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23/11/24 ore

Rom e coronavirus. Dramma nel dramma: rischio fame e malattia nei campi nomadi di Roma. Intervista a Marco Brazzoduro



intervista di Gianni Carbotti

 

Mentre l’Italia è piagata dall’emergenza coronavirus un’ulteriore tragedia umanitaria si prepara nei campi rom della Capitale, già contraddistinti dall’assoluto degrado ambientale e igienico, che ora rischiano di trasformarsi in ulteriori focolai di pandemia nel territorio capitolino. Senza la possibilità di procurarsi di che vivere a causa della quarantena, prive d’informazione e di qualunque forma di profilassi, totalmente abbandonate dalle istituzioni, le comunità residenti in questi non-luoghi sono già allo stremo. L’Associazione Cittadinanza e Minoranze, che si occupa da anni della questione rom, ha lanciato in questi giorni una raccolta fondi nel tentativo di sopperire all’inquietante assenza dello Stato. Abbiamo intervistato il Prof. Marco Brazzoduro, presidente dell’associazione, per fare il punto della drammatica situazione.

 

Allora Marco, potresti parlarmi dell’iniziativa di cui vi siete fatti promotori in questi giorni e in generale della situazione dei campi rom a Roma?

 

Abbiamo intrapreso questa iniziativa per cercare di sopperire, come associazione di volontariato, alla colpevole e totale assenza delle istituzioni di fronte a una situazione sanitaria ed economica che va aggravandosi sempre più e che attanaglia anche il mondo dei rom. Nessuno si è preoccupato di questo gruppo sociale, di queste comunità che vivono confinate nei campi sottoposte anche loro all'obbligo di non mobilità, e chiaramente non possono ora praticare nemmeno quelle piccole attività microeconomiche che gli consentono di sopravvivere.

 

I Rom dei campi sono persone che vivono ai margini e che per vivere si dedicano a mestieri saltuari come commercio di povere cose, oggetti di quarta mano recuperati qua e là, compravendita di metalli, sgombero di cantine, musica e quant'altro, che con quei pochi soldi che riescono a racimolare ogni giorno danno da mangiare alle loro famiglie e a cui rimane ben poco di risparmio alla fine, spesso niente.

 

I rom sono spesso accusati di essere un popolo di mendicanti: in effetti capita che alcuni di loro come estrema risorsa si dedichino all'accattonaggio. Va sottolineato che in questa situazione non si può fare neanche questo, anche questa minima possibilità di guadagno è a loro preclusa...

 

Esatto! Personalmente ricevo di continuo in questi giorni telefonate di rom che sono con le spalle al muro, allo stremo: sono appelli di aiuto, manifestazioni di intensa problematicità, di non farcela più, di non avere più soldi per acquistare generi alimentari.

 

Quindi, interpellate le istituzioni, dalla Protezione Civile alla Regione, al Comune, che in una situazione come questa si dimostrano totalmente assenti, dato che i rom non sono presi minimamente in considerazione pur essendo tra le fasce di popolazione più fragili e vulnerabili, come associazione che da anni si occupa di loro, cerca di aiutarli in tante incombenze, ricerca di documenti, rinnovo di permesso di soggiorno e quant'altro, con una presenza assidua e continua nei campi - e per questo con una conoscenza approfondita delle loro condizioni di vita - ci siamo trovati costretti a rivolgerci ad amici, simpatizzanti, persone con un briciolo di sensibilità nei confronti degli ultimi facendo appello alla loro generosità, svolgendo una funzione di sostituzione delle istituzioni pubbliche, cosa che ideologicamente non ci compete né avremmo mai voluto farlo! Le nostre sono solo attività di supporto, le facciamo semplicemente aspettando che sia il pubblico, le istituzioni diciamo, a svolgere il proprio ruolo di intervento a sostegno delle fragilità.

 


 

A questo proposito ti volevo chiedere se, da quando è stata varata l’attuale emergenza legata all’epidemia di coronavirus, ci sia stato qualche intervento all'interno dei campi da parte delle autorità competenti, quantomeno a livello informativo o di distribuzione di materiale sanitario tipo mascherine, ecc.?

 

Assolutamente no! I rom sono completamente abbandonati a sé stessi. Innanzitutto va detto che non è stata effettuata alcuna forma di necessaria sanificazione nei campi a fronte delle condizioni di forte degrado e sovraffollamento che li caratterizzano, ma anche dal punto di vista puramente informativo non è stato fatto nulla. I rom non hanno idea dell'evoluzione continua dell’emergenza in atto, sono soli con la loro paura.

 

Si è diffusa nei campi una preoccupazione, una tensione, che si potrebbe tagliare col coltello. Questo costituisce un’altra forma di abbandono, di assenza di tutele nei loro confronti insieme all’estrema miseria. Alcuni mi chiamano e mi dicono: “non abbiamo più soldi per comprare il latte alla bambina che ha 3 mesi”...insomma parliamo di una situazione veramente preoccupante con tutto quello che sappiamo dell’infimo livello igienico-sanitario di base di questi luoghi che li rende potenziali focolai di malattie e costituisce un problema endemico a sé. 

 

Un dato importante per quanto riguarda le problematiche legate alla possibile diffusione di COVID-19 è il fatto da te sottolineato dell'impossibilità di mantenere nei campi le distanze di sicurezza prescritte dalle recenti ordinanze visto che ci sono nuclei familiari con molti membri che vivono tutti insieme dentro lo stesso container. Mi sembra una situazione simile a quella in cui versano le carceri italiane…

 

Ma sì certo, del resto i cosiddetti campi nomadi somigliano più a luoghi di detenzione che a dei consessi del vivere civile. Ci sono situazioni di sovraffollamento per cui in 20 metri quadri vivono pigiate 7/8 persone se non di più, quindi se dovesse verificarsi un episodio infettivo ci vorrebbe pochissimo perché la malattia si diffonda in maniera estremamente rapida a tutti e questo costituisce un problema più ampio che riguarda anche tutti gli altri cittadini che vivono in prossimità dei campi. Perché non è che i campi, per quanto decentrati, stiano su un altro pianeta. 

