di Vincenzo Basile
Alla vigilia della premiazione della Sezione Venezia Classici, incontriamo il presidente della giuria, Francesco Patierno. L’autore di Il mattino ha l’oro in bocca, Cose dell’altro mondo e dell’attualissimo La gente che sta bene.
AR: nella tua nuova veste di giurato è inevitabile chiederti un giudizio sul film di Bellocchio.
FP: è un regista che stimo molto, uno dei nostri Maestri; il suo è un film complesso che non si esaurisce alla prima visione. Mi ha straziato, l’ho detto anche a lui. L’ho trovato un film libero e trovare questa libertà in un regista maturo con tanti film alle spalle non è frequente. E poi è un film talmente personale da non essere classificabile. Per me la cosa più importante è ricevere un’emozione e io l’ho ricevuta, cosa questa che ultimamente avviene sempre meno. Tra l'altro ero seduto accanto a lui, quindi mi è arrivata anche la sua emanazione.
AR: come consideri lo stato attuale del cinema italiano? Il direttore del festival, Barbera, dice che quest’anno son stati fatti il doppio dei film con meno soldi dell’anno scorso.
FP: Ho letto i numeri su una rivista specializzata e sono in effetti impressionanti. Oltre 200 film con un budget medio di meno di un milione. C’è effettivamente un aumento dei film ma ne consegue un ovvio abbassamento della qualità. Prima certo, era molto più difficile produrre ma adesso è fin troppo facile in quanto, con l’avvento del digitale, i costi si sono drasticamente abbattuti. Sappiamo già che il prossimo I Phone avrà una qualità 4 K e quindi con il telefonino si potranno fare dei film che potranno avere la qualità sufficiente per essere proiettati sullo schermo della Sala Grande; tutto ciò non implica che sia un bene. Non dovrei dirlo ma è anche vero che oggi si vedono film che a un esame più attento non avrebbero dovuto neanche uscire.
Io mi considero un film maker, il mio primo lavoro, pater familias, fu girato in pellicola con 150.000 euro, e quindi io sono abituato a dei bassi budget ma è anche vero che se si vuole crescere, avere questo limite si ripercuote sulla capacità espressiva di un regista. Diciamo che ci troviamo in un periodo di crisi che se può portare a una rinfrescata può portare anche a una caduta. Ma ogni tanto si vedono dei film talmente belli che si va avanti comunque, aspettando il cambiamento.
AR: Come valuti questa edizione del festiva?
FP: Il direttore Barbera è stato molto chiaro. Con l’aumento dei festival e quindi dei film distribuiti, è sempre più difficile trovare dei capolavori; ad ogni modo penso però che lui sia un direttore appassionato, competente e soprattutto libero e credo che abbia fatto le scelte che andavano fatte. Che ci siano film belli e meno belli è nello stato delle cose come il fatto che ci siano anche film molto discussi come quelli italiani ma questo fa parte del gioco. Per me è un bel festival. Io ne ho frequentato molti prima e vedo adesso molte persone e mi piace l’atmosfera. Direi che vedere qui i film è come vedere una partita allo stadio anziché in televisione; si sentono gli umori del pubblico; e poi per me questa è un’esperienza nuova. Sono venuto altre volte con i miei film è vero ma questa volta sono presente come giurato e per me questa è un’esperienza nuova e me la sto godendo.
AR: hai delle persone che stimi particolarmente?
FP: ripeto che ho un’enorme stima di Bellocchio. Ho visto Black Mass con Johnny Depp e ho provato un piacere enorme a vedere quegli attori strepitosi. Vedrò Egoyan (Remember, ndr.), ne sono molto curioso. Non sono riuscito a vedere Francofonia di Sokurov a causa degli impegni e nemmeno Spot Light di cui mi hanno parato molto bene...
AR: Prossimi progetti?
