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16/11/24 ore

Roma, Campi Nomadi S.p.A.: sulla pelle dei Rom



Giovedì 12 giugno, l’Associazione 21 Luglio ha presentato il rapporto "Campi Nomadi S.p.A." nella Sala del Carroccio presso il Campidoglio. L’amministrazione, regolarmente invitata, ha rifiutato come sempre di presentarsi, ma il sindaco Ignazio Marino stavolta ha ritenuto opportuno portare i suoi saluti attraverso il consigliere Magi. Il totale dei costi complessivi per il 2013 tra "villaggi della solidarietà" (abbiamo visto come l’amministrazione capitolina rasenti il feticismo verso l’utilizzo smodato dell’eufemismo), centri di raccolta e sgomberi forzati è stato calcolato dall’associazione ottenendo una cifra pari a 24.108.146 euro.

 

Dunque, a quanto sembra, se Alemanno è riuscito a spendere 60 milioni dei contribuenti per il suo "piano nomadi", Marino, nonostante la situazione critica del bilancio, sta facendo del suo meglio per mettersi in pari.

 

La "Campi nomadi S.p.a." è un’azienda che spende molto, ma che non guadagna mai: l’Associazione 21 Luglio ha comparato i costi della segregazione con quelli dell’inclusione, fornendo esempi di auto recupero e autocostruzione in altre città, e ha dimostrato una volta di più che non c’è confronto. Ma questo l’amministrazione lo sa da tempo. Perciò la domanda è un’altra: perché la "Campi nomadi S.p.A." preferisce spendere più di quanto guadagna? E perché non va mai in fallimento?

 

Se lo chiedete alla 21 Luglio, vi risponderà documentando dove sono andati quei soldi e come sono stati spartiti fra le varie cooperative che si occupano della "assistenza",della vigilanza etc. Il Comune, anziché fare un ragionamento orientato al "massimo risultato per il minimo sforzo", preferisce spendere di più per distribuire i fondi ai vari soggetti operanti e fare tutti contenti. La vecchia logica con cui si gestiscono i soldi pubblici in Italia, verrebbe da dire. Questo spiegherebbe perché l’assessore alle politiche sociali Rita Cutini, anziché superare definitivamente i campi, vuole ripensare i mega-campi creando "campi di medie dimensioni".

 

Effettivamente, se io possiedo una catena di fast-food, guadagno molto di più con otto medi punti vendita che con quattro punti vendita enormi. Basta guardare la politica che ha fatto negli ultimi anni l’azienda McDonald’s. I grandi centri a due piani in cui facevamo le feste di compleanno da bambini hanno chiuso quasi tutti. E McDonald’s ha aperto punti vendita di medie dimensioni. Proprio quello che ha in mente la "Campi nomadi S.p.a.".

 

Se analizziamo però altri dati oltre a quelli presentati dalla 21 Luglio, ci rendiamo conto che ci sono ancora altre risposte, e che il giro d’affari della "Campi nomadi S.p.a." è ben più ampio. Una dichiarazione recente di ARCI Solidarietà e della stessa 21 Luglio ci dice infatti che la situazione al "villaggio attrezzato" de La Barbuta è diventata insostenibile.

 

Le associazioni hanno affermato che l’amministrazione conosce persino i nomi di chi gestisce il racket all’interno del campo, ma non interviene. Perché? Chi sono questi soggetti? Per capire meglio dobbiamo fare un passo indietro, e tornare all’amministrazione Alemanno. Nel corso della scorsa Giunta sono emerse figure particolari di "portavoce" dei campi autorizzati. Tali rappresentanti non venivano eletti dalle comunità Rom, ma nominati dall’amministrazione. I nominati si aggiungevano ai portavoce storici di alcuni insediamenti, creando un’enorme confusione soprattutto sui media. Ma come venivano scelti questi soggetti? In base a quali criteri?

