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24/11/24 ore

Birdman, l'imprevedibile virtù dell'ignoranza



"E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, nonostante tutto? Si.

E cosa volevi? Poter dire di essere amato, sentirmi amato sulla terra". (R. Carver)

Con questa citazione inizia "Birdman, the unespected virtue of ignorance" del regista messicano A.G Inãrritu, film originale, candidato a 9 premi Oscar, che racconta la storia di Riggan Thompson (M. Keaton), un maturo attore stanco d’interpretare l’immaginario supereroe Birdman.

 

Per liberarsi dall’eroe alato Riggan decide di dedicarsi al teatro, riproponendosi in una veste nuova e pertanto a Broadway mette in scena un adattamento del racconto di Raymond Carver, "Di che cosa parliamo quando parliamo d’amore".

 

Nel corso di disastrose anteprime, Riggan deve affrontare molti problemi causati dalle persone che lo circondano: Laura (A. Riseborough), la sua compagna che pensa di essere incinta, Lesley (Naomi Watts), attrice che sogna il successo, Mike Shiner (Edward Norton), attore imprevedibile che non riesce a fingere in scena e invece recita nella vita, Sam (Emma Stone), sua figlia ed ex tossicodipendente che lo disprezza come padre, Jake (Zac Galifianakis), ansioso produttore e amico, Sylvia (Amy Ryan), l’ex moglie ed infine Tabitha Dickinson (L. Duncan), critica teatrale che vuole stroncare lo spettacolo.  Come se non bastasse, egli deve lottare con il suo Ego che gli appare di tanto in tanto nelle sembianze di Birdman, in una sorta di schizofrenico sdoppiamento, sollecitandolo a ritornare al cinema.

 

Dopo un serrato dialogo con Tabitha, si ubriaca e nelle vesti di Birdman immagina di spiccare il volo sopra la città allontanandosi da tutto e da tutti. Ritornato sulle scene riesce comunque a recitare molto bene la sua parte, ma per essere più realistico e ottenere un riconoscimento della sua bravura, usa una pistola vera per spararsi un colpo sul viso. Il sangue scorre sul palcoscenico tra standing ovation degli spettatori e recensione favorevole perfino della cinica Tabitha.

 

Il film sorprende fino alla fine con colpi di scena e immagini surreali e simboliche che ci fanno riflettere su finzione e realtà, condizionamenti e libertà, successo conquistato col sudore della fronte e notorietà ottenuta senza alcun merito grazie ai video pubblicati sui social network, allontanamento del pubblico da vera arte, teatro e cultura fagocitati da imperante cattivo gusto, ricerca di spettacolari effetti speciali e vuoti supereroi, gente che va a teatro come in un lontano passato si andava all’anfiteatro per veder scorrere il sangue.  E Riggan è pronto a versare il suo sangue in una disperata ricerca di approvazione per la sua bravura e per un immenso desiderio d’amore.

 

Attori ottimi, dialoghi brillanti, virtuosismi registici evidenziati  da una successione ininterrotta di piani di sequenza:  i personaggi entrano ed escono dal teatro, vanno in strada, s’incontrano nei camerini, percorrono cunicoli e corridoi del backstage in inquadrature labirintiche e claustrofobiche, accompagnate dal  martellante jazz di una batteria (quella di A. Sanchez) che solo  a tratti cede il passo a brani di musica classica (Ravel, Mahler, Rachmaninoff, Tchaikovsky).

 

Un film che vale la pena vedere per il suo stile dinamico, rocambolesco, ridondante, ricco di spunti per riflessioni, con personaggi-simbolo della condizione umana nell’attuale società.

 

Alcuni critici hanno visto in Inãrritu un seguace di Altman. Certo non si può comunque negare l’originalità delle sue opere, tra le quali ricordiamo 21 grammi, Babel, Biutiful.

 

Giovanna D’Arbitrio

 

 


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