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24/11/24 ore

San Sebastian Film Festival, i riflettori sono puntati sui giovani registi ungheresi



di Vincenzo Basile

 

Le stelle di Hollywood sono presenti in forze e sfilano fotografatissime sul red carpet spagnolo ma da Abel Ferrara con il suo Pasolini ad Automata, il mediocre sci-fi  con Antonio Banderas e da Jessica Chastain a Wilelm Defoe, da Denzel Washington a Viggo Mortensen, fino a John Malkovich col suo triste Casanova Variations, nessuno dei loro film  ha, almeno fino a oggi, fatto gridare al Capolavoro.

 

E’ vero che siamo ancora a metà kermesse ma questa situazione sta spostando l’attenzione dal Glamour del Mainstream al cinema d’autore che finalmente ritorna a essere protagonista. E questo festival non si è lasciato cogliere di sorpresa. L’edizione 2014 contiene infatti la rassegna Eastern Promises che raccoglie i cinquanta titoli esemplari che hanno fatto la storia degli ultimi quindici anni di quella cinematografia.

 

Tra questi ben 8 i film ungheresi, tra coproduzioni e opere 100% magiare. I piu' applauditi certamente Jhoanna, l'Opera lirica di Kornell Mundruczo (premiato dalla giuria di Cannes 2014 per Dio Bianco) Pal Mariann di Agnes Kocsis e Hukkle di Gyorgy Palfi.

 

Ma l'attesa e' stata per il piu' giovane di tutti, il trentacinquenne Marcell Gero che con il suo Kain Gyermekdei (Figli di Caino) si candida alla vittoria nella sua categora, quella dei New  Directors.

 

La storia è quella di tre giovani, provenienti tutti da famiglie socialmente disastrate, che appena quattordicenni commisero un omicidio. Il documentario ricostruisce i fatti durante e dopo la loro scarcerazione, identifica le cause familiari e psicologiche  e si rivolge ai suoi soggetti per chiedere e capire come vivono il loro presente, con quali speranze, progetti, aspettative verso la societa', il loro passato e le persone a loro piu' vicine.

 

Agenzia Radicale ha incontrato il regista e la produttrice Sara Lazlo subito dopo la prima mondiale allo storico Cinema Principal che è anche il teatro più antico e suggestivo della città.

 

AR: E’ vero che hai scoperto la passione per la regia e per il cinema all’eta’ di 6 anni?

 

Gero: Ma come l’hai saputo? E’ successo moltissimo tempo fa.

Per Natale con i miei parenti ci trovavamo nella nostra villa in campagna e a noi bambini fu dato l’incarico di preparare una recita per la serata. Così, spontaneamente, cominciai subito a organizzare la regia dello spettacolino e mi sentii molto contento e soddisfatto in questo ruolo.

 

AR: E poi?

 

Gero: Poi non ci pensai più fino a quando, iniziata l’università, studiando letteratura francese, mi accorsi che mi annoiavo terribilmente.

Scoprii allora che c’erano dei corsi di cinema, teoretici e pratici e provando subito un grande interesse per quelli pratici decisi di entrare all’Accademia di Cinema e Spettacolo di Budapest, reinventandomi completamente gli studi e la vita ed è li che, frequentando gli stessi corsi, che io e Sara Laslo ci siamo conosciuti e abbiamo deciso di lavorare insieme.

 

AR: Come hai conosciuto Kornell Mundruczo e come avete iniziato a collaborare?

 

Gero: Quando ho deciso di iniziare a lavorare professionalmente nel cinema i miei modelli erano Georgy Palfi e Mundriczo e quando seppi che quest’ultimo cercava un collaboratore volontario per completare la sua equipe io accettai subito anche se il mio compito era di fare un po’ di tutto nella produzione del film.
Poi ho continuato con lui fino a diventare il suo primo assistente per Delta (2008) e devo riconoscere che per me, quello passato con lui, è stato il momento piu’ importante di crescita professionale.

 

AR: C’è qualche aneddoto divertente del periodo dei tuoi inizi nel cinema?

 

Gero: Si ed è legato a un mio errore clamoroso.