 

Non è mai stato reso pubblico. Qualcuno affermava che spesso erano vicini ad ambienti della criminalità organizzata. Secondo numerose fonti, ai portavoce nominati venivano concessi compensi. Alcuni dei portavoce sono poi finiti in galera subito prima dello scadere del mandato di Alemanno. Giustizia a orologeria? Non lo sappiamo. Però il caso di Najo Azdovic fa riflettere. Da portavoce del Casilino 900, nel 2010 diventa delegato ai rapporti con le comunità Rom. Numerose le proteste: Azdovic non sarebbe stato eletto da nessuno, non rappresenterebbe le comunità Rom della Capitale. Ma Azdovic resta nel suo ruolo, e diventa uno dei più accaniti sostenitori delle politiche sociali della Giunta Alemanno. Politiche inaccettabili, soprattutto se osservate dal punto di vista dei Rom, consistenti in centinaia di sgomberi e trasferimenti forzati in campi recintati con telecamere e guardie in divisa, in pessime condizioni igienico-sanitarie e lontani dal centro abitato. Ma a Najo Azdovic piacevano, tanto da aprire anche una piccola cooperativa. Nel 2012, la sua famiglia viene aggredita al campo di via di Salone: dichiarazioni di solidarietà da parte di Alemanno. Poi anche Azdovic è finito in galera a ridosso della fine del mandato di Alemanno. Quando non era più utile.

 

Sarebbe interessante, dunque, sapere se tra i nomi di cui l’amministrazione è a conoscenza, secondo le citate associazioni ma anche secondo le nostre fonti, in merito alla gestione del racket a La Barbuta e i nomi di chi ha trattato con l’amministrazione stessa dovessero esserci delle coincidenze. Guardiamo cos’è successo con il primo sgombero di Marino. Una comunità fugge dal campo autorizzato di Castel Romano. Denuncia vessazioni, soprusi, racket, insomma un sistema. Anche quella comunità aveva dei "portavoce". Stanchi di quel sistema, scappano e chiedono d’integrarsi. Non vogliono vivere in una situazione delinquenziale. Vogliono vivere onestamente, lavorare, stare con la gente. Il portavoce riceve minacce sul telefonino: deve tornare a Castel Romano.

 

 

La comunità documenta un incendio doloso, riprendendolo con il cellulare. Il video viene inviato all’amministrazione. Scattano una serie di appelli: Moni Ovadia, l’Associazione 21 Luglio, Radicali, Rifondazione, Amnesty, Luigi Manconi, Gad Lerner etc. L’amministrazione spende 150.615 euro per sgomberarli illegalmente, con una sola soluzione abitativa: ritornare a Castel Romano. Quando abbiamo chiesto al vicesindaco Luigi Nieri se riporterebbe un pentito dal boss, il 12 agosto, nel giorno in cui siamo riusciti a fermare il primo tentativo di sgombero grazie alla resistenza nonviolenta della comunità, Nieri non ha dato una risposta. Continuava a dire che il Comune avrebbe "messo la scorta" a tutti. In che modo sarebbe più conveniente spendere 150.615 euro più un’eventuale scorta (nientemeno), assistenza e raddoppiamento della vigilanza, piuttosto che recuperare magari un edificio abbandonato, creare un orto sociale o perfino un mini-insediamento? Perché i Rom dovevano tornare per forza a Castel Romano?

 

Andiamo avanti. La comunità viene sgomberata. Due o tre famiglie Rom tornano a Castel Romano. Né l’assessore né il sindaco vanno a controllare la situazione. Altro che vigilanza, altro che scorta. Ricominciano subito le vessazioni: vetri rotti, bagni chimici sfondati, sassate. Siamo tornati lì dopo qualche mese. L’attuale portavoce della comunità ci ha detto che i conflitti sono cessati. Va tutto bene, e con il resto del campo sono "come fratelli". Due donne ci prendono da parte e ci dicono che non è vero. Lo dicono sottovoce, perché a Castel Romano di queste cose si parla piano. Ma adesso sembra che quei Rom abbiano imparato la lezione che gli ha dato l’amministrazione Marino. Non si scappa dal Sistema. Niente Strategie d’inclusione e balle varie. Si rispetta chi comanda.

 

Guardiamo cosa è successo agli altri. Come ricordava Carlo Stasolla, sono confluiti in uno dei numerosi "movimenti per l’abitare". Vivono in un posto occupato da cui oggi non li sgombera nessuno. Ma che è successo prima? Si erano accampati dall’altro lato, davanti a dove sorgeva l’insediamento sgomberato. Arriva la polizia municipale e gli porta via tutto: tende, materassi, vestiti, butta via le coperte date dal parroco e le carrozzine dei bambini, poi arresta due persone per resistenza alla forza pubblica. Una dei due, una donna, presenta un referto e sporge denuncia dicendo di essere stata picchiata dalle forze dell’ordine. La incontriamo il giorno dopo, con i lividi. A quel punto i Rom non hanno scelta. Gli è stato fatto capire che devono tornare a Castel Romano per forza. E allora non resta che un’unica alternativa: i movimenti per l’abitare. Gli stessi con cui, in base alle recenti intercettazioni, il vicesindaco Nieri s’intrattiene al telefono con modi affabili e protettivi. Perché la logica di alcuni movimenti all’abitare si è fatta molto decisa. Tu mi sgomberi in periferia e io ti spacco il centro storico. Questo sì che è avere potere contrattuale, altro che appelli e lettere aperte!

