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16/11/24 ore

Il futuro dell'Iran Deal senza gli Usa



di Francesca Manenti 

(Centro Sudi Internazionali - CESI)

 

Martedì 8 maggio il Presidente Donald Trump ha annunciato la sospensione della partecipazione degli Stati Uniti dal Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), l’accordo firmato nel 2015 con l’Iran per la rimodulazione del programma di ricerca nucleare. Anticipata rispetto alla scadenza prevista dalla legge statunitense di implementazione del patto (prevista per il 12 maggio), giunge a sugello della contrarietà dell’attuale Amministrazione nei confronti dell’accordo, considerato insufficiente per limitare non tanto la possibilità tecnica per l’Iran di acquisire una capacità atomica militare quanto l’espansione dell’influenza politica nella regione.

 

Il passo indietro dovrebbe aprire la strada ad un ripristino del regime sanzionatorio imposto fino al 2016 contro la Repubblica Islamica, finalizzato a colpire settori chiave per l’economia interna e ad impedire uno sviluppo tecnologico-industriale in grado di trainare la crescita del Paese. 

 

La decisione di Trump, tuttavia, non annulla di per sé il JCPOA, di cui gli Stati Uniti sono solo uno dei firmatari e che vede coinvolti anche Cina, Russia, Germania, Francia e Gran Bretagna, nonché l’Unione Europea. Sia da parte di Bruxelles sia dal così detto gruppo EU3 è giunto un unanime disappunto rispetto alla decisione di Trump già nelle ore immediatamente successive al discorso del Presidente. Il giro di visite effettuato alla Casa Bianca tra fine aprile e i primi giorni di maggio dal Presidente francese, Emmanuel Macron, dalla Cancelliera tedesca, Angela Merkel e dal Segretario agli Esteri inglese, Boris Johnson, hanno evidenziato la comune posizione di Francia, Germania e Gran Bretagna dell’importanza di provare a salvare l’intesa con l’Iran.

 

Questa convergenza di interessi, ribadita dal comunicato dell’Alto Rappresentante dell’UE, Federica Mogherini, ha ribadito come il sostegno al JCPOA incarni la volontà politica dell’Europa di portare avanti un percorso di riavvicinamento con la Repubblica Islamica, che si era irrigidito negli anni dell’ultimo mandato dell’ex Presidente Mahmoud Ahmadinejad e che aveva permesso di ritrovare un dialogo positivo in occasione del negoziato sul nucleare. 

 

Proprio l’impegno europeo potrebbe ora essere la variabile chiave per garantire la tenuta dell’attuale framework di cooperazione con il governo di Teheran nel prossimo futuro. Già prima dell’imposizione delle sanzioni da parte europea nel 2010, l’UE rappresentava il primo partner commerciale per l’Iran e, nonostante non siano ancora stati equiparati i valori del passato, le importazioni dall’Iran verso il mercato europeo sono cresciute del 347% tra il 2015 e il 2016. Nel solo 2017, l’interscambio commerciale si è attestato introno ai 30 miliardi di euro e gli investimenti di aziende europee in settori strategici, quali idrocarburi, tecnologia green, automotive, infrastrutture (fisiche e ICT), macchinari industriali, hanno testimoniato l’interesse del Vecchio Continente nei confronti dell’interlocutore persiano.

 

Le critiche crescenti da parte della Casa Bianca nei confronti dell’accordo e dell’Iran avevano spinto i Paesi europei a studiare un modo per mettere in sicurezza il rapporto con Teheran già dalla fine dello scorso anno. Il nodo più duro da sciogliere è sempre stato legato al riflesso incondizionato che le sanzioni rimaste in vigore da parte degli Stati Uniti hanno esercitato su aziende e banche europee, scoraggiando, o quantomeno disincentivando, una ripresa a pieno regime degli scambi con l’Iran. Nonostante il sistema bancario del Paese fosse stato riconnesso al sistema SWIFT all’inizio del 2016, il timore di incorrere in penali a causa delle limitazioni previste dalla legislazione statunitense e le difficoltà per il rilascio del visto per gli Stati Uniti in seguito ad un viaggio nella Repubblica Islamica, hanno frenato banche ed aziende europee nell’allacciare rapporti di natura economica con gli interlocutori iraniani.