Eravamo nella Romania orientale ed ero responsabile del materiale di scena. Una sera poco prima di iniziare le riprese, scopriì che avevo perso un fucile che era essenziale per una scena e non sapevo proprio come risolvere il problema che io stesso avevo creato. Mi sentivo malissimo perché tutta la troupe mi guardava male, poi finalmente il falegname che era con noi prese l’iniziativa e creò un nuovo fucile lavorando su un pezzo di legno che aveva trovato sul campo dove giravamo. Praticamente lo scolpi e lo dipinse di nero tanto bene che nessuno, a parte quelli che sapevano dell’incidente, si accorse della sostituzione.

 

AR: Per tornare all’attualità, che differenze puoi dire di aver riscontrato tra l’Ungheria degli anni ’80 che vediamo nel film e quella di adesso?

 

Gero: La differenza e’ che a quei tempi era chiaro a tutti che fossimo sotto una dittatura e se ne parlava mentre adesso, in questa cosiddetta democrazia, spesso non la senti come tale, com’è successo specialmente negli ultimi 5 o 6 anni .

Quando il regime stava cambiando, anche se ero ancora un ragazzo, mi ricordo che c’era un’energia molto positiva nell’aria. Adesso invece, che dovremmo trovarci in un nuovo sistema, quella sensazione è finita e al posto suo è subentrata la delusione e sentiamo spesso di essere tornati indietro a un qualche tipo di dittatura, di avere meno libertà, sentiamo la sparizioni di alcuni ideali democratici, molta più centralizzazione. Non è piacevole vivere in questo clima e non sappiamo cosa aspettarci nei prossimi tre anni.

 

AR: C’era una ragione personale dietro all’idea di fare questo film quando l’hai deciso?

 

Gero: Non saprei dire, almeno non credo, coscientemente. Vedere il documentario Bebukottak (1985) di Andras Monory-Mesz che raccontava di quei ragazzi ha impressionato molto sia me che Sara, abbiamo cominciato a discuterne e da lì è nata l’idea di scrivere e realizzare il nostro film.

 

AR: Da cineasta ungherese quali sono, se ci sono, le differenze tra la cinematografia dell’Est rispetto a quelle dell’Europa occidentale?

Sara Laslo.Credo che nel resto Europa i registi siano più liberi, grazie soprattutto ai più cospicui budget, di scegliere i luoghi in cui girare. Un francese può tranquillamente girare in Germania e viceversa mentre da noi questa possibilità è generalmente fuori discussione ponendo un limite di scelta non solo riguardo le locations ma anche alle storie da raccontare.

 

Gero: Per me credo che le storie dell’Est abbiano uno sfondo tendenzialmente più triste e siano più incentrate sull’intimità dei personaggi , sulle loro sensibilità. Ma tutto questo forse ha già cominciato a cambiare.

 

AR: Come avete scelto le musiche?

 

Gero: Abbiamo incominciato piuttosto tardi a lavorare alla musica, diciamo verso la fine del processo di montaggio.

Abbiamo fatto molte audizioni ma non mi piaceva nulla, Poi verso a fine dell’editing abbiamo scoperto che la sorella della montatrice Sylvie Gadmer, Dominique, era un’ottima pianista e compositrice e così abbiamo provato con lei.

Ha improvvisato alcuni brani e ci è subito piaciuta e così ha anche scritto delle partiture e quelle sono poi diventate la colonna sonora del film.

 

AR: Cosa hai voluto comunicare con questo film, quali significati?

 

Gero: Chi ha tendenza a trovare un significato lo fara’ così come chi vuole trovare delle evidenze estetiche, se ha una formazione in  belle arti. Per me come regista e filmaker la cosa importante è che il pubblico provi delle emozioni, che io come autore possa creare emozioni nei miei film.

Perché se ci sono emozioni queste poi porteranno con loro le idee e le riflessioni.

 

AR: Prossimi progetti?

 

Gero: Alcune idee , seppure appena abbozzate, ce le ho già ma ancora tutta la mia attenzione  è per il momento concentrata sull’uscita di questo mio primo lungometraggio. Vedremo poi ma posso dirti già da ora che voglio mettermi alla prova con il cinema di fiction.

 

 


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