 


 

A questo punto ti volevo chiedere una cosa su cui tu probabilmente hai informazioni più dettagliate: ho sentito che un po’ di giorni fa, come raccontato anche da alcuni media, un ragazzo rom ricoverato allo Spallanzani è morto per le conseguenze del coronavirus. Tu sai dirmi qualcosa di più preciso in merito?

 

Quello che impressiona è che questo ragazzo, che poi lascia moglie e quattro figli, era giovanissimo, aveva appena 33 anni, ed è entrato allo Spallanzani in maniera, come dire,  quasi spavalda perché ha mandato agli amici un video salutandoli, con un arrivederci per niente preoccupato. Dopo due ore è stato intubato, è entrato in coma e dopo 13 giorni è morto con grande disperazione dei parenti, della famiglia e forte preoccupazione degli amici. Quelli che lo frequentavano più assiduamente, tra cui vari residenti del campo di Via Salviati, hanno chiesto di essere sottoposti al tampone per verificare se fossero anch’essi contagiati: la risposta che hanno ricevuto è stata che non era possibile e di recarsi all'ospedale soltanto in caso di sintomi molto pronunciati per i test del caso.

 

Un’ultima domanda: a Roma c’è un famoso o famigerato “Ufficio Rom”, organismo preposto da Roma Capitale per occuparsi dei campi e delle comunità che ci vivono, ente che è stato al centro di critiche in passato perché di fatto istituito per occuparsi di una specifica minoranza su basi razziali. Che fine ha fatto l'Ufficio Rom in questo frangente? Non è intervenuto in qualche modo che tu sappia?

 

L’ufficio Rom è praticamente deserto, totalmente assente. Ovviamente l’abbiamo sollecitato, abbiamo cercato contatti, mandato appelli e segnalazioni, chiesto che svolgessero il loro ruolo, che essenzialmente è un ruolo di gestione ordinaria dei campi ma in situazioni critiche come quella attuale dovrebbero necessariamente svolgere un'attività in prima linea per fronteggiare l'emergenza...ci hanno risposto che non hanno gli strumenti, non hanno i mezzi, non hanno idea di cosa fare mentre secondo me le priorità sono chiarissime: il problema è appunto quello della sanificazione dei campi e quello dell'informazione, della profilassi.

 

È necessario che gli assistenti sociali dei municipi vadano nei campi a rassicurare i residenti della presenza costante dello Stato. L’altro problema principale è la fame, letteralmente la fame perché quei pochi che avevano qualche risparmio li hanno consumati e ricevo telefonate continue di gente disperata che non sa come approvvigionarsi di generi alimentari di prima necessità.

 

 

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Questa è una richiesta di aiuto. Una raccolta di fondi. Serve a evitare il baratro in cui il Coronavirus ha gettato una popolazione abbandonata a se stessa.

 

Se ci si chiede chi si stia occupando dei rom e dei sinti della capitale, oltre 6 mila persone nei campi, la risposta è: nessuno. Né il comune (il cui ”ufficio rom” risponde che le informazioni sono “riservate”), né la Protezione civile (il cui capo nazionale ha risposto, alla domanda di un giornalista, che “se ne occupa la Protezione civile di Roma”, ma non è vero), né la Prefettura e nemmeno l’Ufficio anti-discriminazioni. E l’ospedale Spallanzani ha registrato la morte di un rom, per coronavirus, subito dopo avere, con un apposito e inusitato comunicato, fatto sapere che “allo stato non abbiamo ricoverati di etnia rom”.

 

Deve essere a causa della difficoltà di stabilire l’”etnia” di chi sta morendo di polmonite fulminante, che Stanije Jovanovic, rom serbo di 33 anni, non è stato riconosciuto come tale. Viveva in un casa popolare con la moglie e quattro figli, aveva una famiglia numerosa nel campo di via Salviati e ogni giorno andava a trovarli. Eppure, dopo la sua morte non ci sono stati tamponi per loro o nel campo, solo l’obbligo di quarantena, ma a quello chi vive nei campi è abituato.

 

Vigili e poliziotti controllano che nessuno esca o entri, e solo una persona per famiglia può andare a fare la spesa. Ma con che soldi? I rom vivono di piccoli commerci, della raccolta di materiali, di elemosina: ora non hanno più nulla. E nessuno si cura di sapere in che condizioni igieniche vivono dentro il recinto. Segregarli serve solo ai non rom, li cancella dalla vista.

 

La nostra associazione, che con pochissimi altri lavora da anni assieme a rom e sinti, si chiama “Cittadinanza e minoranze”. Questa è una minoranza senza cittadinanza, in senso formale, spesso, dal punto di vista pratico, sempre. Se avessimo più fondi potremmo fare, almeno in parte, quel che le istituzioni non fanno. Perciò abbiamo deciso di chiedere donazioni.

 

Chi vuole, può versare sul conto bancario dell’associzione il cui iban è: IT50V0538703241000035100781, inserendo  nella causale “donazione per i Rom” ed il proprio indirizzo di posta elettronica, affinché potremo  inviarvi il resoconto di quanto raccoglieremo e di come impiegheremo il danaro raccolto. L’importo dei versamenti potrà essere portato in detrazione nella Dichiarazione dei Redditi allegando copia dell’attestazione del bonifico.

 

 

 


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