei traffici migratori, poi per gli interessi dell’Eni in Tripolitania. Di qui la decisione di Gentiloni e Alfano di rafforzare il dialogo con il Cairo, una scelta obbligata per non cadere in quella che viene vissuta come una «trappola internazionale» ordita contro l’Italia. Una macchinazione spregiudicata che ha lasciato uccidere barbaramente un giovane 28enne per alterare le relazioni tra i due Paesi.

 

Tanto più che l’Eni nei mesi antecedenti all’uccisione di Giulio aveva scoperto in Egitto, a Zhor, uno dei più vasti giacimenti di gas del pianeta. Un ottimo argomento per convincere il governo di al-Sisi a fare pressioni su Haftar per non osteggiare ulteriormente il processo di ricomposizione politica in Libia. Poi, nel giorno del ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo, il New York Times ha cercato di rinfocolare la polemica sul fronte interno del nostro Paese pubblicando ipotesi «esplosive» che in realtà non aggiungono nulla di nuovo alla vicenda.

 

Giulio è stato probabilmente ucciso dai servizi egiziani, ma è sulle reali motivazioni di questa azione che sorgono i dubbi più inquietanti: pur se da responsabile il governo egiziano potrebbe essere solo un convitato di pietra. E l’intelligence italiana qualche tesi a riguardo, con o senza l’ausilio degli 007 americani, l’ha già vagliata da tempo.

 

da ilmattino.it

 

 


Aggiungi commento