 

Prendiamo la vicenda della Cesarina. Nel 2002, Cesare Galli viene arrestato per favoreggiamento all'immigrazione clandestina e sfruttamento della manodopera. Quello che passa alle cronache come il "lager per gli immigrati" o "villaggio della disperazione" si trova in via della Cesarina 11, gestito da Cesare Galli. Un anno dopo Veltroni valuta il suo curriculum e decide di affidare alla sua cooperativa la gestione di un campo nomadi in via della Cesarina. Su un terreno di Propaganda Fide, affittato a cifre stellari, sorge dunque il campo della Cesarina, al costo di circa ventimila euro l'anno a famiglia. Naturalmente non un euro di questi soldi stanziati vanno alle famiglie stesse, e si disperdono in vigilanza, utenze, assistenzialismi vari. Nel 2008 viene eletto Gianni Alemanno, che nel 2009 vara il "piano nomadi" e include la Cesarina negli otto campi "autorizzati" della Capitale. Per rendere ancora più semplice la vita agli abitanti della Cesarina, manda altri Rom ad abitare lì, in seguito ai vari sgomberi. Cade Alemanno, arriva Marino. La situazione scoppia, sono state documentate vessazioni da parte della gestione, l'Associazione 21 Luglio pubblica testimonianze agghiaccianti, e per di più è estate, quindi si muore di caldo.

 

Ci rechiamo alla Cesarina in una soffocante mattinata estiva. Ci accoglie un'amica comune di un collaboratore di Opera Nomadi, e c'invita a casa sua. Entriamo: vediamo uno scenario che non ha nulla di umano. Sovraffollamento, reti idriche intasate, gente che si lava con l'autobotte perché all'interno non c'è acqua e il Comune ha tolto la fontanella. Marino evidentemente, capita la situazione, ha deciso d'intervenire con forza in nome della legalità e ha tolto la fontanella. "Cuor contento, Dio l'aiuta", dice il proverbio. La nostra visione post-atomica dura pochi minuti. Arriva un signore, che si definisce un dipendente del "padrone". E chi è il padrone? "Cesare Galli", risponde l'uomo. Dice che non possiamo entrare. Spieghiamo che stiamo andando a trovare una persona. Allora l'uomo, che non è un vigilante né appartiene in alcun modo alle forze dell'ordine, ci dice di aspettare affinché lui possa chiedere il permesso al "padrone". Il "padrone" ci fa rapidamente sapere che dobbiamo toglierci dagli zebedei. Al che iniziamo un'amena chiacchierata col dipendente del "padrone".

 

Il nostro nuovo amico ci spiega che il "padrone" è molto seccato. Dice che l'affare non gli conviene più, e che ormai a gestire i Rom ci va in perdita. Così fa controllare a "loro" (i suoi non meglio identificati dipendenti) che i Rom non scappino per andarsi ad accampare altrove. Però dal Comune pretende un cambiamento. Detto, fatto. L'attuale giunta Marino prende tutti i Rom della Cesarina e li trasferisce a via Visso. Li rinchiude in stanze prive di finestre, senza corrente elettrica e sovraffollate. Uomini, donne, bambini. Chi ha visto Schlinder's List può immaginare la scena.

 

L'Associazione 21 Luglio (sempre loro, Iddio li benedica) inoltra un appello di queste famiglie alla Corte di Strasburgo. Il commissario Muiznieks s'imbestialisce e vuole sapere, giustamente, cosa stia succedendo a Roma. La Cutini gli risponde che stanno applicando la Strategia nazionale d'inclusione. Sarebbe bello sapere chi gliele scrive, alla Cutini. Poco tempo dopo la stessa presenta il suo progetto per i Rom. Marino, assediato dalla stampa per la questione delle ronde anti-rom e del cartello "vietato agli zingari", una volta che l'assessore ha regolato i giochi e spartito il dindarolo decide di ricevere finalmente l'Associazione 21 Luglio. Si pulisce per bene la faccia, promette le stesse cose che ha promesso in campagna elettorale, e cambia il nome all'ufficio nomadi, mutandolo in "ufficio Rom, Sinti e Caminanti".Risate del pubblico. Meno di un mese dopo, il pubblico smette di ridere perché avviene lo sgombero a Ponte Marconi, con le solite modalità. Un uomo tenta il suicidio cercando di gettarsi da una gru. Dice che gli hanno tolto i figli in seguito alla distruzione della sua baracca. A nessuno frega niente.

