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23/11/24 ore

'La vie d'Adèle', l'amore si tinge di blu


  • Florence Ursino

E poi, di colpo, il blu. Poche parole sarebbero sufficienti per penetrare in quel colore caldo e assorbirne lentamente ogni pigmento attraverso i pori dilatati dei sensi. Ma poi una frase non basta e si è costretti ad aggrapparsi a lei, a un'adolescente che legge la Marianne di Marivaux e cerca l'amore e ha fame di spaghetti e di pelle di donna e di una cattedra da cui restituire a occhi di bambini la bellezza di un insegnamento.

 

Si è obbligati a diventare lei, ad essere nudi e languidi e impetuosi e lussuriosi, a mordere la sua carne, bere i suoi liquidi, masticare il suo dolore, lacrimare la sua gioia. Solo così Abdellatif Kechiche decide di farci vivere la sua eroina, protagonista di una delle più belle opere cinematografiche prodotte negli ultimi anni: vincitore della Palma d'Oro a Cannes, 'La vie d'Adèle' è il naturale e imprevedibile movimento dell'animo umano, una parabola sull'educazione carnale e sentimentale scevra da dogmi aprioristici e dalle ragnatele della consuetudine.

 

Adèle incontra Emma in uno sguardo distratto e il mondo diventa continua rivelazione. Con un severo e ipnotico ammaestramento del tempo e degli spazi, il regista franco-tunisino, camera a mano, aderisce alla pelle della sua giovane donna, ne rivela contorni e orifizi con la continuità del movimento propria della vita stessa: Adèle si emancipa da qualsiasi sottomissione di tipo narrativo.

 

Nessuno gesto, nessuno sguardo, nessuna parola è subordinata all'azione: Adèle – Deleuze docet - é l'azione, è il tempo, dilatato, lungo, estraneo a un tutto che non sia solo lei e il suo primitivo bisogno. Un film che non rilascia il respiro, non dà tregua, che in tutti i 179 minuti non permette alle mani di coprire gli occhi e al racconto di soffocare il qui e ora: la libertà – registica e diegetica – non può essere manipolata e le amanti di Kechiche ce lo dimostrano con una ferocia inebriante.

 

Intensa e sensuale Emma (Lea Seydoux), chioma e occhi blu in cui cercare l'incanto della crescita (sessuale ed emotiva); superba lei, la sconosciuta e morbida Adèle Exarchopoulos, lei che presta nome e carne alla Adèle dello schermo fondendosi totalmente in lei, cristallizzando il cinema nella sua forma più perfetta.

 

Due donne e due capitoli per un amore che lacera e rigenera e poi lacera ancora, senza anestesie, senza palliativi, su una pelle che fatica a cicatrizzare: i sudori e gli umori di corpi persi nel parossismo di un impulso viscerale sono gli stessi sia nell'estasi del sentimento che nel suo inevitabile disfacimento. Sesso e sguardo, orgasmo e distanza, irruenza e inevitabilità: Kechiche ama l'ombra e la luce della sua Adèle, le sue smorfie, i suoi occhi gonfi, la sigaretta tra le labbra piene.

 

Kechiche ama il cinema come la sua Adèle, perchè il cinema è la sua Adèle ed entrambi sono la vita e d'improvviso c'è la strada e Adèle la percorre ed è sola e viene voglia di andarle dietro, abbracciarla e inventarlo tu per lei, quel futuro che non si può dipingere se non dietro la tela bianca di uno schermo spento.


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