 

Per cercare di oltrepassare questo ostacolo alcuni Paesi europei, tra cui l’Italia, hanno stretto con il governo di Teheran accordi quadro bilaterali di finanziamento tra istituti di credito, all’interno del quale una parte fa da garante per la tipologia di rischio a cui è esposta l’altra, per stanziare le risorse necessarie alla realizzazione di progetti comuni. 

 

La capacità dell’Europa di continuare ad onorare le disposizioni previste dall’accordo e, di conseguenza, di assicurare al governo iraniano l’assenza di sanzioni economiche rappresenta la variabile chiave per gli sviluppi futuri dell’accordo. Come confermato dal Ministro degli Esteri Javad Zarif, infatti, da essa dipende la possibilità per Teheran di restare all’interno del quadro di cooperazione delineato dal JCPOA o, al contrario, fare un passo indietro e ritirare gli impegni impresi per la limitazione del proprio programma nucleare. La posizione iraniana trova la propria ragion d’’essere nell’importanza da sempre attribuita all’accordo nucleare dal governo dell’attuale Presidente Hassan Rouhani. Il leader del fronte pragmatista ha sempre fatto del processo di riapertura verso la Comunità Internazionale, di cui il JCPOA doveva essere strumento facilitatore, il cavallo di battaglia per eccellenza dei suoi due mandati alla guida dell’esecutivo.

 

La scommessa fatta sul negoziato ha comportato un importante sforzo politico da parte di Rouhani, che si è trovato a dover giustificare agli occhi delle opposizioni e degli ambienti ultraconservatori interni la decisione di dare fiducia alo storico antagonista statunitense per privare a rilanciare l’economia interna. Gli scarsi risultati fino ad ora ottenuti in termini di crescita e di miglioramento della qualità di vita anche in seguito al sollevamento delle sanzioni ha messo in seria difficoltà l’attuale esecutivo, per il quale è diventato sempre più difficile non prestare il fianco alle critiche interne e a quella retorica populista che incolpava il Presidente di essere stato eccessivamente remissivo nel cedere alle pressioni provenienti dall’esterno. Inoltre, il riaccendersi della dialettica antagonista con gli Stati Uniti in seguito al netto cambio di atteggiamento dell’Amministrazione Trump rispetto alla precedente sia nel dialogo con Teheran sia nelle relazioni con i rivali regionali, ha ulteriormente alimentato un clima di incertezza che ha contribuito a destabilizzare le già precarie condizioni economiche. 

 

Per il Governo Rouhani, dunque, il passo indietro degli Stati Uniti rappresenta una pesante defiance politica che potrebbe comportare ripercussioni sul piano interno, in termini di credibilità agli occhi dell’opinione pubblica e, soprattutto, di libertà di manovra nei confronti di quegli ambienti più oltranzisti che hanno sempre considerato gli interessi strategici del Paese antitetici rispetto a quelli statunitensi nell’area. Per poter scongiurare che il tanto ricercato accordo sul nucleare possa trasformarsi in una pericolosa lama a doppio taglio, Teheran guarda ora alla sponda europea per trovare un aiuto con il quale dimostrare che l’uscita degli Stati Uniti non abbia svuotato di significato il patto e il percorso di ricostruzione di un rapporto di fiducia con l’Occidente. 

 

Una prima conferma in questa direzione sembra giungere dall’incontro avvenuto a Roma lo scorso 3 maggio tra esponenti dei Ministeri degli Esteri di Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna e il Vice Ministro degli Esteri Hossein Jaberi Ansari e presieduto dal Segretario Generale dell’European Union External Action Service (EEAS) Helga Schmid. Benché non siano stati resi noti i punti all’ordine del giorno, il tempismo con cui è stato organizzato e la composizione delle delegazioni presenti lasciano pensare che l’incontro sia stato un primo momento di confronto tra le parti per valutare come poter procedere per salvaguardare la validità dell’accordo nel prossimo futuro. Il compito arduo affidato all’Europa consisterà nel trovare un punto di equilibrio tra le problematiche economiche che le eventuali nuove sanzioni statunitensi creeranno nei rapporti con il sistema iraniano e la volontà politica di preservare (e sostenere indirettamente) le forze centriste ad oggi al governo a Teheran.....

 

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