Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

23/11/24 ore

Il cliché del visionario Jobs


  • Adil Mauro

“Sei dannatamente bravo ma sei un testone”. Steve Jobs è tutto qui, nella battuta pronunciata dall'attore che interpreta un suo superiore alla casa di videogiochi e console Atari.

 

Senza discostarsi troppo dalla struttura del classico biopic, la pellicola racconta alcuni passaggi fondamentali nella costruzione dell'icona Steve Jobs: il semestre da hippie scalzo al Reed College di Portland, i primi passi di Apple tra fiere locali e intere giornate trascorse nel garage dei genitori adottivi col socio Steve Wozniak, fino all'estromissione dalla sua società nel 1985 e il ritorno 12 anni dopo.

 

I momenti alti vertiginosi (il successo dovuto a intuizioni che hanno cambiato il nostro rapporto quotidiano con la tecnologia) e quelli bassi altrettanto clamorosi (la “cacciata” da Apple) che ha dovuto affrontare rendono la sua vita perfetta per una celebrazione hollywoodiana.

 

Il film è un'agiografia riuscita a metà: gli aspetti più riprovevoli del messia di Cupertino (l'iniziale rifiuto verso la primogenita Lisa e il cinismo col quale liquidò alcuni dei suoi primi dipendenti) vengono riportati superficialmente, passando in secondo piano davanti a un “bene superiore” non meglio identificato.

 

Jobs viene spesso definito “visionario”, termine che nella lingua italiana ha un'accezione ben più negativa di quella americana. L'impressione però è che quest'aspetto fondamentale della sua personalità in sede di sceneggiatura sia stato declassato ad una sorta di cliché, quello del genio fricchettone amante del bello e con spiccate manie di controllo.

 

Il mimetismo messo in scena da Ashton Kutcher – attore noto ai più come ex toy boy di lusso dell'affascinante Demi Moore – non è vuoto esercizio di stile: la somiglianza fisica col giovane Steve viene assai sfruttata, evitando tuttavia derive caricaturali.

 

Detto ciò, l'essere arrivati per primi in sala (il progetto del film risale addirittura ad un paio di mesi prima della morte di Jobs) pagherà forse al botteghino, ma il risultato finale resta poco al di sopra della sufficienza.

 

Il voto rispecchia la resa sul grande schermo del complesso e poliedrico cofondatore di Apple; sufficiente, per l'appunto. Regista e sceneggiatore hanno scelto il percorso più convenzionale: non hanno “pensato diversamente”, per dirla con lo stesso Jobs.


Aggiungi commento