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24/11/24 ore

L'arte necessaria, Sessantesima Esposizione Internazionale d’Arte Veneazia 2024


  • Giovanni Lauricella

L'arte necessaria mi è venuta in mente guardando il padiglione Italia alla sessantesima edizione della Biennale di Venezia 2024. Il progetto espositivo Due qui / To Hear,  un’installazione sonora e ambientale, di Massimo Bartolini già alla Biennale del 2013, curato da Luca Cerizza, con l’assistenza di Francesca Verga

 

Vi è capitato di sentire quanto costa vivere? È da un po' di tempo che con il cambiamento d'orientamento politico avuto nelle ultime elezioni si accusa il governo di destra di aver causato l'aumento del costo della vita.

 

Già da tempo si notavano gli studenti fuorisede che non riuscivano a trovare un alloggio a prezzi compatibili a un senza reddito o, per meglio dire, a una famiglia che deve mantenere un figlio fuori casa, penalizzando così i provinciali, da cui l'uso non edificante del nome.

 

Il prezzo della pasta raddoppiato perché si è scoperto, dopo l'invasione russa, che viene fatto con il grano proveniente dall'Ucraina: una novità in campo culinario che tutti i strapagati e blasonati chef che da alcuni anni hanno occupato tutti i canali TV ci hanno sfacciatamente nascosto all'insegna della buona cucina. Verrebbe da dire  che  “la guerra” a confronto dell'associazione consumatori e delle altre combriccole di tutela della salute del cittadino come fonte di causa d' informazioni è più sicura.

 

Non aggiungo il prezzo dei carburanti e delle bollette perché sennò lo strazio si fa preoccupante.

 

Senza parlare dei bambini africani che muoiono perché non hanno cibo che per le nostre tasche di “razzisti” sono pochi centesimi che cinicamente ci rifiutiamo di dare alle associazioni ecc. ecc. Vi sarete accorti che sto tentando di dire che tutto ha un costo e mi direte pure di che cosa parlo, forse di bilanci economici?

 

No, vorrei evidenziare che anche la tanto bella e pura arte ha un costo e se parliamo di quella esposta alla biennale di Venezia le cifre sono elevate, quella degli anni scorsi venne due milioni di euro solo per il padiglione Italia per vedere delle vecchie macchine da cucire dismesse da una fabbrica chiusa da anni. 

 

Tra l'altro manco una novità, perché era un'idea di Kounellis che si poteva risparmiare di rivedere, che riciclò anche lui delle vecchie ma più interessanti macchine da cucire a pedale Singer, quelle nere con le cromature e gli ornamenti liberty in oro. Pensare che era un installazione nella povera Cuba ma con tanto  più sentimento e sensibilità artistica, il grande Jannis Kounellis si rivolterà nella tomba.

 

Nel padiglione Italia di quest'anno abbiamo un installazione (o allestimento? Sarebbe più pertinente ma stranamente in arte non si usa), un groviglio di tubi Innocenti con il sottofondo musicale di un nostalgico carillon, tipico strumento del XIX secolo, opera di Massimo Bartolini a cura di Luca Cerizza.

 

Non voglio cadere nella trappola del solito criticone paragonabile al sindaco di Venezia che di fronte all'opera si è messo a ridere. No, non sono così e prendo le distanze da certi comportamenti, ma una domanda rispetto a quello che ho detto prima mi viene di dover fare. In questo mondo dove tutto costa e si paga a caro prezzo, che senso ha una selva di tubi Innocenti che se tutto andrà bene, alla fine della mostra, verranno venduti a qualche palazzinaro a prezzo stracciato? Non mi dite che verranno conservati per una prossima mostra perché il deposito in un capannone dopo alcuni mesi costa più dei tubi in questione.

 

Non so il prezzo specifico dell'opera di Massimo Bartolini che per tutto il putiferio scatenato alla scorsa biennale di due anni fa doveva essere esposto al pubblico come ogni prodotto commerciale, come ad esempio quello di cui sopra, un pacco di pasta, scusate la forzatura ironica. In fondo non sono anche questi della Biennale soldi pubblici, quelli che escono dalle nostre tasche? Io non voglio dire che “Due qui/To hear” titolo dell'opera in questione, non sia valida: tutt'altro, la giudico positivamente ma, allo stesso tempo mi chiedo, ne vale la pena?

 

Come esempio, il più calzante e anche il più clamoroso insieme è Christo, che ha realizzato opere monumentali perché sponsorizzato da una ditta di materie plastiche (oggi farebbe rabbrividire); non c'è mai stato nessun ricasco sulle spalle della collettività e al contempo si è potuto godere delle opere più spettacolari mai viste, per noi romani la Porta Pinciana ricoperta di teli plastici nel 1974 o “The Floating Piers”, quel percorso galleggiante fatto sul lago di Iseo nel 2016 che ebbe un enorme successo di pubblico, e ancora le tante istallazioni fatte nel mondo.

 

Non ho pregiudizi di alcun genere, come si potrebbe facilmente pensare, ma la domanda secondo me è doverosa: in questo doloroso e rischiosissimo periodo di guerre e le tanti morti di vittime innocenti come i bambini, un genere di opere come “Due qui/To hear” ha senso?

 

A pochi metri di distanza dal padiglione Italia c'è quello Israeliano, chiuso per protestare per gli ostaggi da mesi tenuti prigionieri, reclusi in parte dei 720 kilometri di tunnel, questa sì che è un'installazione! L'ultima battaglia, quella di Rafah, dove presumibilmente si trovano gli ostaggi viene rimandata da tempo perché si spera che Hamas liberi prima del decisivo scontro a fuoco quei poveracci che nessuno più ricorda. Siamo alla vigilia di un'altra strage mentre si ergono, sembra ironicamente, nella Biennale i tubi Innocenti, arnesi che in questo caso non potevano avere un nome sibillino migliore, concettuale, per l’appunto.

 

Ma tornando a un discorso generale, non  è l'opera di Massimo Bartolini lo spirito degli anni '60,  quando si interpretava il mondo dopo il boom economico e non si parlava di sprechi, di spese esagerate e nemmeno di guerre?

 

Scusate il termine modaiolo, non sarebbe più etico fare opere sostenibili, bimbi palestinesi e ostaggi inclusi? E ancora di più, se permettete, non è il caso di affrontare il tema dell'arte necessaria, quella che serve a qualcosa d'importante senza sforare ripetutamente nell'effimero come si è sempre fatto?

 

Sessantesima Esposizione Internazionale d’Arte, a cura di Adriano Pedrosa, “Sono onorato e riconoscente - ha dichiarato Pedrosa - per questo prestigioso incarico, soprattutto come primo latino-americano a curare l’Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale, e di fatto il primo a risiedere nell'emisfero sud del mondo”.

 

Adriano Pedrosa (Brasile) è dal 2014 il Direttore Artistico del Museu de Arte de São Paulo Assis Chateaubriand – MASP, dove ha curato numerose mostre, tra cui Histories of Dance(2020) e Brazilian Histories (2022). È stato premiato con il 2023 Audrey Irmas Award for Curatorial Excellence, conferitogli dal Central for Curatorial Studies del Bard College di New York.

 

 


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