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26/12/24 ore

David LaChapelle a Venezia



di Marcello Sadik Mottola

 

In mostra a Venezia, presso la Casa dei Tre Oci sino al 10 settembre, Lost+Found, antologia dell’intera carriera di David LaChapelle. L’eco dei grandi maestri del rinascimento, del manierismo e del barocco italiano percuote lo spettatore e lo invitano a riflettere sull’entità dei valori condivisi e sul moderno senso d’identità.

 

LaChapelle conduce una ricerca in profondità. Uno scatto, quello del fotografo statunitense, avvenuto dopo gli anni degli esordi nei quali il suo lavoro era totalmente assorbito dalle più note riviste patinate del mondo della moda (Vogue, GQ, Rolling Stone, Vanity Fair). Lavoro che ben presto sta stretto al fotografo nativo del Connecticut.

 

La ricerca interiore, e poi d’identità artistica, non può compiersi se non allontanandosi dal fragile modello americano, allargando i confini umani e artistici verso qualcosa di più grande, direi non a caso, universale. Il suo viaggio a Roma nel 2006 getta le basi per la sua arte. Visita la Sistina e resta impressionato dalla potenza delle figure michelangiolesche, sia della cappella sia dell’altare maggiore. Il diluvio universale di Michelangelo dà l’idea per la creazione di The Deluge.

 

L’associazione non è né casuale né forzata. Anzi, molto simile alla nostra è l’epoca in cui Michelangelo affrescava l’altare. Oggi come allora un’epoca decadente di mutamenti e trasformazioni che allora si risolse nello spirito conservatore della controriforma come ultimo tentativo di fissare i valori religiosi minati dalla riforma luterana.

 

 

Decadente è il lavoro di LaChapelle in costante ricerca di una purificazione dello spirito come l’acqua del battesimo che lava i peccati. Il suo lavoro, che va aldilà degli aggettivi dissacratori o provocatori, che sono solo l’aspetto superficiale, o meglio in superficie, riporta noi abitanti di quest’epoca, lungo un sentiero che ci invita a pensare al significato dell’esistere in una società il cui unico valore condiviso è il consumismo.

 

Foto d’irrimediabile teatralità dai dettagli finissimi. Colori elettrici, superfici laccate, fondi dipinti con aerografi e bombolette spray. Un grande lavoro di scenografia, con set costosissimi costruiti ad hoc. Anche il visitatore più distratto capirebbe che queste foto “artificiali” appartengono a un livello di coscienza più torbido che riflette la condizione umana immersa nella disperazione.

 

 

Prendere come simbolo e riconvertire in forma moderna le scene sacre, fatti biblici o mitologici (Gaia, Icaro, Caronte etc.), comunque sia ancestrali, vuol dire scavare a fondo nelle viscere dell’umanità per recuperare una soluzione alle tensioni che, adesso come allora, emergono con tutta la loro forza. Alla ricerca di un paradiso perduto che, come nella serie Awakened, può soltanto essere liquido amniotico e pace uterina.

 

Con la speranza che al disfacimento segui la rinascita, alla catastrofe la resurrezione mentre, aggrappati a una zattera, speriamo di non sprofondare nell’abisso. Chi ci salverà? Gesù Cristo o Michael Jackson? In ogni caso oltre la giungla ci guida un Caronte schizofrenico. Ci traghetterà in silenzio, nascondendo alla vista un polsino da manicomio, tenendo in mano una fiaccola che ricorda in tutto e per tutto la Lanterna di Diogene.

 

 

 

 


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