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24/11/24 ore

Torino Film Festival entra nel vivo. Mafia italiana e rivoluzioni arabe



Strega ma non affascina la prima fatica di Pif da regista, La mafia uccide solo d’estate che, spenti gli applausi della prima torinese, incassa in pectore il premio del pubblico ma potrebbe anche riscuotere la vittoria assoluta, dati i toni entusiastici unanimemente decretati nelle molte pagine dedicategli e sul web.

 

Nascita, infanzia , adolescenza e paternità di un palermitano (Pier Francesco Diliberto appunto) sono scandite dai più importanti fatti di mafia degli ultimi quarant’anni.

 

Dall’ele(va)zione di Ciancimino a sindaco di Palermo alle stragi di Capaci e Via D’Amelio. L’ossatura del film è tutta qui: un intreccio tragicomico che più che denunciare il già ampiamente noto, infastidisce creando un’insalata di emozioni che si elidono a vicenda. Si ride delle macchiette sui mafiosi ma si inorridisce per il filmati e le foto di repertorio dove il sangue è vero come i cadaveri da cui proviene.

 

Le gags si alternano alle prime pagine shock sulle morti violente degli eroi, loro malgrado, della storia siciliana che da quegli anni diventa ed è tuttora quella nazionale, con un intento dichiarato che non raggiunge l’esito apparentemente voluto.

 

È vero che si ride di e per la mafia ma è un’ilarità colorata di macabro e, involontariamente certo, irrispettosa verso fatti e persone, pensiamo alle vittime e ai loro parenti da cui, presto o tardi, dovranno pur arrivare dei riscontri.

 

A salvare il film arriva provvidenzialmente il finale, con il collage delle foto giornalistiche dei morti illustri e delle scorte al seguito, su cui scatta l’applauso sentito, commosso, sinceramente partecipe.

Ma è rivolto ai magistrati, ai poliziotti e a tutti quelli che ci hanno rimesso la pelle e ai loro parenti, ancora e per sempre in lutto. Non certo al film.

 

Pre e post proiezione ritualmente benedetti da Virzì e … dibattito a seguire.

 

 

The Uprising è un film di montaggio, dell’inglese Peter Snowdon, quarantanovenne ex oxfordiano, giornalista e consulente ONU che, dopo tre anni passati in Egitto si è, ahimè, prestato al documentarismo.

 

La Rivolta (titolo italiano) finisce però per appiattirsi proprio su un’operazione di editing mal riuscito perché evidentemente mal pensato. Pensi di stare a Tunisi ma scopri di essere in Libia o in Siria ma tanto “il video è in grado di preservare quella voce individuale senza la quale la più grande delle folle non vale niente” sostiene Snowdon. “ E a fare in modo che l’invito a rifiutare l’umiliazione e il ridicolo di cui i governi riempiono i loro cittadini e a cercare di vivere invece con onore e con dignità, possa essere diretto non solo ai popoli di queste sei nazioni arabe, ma a tutti noi , ovunque”. Ciò detto e concesso, l’ ”ovunque” potrebbe anche andar bene ma il chi, cosa, perché e come? Come li risolviamo?

 

Chi ha amato Easy Rider adorerà, se non lo ha ancora visto, il suo prequel, The Wild Angels (1966) di Roger Corman, chicca tra le chicche della retrospettiva “The New Hollywood, Indie Movies 1966/1976”.

 

Perché è più estremo, naivement idealista, romantico, artigianale, sperimentale e ha molti più difetti di E.R. ma proprio di questi è fatta la sua originale, prepotente, instabile ma irresistibile forza di sfondamento.

 

Delle convenzioni, ideologie, istituzioni, credenze morali e quant'altro all'epoca pretendeva di porsi a punto di riferimento sociale, etico, religioso e politicamente corretto (l’espressione non era ancora stata coniata). Non solo in America.

 

 

Girato "sporco" in un bianco e nero virante al rossastro come le Polaroid sovraesposte di quegli anni, c’è da sperare non venga mai restaurato perché è magnifico così, con le sgranature e i bianchi  improvvisi e imprevedibili del montaggio, chissà quante volte violentato dalle proiezioni di mezzo secolo di onorata carriera underground.

 

Peter Fonda e Nancy Sinatra, figli d’arte e di Papà, bamboccioni incredibilmente credibili nella loro rivolta generazionale, ribelli prima di tutto contro le icone genitoriali che aleggiano per difetto, nello scorrere della loro performance, attorialmente non eccellente ma sincera, sudata, convinta, verosimile se accostata a quella degli autentici Hell Angels che figurano nel cast.

 

E le musiche, c’è da scommettere, improvvisate subito prima di girare da Mike Curb e Davie Allancon. Girato con 360.000 dollari in California tra Hollywood, Mecca, Venice e Palm Desert, il film incassò 14.000.000 di dollari nelle sale solo negli Stati Uniti più altri 7.000.000 per il noleggio.

 

Fu il dodicesimo più grande incasso cinematografico del 1966 e scelto come rappresentante del cinema americano alla Mostra del Cinema di Venezia.

 

Bruce Dern nella bara, protagonista del funerale più Rock della storia del cinema, di un certo cinema.

Sentite condoglianze.

 

Vincenzo Basile

 

 


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