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28/12/24 ore

A Venezia in ordine sparso: Leopardi,Belluscone, la Trattativa Stato-Mafia, Salvatores e Un Piccione Svedese che passerà alla Storia del Cinema



Ne Il Giovane Favoloso di Mario Martone, sorprende innanzitutto l’ambientazione. Per quanto meticolosa essa risulta a tratti inverosimile e i costumi peccano di quell’impeccabilità sartoriale che ne rivela l’anacronismo (a presente e futura memoria l’esempio delle polverose e sdrucite camicie rosse del Gattopardo) e persino Elio Germano resta al di sotto delle aspettative legittime che il suo riconosciuto talento spinge a coltivare.

 

I brani elettronici di Sacha Ring e Doug Van Nort seppur discreti, disturbano sia l’epoca di riferimento che il mood complessivo del film e mal si allineano con quelli del giovane Rossini, coevo di Leopardi. Se lo scopo era quello di suggerire una similitudine o una sovrapposizione di temi esistenziali tra le due epoche, ciò si verifica in maniera sgradevole.

 

Perfetta invece Isabella Ragonese nel pur breve ruolo di Paolina, unico sostegno nella vita dell’immenso artista e del mediocre film. Pur spalmato su tre locations (Recanati, infanzia, rivelazione del genio e primi moti di ribellione nei confronti degli opprimenti genitori; Firenze, giovinezza e prime uscite nella società letteraria che lo rifiuta a favore del più affermato Manzoni e Napoli, dove l’autore compie la sua maturità artistica) mantiene un ritmo discontinuo e l’amalgama temerario di epica, commedia, tragedia e qualche accenno vago al melodramma, rimane incompiuto. Discorso a parte meritano i versi naturalmente, quelli incomparabili di sempre. Riascoltarli, insieme al carteggio del poeta con l’amico e pigmalione Antonio Ranieri, giustifica e ricompensa ampiamente le due ore e più di visione.

 

Belluscone.

Il nichilismo di Maresco è cosa ormai assodata e trattandosi di mafia e politica, siciliana e non, non è agevole contestarlo. Questo è e rimane comunque il suo sguardo e il suo vuole essere e rimanere un film incompiuto ma trascinato comunque al festival e successivamente, ci auguriamo, nelle sale, dal mentore Tatti Sanguinetti. E’ quest'ultimo a riscuotere in sala l’applauso più sentito e di certo più lungo fino ad oggi tributato al festival di Venezia al grido scandito dai molti ”Franco… Franco” . Anche se poi, per pronunciarsi nel merito del film, dichiara tra il serio e il divertito di attendere il responso da Cologno Monzese.

 

Chi si aspettava la feroce e diretta satira su Berlusconi è rimasto per lo più deluso. Il bersaglio del sarcasmo del regista palermitano è diretto piuttosto verso quello che un suo concittadino definisce la "monnezza" ovvero (se non tutto almeno in parte) il sottoproletariato urbano del quartiere Brancaccio. Precisamente quegli aficionados dei cantanti neomelodici alcuni dei quali, nelle esibizioni live, tra gorgheggi appassionati e dediche strappalacrime, trovano il modo di lanciare messaggi in codice ai detenuti in attesa di giudizio. Tutti di stretta osservanza Berlusconiana, considerato Lui, Silvio, il Salvatore delle sorti di tutti, in tutta la Penisola.

 

Il regista vero, dal canto suo si accontenta di far rimarcare la propria dilagante assenza (ampiamente giustificata da una confessata, profonda crisi depressiva) che certamente però non l’aiuta a reclamare contro l’ingiusta esclusione da un Festival che, lo stesso suo direttore Alberto Barbera, aveva definito “importante spazio di ricerca”. Spassoso il cameo di Ficarra e Picone. Per il resto si ride e spesso; di un riso amaro però, come potrebbe essere quello che a qualcuno può suscitare l'involontaria goffaggine di uno storpio o di un demente.

 

Maresco era partito dall’idea di fare un’operazione alla Santoro ma strada facendo gli eventi e la sua indole lo hanno indotto a seguire la sua poetica identitaria e a schierarsi come sempre con i perdenti, scomodi di certo ma non per questo innocenti, che le immagini mostrano e raccontano. Lui, l’Assente, ci tiene a precisare che non si sente di fare il giustiziere e che la sua è solo una farsa che riguarda la fine di un mondo (quello della mafia pre Riina, gestita da Stefano Bontate) e di un epoca, quella in cui si ammazzava solo se doveroso, risparmiando donne e bambini.

 

Se osassimo come osa Marzullo, porci la domanda che sorge spontanea “Ma la Sicilia può essere considerata metafora dell' Italia?” non sarebbe forse azzardato rispondere ponendone un’altra: “Beh, forse l'asse criminale Milano-Palermo (non certo inedito prima di Maresco e del suo film) lascia adito a seri dubbi ? Dovrebbe uscire nelle sale il 4 Settembre prossimo!

