21/11/24 ore

Un pomeriggio con il mio amico Marco



di Andrea Marcenaro

(da 'Panorama' del 7 aprile 2016)

 

Ognuno, di un altro, può testimoniare solo per un pezzo della sua vita, non di tutta, di tutta è impossibile e perfino ingiusto, credo, ma per un pezzo può. O almeno per qualche flash. Era novembre del 1992, un freddo raro per Roma, c`era ancora il vecchio bar Bernasconi di fianco al teatro Argentina e Marco Pannella ordinò una spremuta: «Adesso sono di moda i giusti. Loro sono sempre in buona fede, hanno bisogno di indicare alla plebe chi bisogna impiccare. Non conoscono una delle più belle massime di Pascal : "Chi vuol essere angelo, è bestia... "». Stava calando il freddo anche sul resto d`Italia, in quel 1992, e il sole sarebbe stato oscurato da stormi di angeli per i due decenni successivi almeno.

 

Oggi, 86 anni a maggio, Marco è ammalato, dimagrito, torturato da due tumori e non lascia più la vecchia mansarda romana di via della Panetteria. È allo stremo, dicono. A me non è sembrato. E se aspetta la fine, come tutti aggiungono, pare aspettarla senza eccessiva premura: «Guarda che bei colori la mia cravatta, oro, viola e verde, bella no?». Oggettivamente, faceva cacare. Ce l`aveva però, la cravatta, e se la rimirava con quello sguardo azzurrissimo e ridente: «Non ti piace? E certo, non hai mai capito un cazzo tu».

 

Me lo aspettavo a letto. Invece stava su, ti abbracciava, ti baciava e stanco o no, smagrito o meno, quel monumento alla democrazia fissava, più che le prossime elezioni, il sole che entrava dalla finestra alta della cucina: «Come splende, che meraviglia! Spostati, dài, guardalo da qui». Pannella è diverso da Pannella. Aveva sempre fretta e furia. Una guglia, era, ora è un arco rotondo. Gli chiedi timidamente una cosa, una qualsiasi cosa semi-politica, per dire, e lui sgrana gli occhi come per l`osservazione più imbecille: «Sta attento, sta attento, adesso arriva». Chi? Dove? «Il gabbiano, sul davanzale, dovrebbe essere l`ora». E sarà il carisma, allora, o sarà invece che ha un culo pazzesco, dato che questo resta il vero mistero degli uomini fuori dal comune, ma un attimo dopo quel cacchio di gabbiano è arrivato che manco avesse avuto alla zampetta un Rolex.

 

Così Marco ti riguarda: «Visto, animale?». Il sole, il gabbiano. E pure il vento. Poiché intravvedi, in faccia alla finestra sua, lassù sul vicolo, un terrazzetto con una piccola pianta mezza secca com`è, la quale ondeggia: «Vedi come si muove? Spostati, dài, la vedi o no? Che bel vento, com`è bello il vento?». Non andate fuori strada per questo. Non è un vecchio in bambola, Marco. Spiegò un tempo al suo amico Stefano Di Michele, e dopo anche a me: «Non faccio quello che faccio per ottenere del potere, noi aiutiamo mostrando non i muscoli, ma il nostro magrore (magrore disse, non magrezza) ...trasferiamo la nostra energia immateriale, il nostro spirito». Dei digiuni parlava. Ecco. Era come se fosse arrivato il tempo di nutrire un po` se stesso col sole, il vento o il gabbiano, e la sua urgenza sembrava magicamente proporzionata alle forze che se ne stavano andando.

 

Dopodichè, intendiamoci, quello rompicoglioni è stato e rompicoglioni resta. Confermami una cosa, gli ho chiesto, te la ricordi quella volta all`Eur? «Ma cosa vuoi che mi ricordi all`Eur con te». Secondo me la ricordava. Secondo lui, era arrivato il momento di scegliere tra un sigarillo alla grappa bianca e una Marlboro rossa. Ne teneva due stecche: «Mica voglio morire» ha tenuto a precisare. C`era il mondo, fuori. E il mondo di fuori si era già riversato nella mansarda di via della Panetteria quasi che potesse pagare in quel modo opportuno, vale a dire nell`omaggio che è umano rendere alla salute sul precipizio, un debito inestinguibile.

 

Andò, molto giustamente, Matteo Renzi: «Abbiamo scherzato, ci siamo parlati e adesso lo lasciamo ai suoi altri appuntamenti». Andò Silvio Berlusconi: «Mi ha rassicurato. Ha 70 anni di lotta politica alle spalle ed è sicuramente l`uomo politico che più ha dato al suo Paese con le lotte contro tutto quello che gli sembrava ingiusto. Gli sono molto affezionato». Anche Fausto Bertinotti andò per dirgli: «Ti voglio bene». Gli voglio bene, ha detto di avergli detto. E il bello è che era vero. Due giorni prima del nostro incontro, bloccato lui per come stava, erano andati loro a trovare lui, con un permesso speciale, i detenuti di Regina Coeli. Il giorno di Pasqua. Così gli ho chiesto, tanto per sapere, e lì Pannella si è illuminato: «Mi sono messo due cravatte con i colori che non piacciono a te e a quei ragazzi ho mostrato il sole, il gabbiano e il vento. Ci siamo capiti al volo, come al solito».

 

(tratto da 'Panorama', 7 aprile 2016)


Aggiungi commento