Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

22/11/24 ore

Ernesto Galli della Loggia. I verdetti del processo a Becciu



Verso la conclusione

Una vicenda nella quale

i motivi e i retroscena veri,

i veri attori, restano tuttora

nell'ombra più fitta

 

 

di Ernesto Galli della Loggia

(da Corriere della Sera)

 

Ormai vicino al momento del verdetto il processo al cardinale Becciu ha finito per trasformarsi non dico in un processo ma di sicuro in una decisa smentita ai suoi accusatori. Del resto era prevedibile che se la corte non si fosse lasciata intimidire (come è infatti è fortunatamente accaduto) le cose sarebbero andate più o meno così. E pazienza se a causa della «copertura» limitata che la stampa ha dato al dibattimento l’opinione pubblica non ha avuta modo di rendersene adeguatamente conto.

 

Non sono bastate infatti le già vistose anomalie, chiamiamole eufemisticamente così, a monte del dibattimento stesso - la condanna anticipata dell’accusato implicita nell’averlo il Papa spogliato inizialmente dei suoi diritti di cardinale, i ben quattro provvedimenti con cui a procedimento già in corso sempre il Papa ha modificato le regole della procedura(ma solo per questo processo e dunque sola a danno dell’imputato) - neppure è bastato il famigerato monsignor Perlasca benevolmente trasformato, guarda caso, da coimputato di Becciu in testimone d’accusa a suo carico.

 

A tutto ciò ogni seduta del processo ha aggiunto questo o quell’aspetto di un panorama nel complesso desolante: indagini secretate di cui gli avvocati della difesa non hanno saputo mai nulla, una fitta rete di scandali, di irregolarità, di leggerezze, di conti correnti cifrati che emergevano a ogni momento, ombre di corruzione, investimenti immobiliari dubbi, contrasti feroci tra le diverse istituzioni dello Stato Vaticano. 

 

E infine quasi in contemporanea, sullo sfondo (ma in un rapporto evidente con quanto andava accadendo nel corso processo) un decisivo mutamento dei tradizionali equilibri politici all’interno della Santa Sede: la drammatica perdita di immagine, di competenze e di potere da parte della Segreteria di Stato e lo Ior, invece, sempre più sul podio del vincitore.

 

E venuto fuori di tutto, insomma, in questi due anni nell'aula del tribunale vaticano. Ma soprattutto è emersa la sostanziale innocenza del cardinale Becciu dalle accuse che gli venivano mosse. Scrivo sostanziale perché nella lunga e complessa attività di una carriera come la sua sfido qualunque leguleio a non riuscire a trovare qualche parere omesso che andava richiesto, qualche procedura amministrativa non perfettamente eseguita, qualche insignificante «abuso d’ufficio». 

 

Ma non era certo di cose simili che l’alto prelato sardo doveva rispondere, come si sa. Bensì di essere stato un servitore infedele e corrotto della Santa Sede, di averle scientemente procurato un rilevantissimo danno finanziario con la gestione patrimoniale dell’edificio londinese di Sloane square, e da ultimo di essersi servito della propria carica per favorire in modo truffaldino parenti e conoscenti. Tutte accuse cadute fragorosamente nel nulla nei due lunghi anni del processo.

 

Significa allora tutto ciò la sua probabile assoluzione? Non è per nulla detto. Proprio la palese inconsistenza dell’accusa via via sempre più evidente, infatti, è valsa a rivelare la natura vera, tutta politica, di questo processo. Natura politica in gran parte oscura ma almeno per un aspetto clamorosa, dal momento che solo il pieno coinvolgimento della massima autorità dello Stato vaticano — cioè della persona del Papa — nella preparazione del processo stesso e nel suo svolgimento lo ha di fatto reso possibile così come esso si svolto. 

 

E dunque è per l'appunto un tale coinvolgimento che rende quanto mai delicato l’esito del processo stesso. Fino a qual punto, infatti, quel coinvolgimento si spingerà? E con quale intenzione?

 

Questo è il vero interrogativo al quale è chiamato a rispondere il verdetto atteso tra pochi giorni che il tribunale ha il non facile compito di emettere ma dietro il quale è più che naturale che l’opinione pubblica immagini il peso condizionante dell’ orientamento del Papa. Un sospetto che soprattutto in queste ore deve particolarmente gravare sulle spalle del presidente Pignatone.

 

Esclusa, viste le risultanza del dibattimento, una sorprendente pronuncia di colpevolezza dell'imputato secondo le delirante richieste dell’accusa (sette anni e rotti di galera), ed esclusa altresì la soluzione ipocrita di una «condannuccia» (la montagna che partorisce il classico topolino), tanto per far vedere che il processo ha avuto comunque motivo di essere, una sola strada sembra aprirsi capace di concludere in modo non indegno questa grigia vicenda. 

 

E cioè che l’autorità decisoria si convinca a intitolarsi l'assoluzione di Becciu. Che il Papa, assistito dal consiglio del presidente Pignatone, capisca, anche ricredendosi, che sulla base delle risultanze processuali, è quella l’unica scelta giusta. Non solo e non tanto un’assoluzione ma la presa d’atto della verità. Sì, anche ricredendosi: Bergoglio non ci ha forse abituati nel corso del suo pontificato a svolte improvvise, a repentini cambiamenti di umori e di prospettiva, a colpi di scena? 

 

Si metterebbe così fine a una vicenda nella quale i motivi e i retroscena veri, i veri attori, restano tuttora nell’ombra più fitta e in cui forse a tirare davvero i fili non è stato neppure il Papa stesso.

 

 

(da Corriere della Sera)

 

 


Aggiungi commento