 

A pigeonsat on a branchreflecting on existence, arrivato quasi in sordina al Lido, sorprende per stile e contenuti. "Questo film contiene tutto" spiega il regista Roy Andersson, classe 1943, due lungometraggi di esordio (1970 e ’75), una parentesi di 25 anni come regista di spot pubblicitari e poi un clamoroso rientro con due film (Songs from the secondfloor, premiato con il prix de Jury a Cannes 2000 e You the Living del 2007) e questo terzo in prima mondiale. Del quale in conferenza stampa dice :”E' una commedia, una tragedia, è un musical insieme. Contiene dei toni a volte grotteschi con degli incubi che mi hanno fatto sudare freddo. In un certo senso rappresenta la mia visione globale di cinema. E' proprio il film che ho sempre sognato di fare". "Durante i quattro anni di lavorazione ho goduto dell'aiuto di una equipe straordinaria di scenografi, scenotecnici e operatori di straordinaria capacità e bravura. Non mi sono mai piaciuti i film che seguono una linea narrativa di senso compiuto e scorrono sempre verso il lieto fine; li trovo noiosi. In questo seguo un percorso atipico fatto di accostamenti apparentemente casuali di scene che, pur rifuggendo la spettacolarizzazione, funzionano bene proprio per la loro estrema semplicità. I personaggi sono surreali nei loro caratteri e hanno molto a che fare con il teatro dell'assurdo. Il tutto è stato ripreso con la camera fissa ispirandomi al primo Chaplin ma anche a Bruegel che, nella grande bellezza di cui è stato capace artefice, ha raccontato la grande ordinarietà della vita contadina del suo tempo. Vuole essere uno sguardo obbiettivo sulla condizione umana dipinta seguendo l’esempio della grande pittura che vediamo nei musei”.

 

Italy in a Day di Salvatores è il collage che il regista aveva promesso di comporre a chi gli avesse mandato i propri film amatoriali ripresi con il cellulare. La prima parte scorre buonista ma poi il precariato, la disoccupazione, la malasanità e la malagiustizia fanno gradualmente il loro ingresso e il primo applauso a scena aperta di questo festival, irrompe a seguire una storia di ordinaria prevaricazione mafiosa che commuove per la dignità con cui viene raccontata da chi ne è stato vittima.

 

“Il film è uno specchio dell’Italia di oggi, fedele rappresentazione, in percentuali di ottimismo-pessimismo,al materiale ricevuto. Abbiamo selezionato circa 45.000 contributi e la scelta è stata laboriosa. Non abbiamo mai manipolato i files che sono stati corretti solo riguardo al colore e al suono, mantenendone inalterato il contenuto. Credo rappresenti e mostri lungo i suoi 75 minuti, la dignità e il decoro di un paese ferito che però non rinuncia, se mi permettete l’espressione, alla possibilità di sognare”.

 

La conferenza più attesa di oggi è di certo quella su La trattativa (Stato – Mafia) di Sabina Guzzanti.Che a domanda risponde:

 

”Ho scelto la formula del docu-fiction perché per un verso è limitante il documentario e per l’altro lo è la fiction. La struttura narrativa mista ci ha dato maggiore possibilità di operare sulle scansioni temporali e nello stesso tempo di introdurre le riflessioni che ci premeva condurre sui fatti. Abbiamo sfruttato i pregi di entrambi i formati e optato per una recitazione brechtianamente straniante (termine contro il quale perfino la Carrà oggi protesterebbe) per mostrare e ricordare allo spettatore come i fatti siano realmente accaduti. Che poi ci siano dei colpevoli, dei responsabili, quali le cause e gli effetti, tutto questo lo decideranno i processi. Credo però che contrariamente all’abitudine che si è strutturata dal ’92-’94 (Falcone-Borsellino- discesa in campo ecc.), di non prendere mai posizione davanti a dei fatti di cronaca solo perché quei fatti non sono ancora acclarati da una sentenza passata in giudicato, l’opinione pubblica abbia oltreché il diritto anche la piena ragione di pronunciarsi e confrontarsi. Lo stesso Borsellino diceva che se un politico viene assolto in un processo, questo non comporta necessariamente che egli sia innocente ma piuttosto che concretamente non ci siano le prove della sua responsabilità nel reato di cui è stato imputato. L’opinione pubblica ha il dovere di ragionare su questo meccanismo, comunque e sempre svincolandosi dal percorso giudiziario e delegando alla magistratura tutta la responsabilità.

 

Quando inizia un rapporto con Cosa Nostra, come è stato riferito da Spatuzza e da molti altri pentiti di mafia, tra Berlusconi e i Clan che sembra gli abbiano prestato i soldi per fare le sue prime operazioni immobiliari a Milano è lecito e conseguente pensare che la cose si siano protratte nel tempo. Le pressioni di Napolitano su Grasso e la Cassazione sono accertate e documentate (Marra) come la presidenza di Violante alla commissione antimafia durante gli ultimi anni di Falcone. La mancata perquisizione della cassaforte di Riina e del suo covo è un fatto certamente clamoroso. E’ noto che tutti i boss, e non solo loro, hanno sempre un archivio di nomi e di fatti preziosissimi, per poter ricattare collaboratori o nemici al momento opportuno. E’ più che scontato pensare che lo avesse anche Riina e che questo contenesse i nomi di quei segmenti della politica, della magistratura, della polizia e dell’editoria senza i quali l’imponente cambiamento nella politica e nella società italiana non sarebbero potuti avvenire a partire dalla caduta del muro in poi. Come dichiarato nei titoli di coda abbiamo fornito materiale risultante dalle indagini delle procure di Palermo e Caltanissetta e un aiuto consistente lo abbiamo avuto dagli archivi processuali di Radio Radicale che sono disponibili a chiunque voglia conoscerli.”

 

Qualcuno osserva :”Berlusconi compare in due film in questo Festival” Guzzanti: “Capisco che il mio film possa essere accomunato a quello di Maresco ma si tratta di due opere completamente diverse per struttura, contenuti e dinamiche” “Avete avuto pressioni o minacce?” Guzzanti:” Per fortuna nessuna. Altrimenti avrei avuto paura…se non mi attaccate voi qui’, adesso, mi riterrò ampiamente soddisfatta”. Questo film ha già una distribuzione.

 

Vincenzo Basile

 

 


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