 

Il consigliere Magi (per gli amici "il signor Malaussène", noi siamo amici quindi lo chiamiamo così) si presenta alla presentazione del rapporto ancora una volta come unico volto dell’amministrazione. Viene a portarci i saluti del sindaco e c'informa che l'amministrazione sta facendo dei passi avanti. Non sappiamo in che direzione. Sappiamo però che la stessa amministrazione ha deciso di stanziare 2 milioni di euro. Capperi! Fino a ieri il sindaco piangeva miseria presso il governo, e ora spende 2 milioni di euro così, come non ci fosse un domani? E per che cosa? Ma è chiaro: per la ristrutturazione del "villaggio della solidarietà" della Cesarina. Ora sì che i conti tornano.

 

Pensando anche solo al caso Salviati e a quello della Cesarina, sorge una domanda spontanea in merito agli sgomberi forzati. Perché spendere 1.545.058 euro nel giro di un anno per distruggere le baracche di chi fugge dai "villaggi della solidarietà" e trasferirli forzatamente o nei campi o nei centri di raccolta? Perché i Rom hanno due alternative: ritornare a subire vessazioni o essere rinchiusi in stanze senza finestre. Terza strada, confluire nell'esercito coatto di certi "movimenti per l'abitare", ovvero occupare dove non possono essere sgomberati. Ma neanche lì hanno vita facile. I Rom sono un popolo che non ha mai fatto la guerra. Non sono gente da resistenza violenta. E quindi alla fine spesso vorrebbero andar via anche da lì. Ma non possono. L'unica soluzione abitativa, a Roma, è quella che si prende con la forza. Allora ti chiama il vicesindaco, stando alle intercettazioni, e ti dice lui stesso che puoi stare tranquillo. Finalmente hai le spalle coperte; e dopo tanto tempo al freddo, ti possiamo pure capire. Davvero.

 

Perché le cifre presentate giovedì da Stasolla non sono gonfiate. Al contrario. Sono la punta dell'iceberg. Ai costi dell'esclusione, per comprendere interessi e guadagni, bisogna sommare il sommerso. Bisogna capire chi guadagna dall’esclusione sociale. Se chiudono i campi Rom, tanto per cominciare, ci rimetterà lo spaccio al dettaglio. Perché nei campi nomadi e nei quartieri disagiati, laddove siano presenti anche dei delinquenti, non si tratta certo dei delinquenti ricchi, quelli che guadagnano sull'ingrosso. Ci sono i piccoli spacciatori, i disgraziati. E anche chi gestisce il giro, nei campi Rom, è un povero disgraziato che vive in una baracca. Bisogna vedere dove la va a prendere, la droga. Ma questo non interessa a nessuno. Meglio sbattere in galera uno zingaro: e periodicamente scattano gli arresti, spuntano droga, soldi nascosti, e si alimenta lo stereotipo. La stampa ci presenta i Rom come dei veri banditi. Una cosa ridicola, a ben guardare. Perché i delinquenti sono una esigua minoranza in ogni campo. Gli altri devono viverci dentro. Ed è gente che la mattina si alza, cerca lavoro, chiede alle cooperative, raccoglie il ferro.

 

Come non si stanca mai di ricordare il sen. Luigi Manconi, già 30 anni fa il numero di Rom iscritti alla confederazione dell'artigianato era maggiore del numero di quelli denunciati per furto. I Rom e i Sinti sono gli unici cittadini, in Italia, che scendono in piazza per chiedere di poter pagare le tasse. Vogliono raccogliere il ferro legalmente, accedere alle licenze, avere i furgoncini in regola. Hanno manifestato anche il mese scorso. Nessuno li ascolta. Perché conviene a tutti che i Rom restino nell'illegalità. La maggioranza di loro farebbe qualunque cosa pur di uscire dal Sistema. Ma il Sistema ha bisogno di loro. Sono l'ultimo, schiavizzato anello della manodopera all'ultimo stadio. Certo, ci sono dei Rom che rubano negli appartamenti. Così come ci sono italiani, tunisini, cinesi, cingalesi, rumeni, polacchi. Ma in una città in cui tu devi chiedere il permesso a un racket anche per vendere gli accendini ai semafori, è un po' ingenuo credere che ci siano ancora molte persone che rubano o spacciano in proprio. Specie se parliamo di gente che non vive nelle ville con piscina, ma nelle baracche. Dove le meravigliose auto di lusso descritte da certa stampa noi non le abbiamo mai viste. Anzi. Ci sono per lo più furgoncini scassati e camper vecchio modello.

 

 

A chi conviene la segregazione? Andate a via dei Gordiani, se volete capirlo. Ci sono container ben messi, e container malmessi. Dipende quello che hai da offrire a certi funzionari. Se sei una ragazza madre sola, coi figli piccoli, e non hai un tetto sulla testa oppure hai bisogno di interventi strutturali, la strada è semplice. C’è sempre un’anima buona che ti invita a prendere qualcosa al b ar. E se sei compiacente, i problemi si risolvono. Specialmente se sei carina, come ci spiega M., un residente del campo. G. invece ha il marito in prigione, due figli piccoli e vive in una macchina. Le chiediamo perché non le hanno dato un container nel campo. Lei s’imbarazza, prova a spiegarsi. Poi scoppia in lacrime. "Io non sono una puttana",continua a ripetere.

 

Ora Ignazio Marino potrà sicuramente dire a G. che le cose sono cambiate. Non deve più compiacere l’ufficio nomadi, per avere un container. Deve essere carina con l’ufficio Rom, Sinti e Caminanti. Perché le parole sono importanti. Peccato che i Sinti giostrai nomadi che vivono a ridosso de La Barbuta non solo sono nomadi, ma le loro giostre sono ferme. La normativa sui permessi le blocca. Poi si parla male dei Rom, dei Sinti. Si dice che non hanno voglia di lavorare. Un uomo di cinquant’anni che vive in un campo nomadi e che ha un curriculum unicamente come giostraio, benché sia italiano, come fa a trovare un altro lavoro, in un paese in cui ci sono migliaia di uomini della sua età che oggi si definiscono "esodati" e partono da ben altre condizioni? Basterebbe cambiare qualche cavillo nella normativa locale per farlo girare con la sua giostra in tutte le sagre dei dintorni. Ma è meglio cambiare le parole per negare la sua esistenza.

 

Anche perché tenere i Rom e i Sinti in queste condizioni conviene a tutti. A cominciare dalle aziende che scaricano rifiuti tossici illegalmente. Se i terreni limitrofi al campo di via di Salone o de La Barbuta non fossero abitati dai Rom, scoppierebbe uno scandalo e interverrebbe la magistratura. E invece non succede niente. I Sinti de La Barbuta stanno sull’amianto e l’eternit. Hanno avuto casi di leucemia, anemia diffusa e un aumento dei tumori. A Salone non ne parliamo. Solo ora è partita un’indagine su due dirigenti della BASF, dopo decenni di lotta da parte dei comitati di quartiere. Nella zona di Settecamini è stato registrato dall’Istituto Superiore della Sanità un aumento dei tumori maschili pari al 30%, ed un aumento del 180% della mortalità per Linfoma non Hodgkin. Davanti alla fabbrica sorge un asilo nido. Eppure per anni c’è stato chi si lamentava del campo nomadi, se nell’aria qualcosa non andava. Pensavano fosse colpa di chi brucia i rifiuti.

 

Basta dare uno sguardo a quelle enormi discariche per capire che i Rom non possono, da soli, produrre tutta quella immondizia: calcinacci, materiali edili, residui di macchinari industriali, fusti di dubbia provenienza e dal contenuto non identificabile. Raccontano di camion che vanno a scaricare abusivamente. Certo, ci sono anche dei Rom che bruciano i rifiuti. Così come ci sono dei piccoli boss che hanno letteralmente in mano la gestione di alcuni campi. Ma sono una minoranza che vessa la gente onesta. E a loro volta sono semplici capillari della vasta Gomorra sulla pelle dei Rom, quella che si cela dietro la "Campi nomadi S.p.A.": un’azienda troppo grande per fallire.

 

Camillo Maffia e Gianni Carbotti

 

Foto di Gianni Carbotti

 

 


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