FP: Sto lavorando a una serie televisiva sul modello di quelle americane di cui però, per contratto, non posso neanche annunciare il titolo e sono al montaggio del mio nuovo film documentario NAPOLI 44. E' tratto dal libro che Norman Lewis scrisse nel ’77. Lui passò un anno a Napoli durante la guerra e il suo libro ha avuto un successo enorme in tutto il mondo. Il film ha una base internazionale ed è molto ambizioso. Infine, sempre a Napoli, sto preparando il mio prossimo film. Segnerà il ritorno alla mia città e a quello che considero il mio DNA cinematografico.
AR: in base alla tua esperienza cosa ti senti di consigliare a un regista esordiente?
FP: Come dicevo prima, adesso col digitale è tutto più facile. Oggi un ragazzo potrebbe girare un film anche con 5000 euro e poi provare a trovare la distribuzione. La cosa più bella di un’opera prima è l’incoscienza. E’ una sensazione che lo stesso regista non ritroverà mai più nella sua vita, in quanto è una condizione irripetibile. Detto questo il consiglio da dare a un esordiente è quello di girare solo quando si ha la convinzione di fare la cosa giusta e non invece solo per esordire. E’ troppo importante l’opera prima perchè in qualche modo ti classifica nel bene e nel male. Io, a mio tempo, sono stato classificato e ne ho pagato anche le conseguenze nel senso che ho fatto un’opera prima giudicata così bene e inserita in un contesto così specifico che averne poi preso le distanze, perché sono fatto così mi piace cambiare, mi ha messo molto alla prova.
Il cinema però poi, ha una dimensione sospesa nel tempo, fatta del rapporto con gli attori, i tecnici un pò come il film di Bellocchio, sospeso tra un passato molto lontano e un presente che scappa verso il futuro.
AR: hai un sassolino nella scarpa che non ti sei mai tolto riguardo al mondo del cinema?
FP: Per mio carattere sono portato a prendermela più con me stesso che con gli altri. E’ chiaro che si vive in una situazione difficilissima e che è un mondo che ti presenta costantemente delle difficoltà e dei conti da pagare ma io sono molto concentrato su di me e quindi magari il sassolino me lo devo levare da me e questo lo farò quando sarò riuscito a compiere quello che devo e ho ancora da portare a termine.
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11 Minuti mozzafiato! Sono quelli di un Jerzy Skolimowski all’ultimo respiro nella sua distopica Varsavia, che rimanda esplicitamente alla New York delle torri dunque, vista l’epoca, a qualsiasi altra megalopoli del pianeta. Non è il futuro ma la contemporaneità alla quale non sembriamo avvezzi ancora, non fantascienza ma un thriller "esistenziale" tesissimo dal primo all’ultimo pixel che una dirompente colonna sonora spinge ai limiti della tolleranza percettiva. Le trame più diverse si inseguono e a volte si intrecciano ma tutte sono intrise del ritmo fibrillante della quotidianità metropolitana. Tra videotelefonini, videocamere di sorveglianza, pornovideo, video-desk e computer video, L'Occhio osserva gli stati visivi e di coscienza, alienati o alterati o agonizzanti; fanno parte del caotico Tutto in cui niente è più certo: è il ventunesimo secolo, bellezza. E tu non puoi farci niente! Avrebbe (forse) detto il Maestro e Nume tutelare di questo festival.
Il primo e certo più temibile concorrente al premio per la miglior regia e una lezione rivolta agli special effects makers d’oltreoceano su come si può dare pregevole spettacolo senza sbragare nell’estetica da videogames.
Atom Egoyan, con Remember, congegna la vendetta di due vegliardi ebrei alla ricerca dell'ufficiale nazista che ad Auschwitz, settant'anni prima, sterminò le loro famiglie. Dall'ospizio in cui vivono, l'uno (Christopher Plummer) il braccio, superata la soglia della demenza, parte alla ricerca della comune vittima mentre l'altro, (Martin Landau) la mente, lucidissimo ma alla canna d'ossigeno, lo istruisce e lo dirige per telefono. Tra gag comico-surreali ed efficaci colpi di scena, anche un road movie coast to coast, fino a una nemesi che tutto rimette in discussione: storiografia, etica, amicizia, senilità e, non ultima, l'irriducibile diffusione delle armi da fuoco negli USA.
ANNA di Giuseppe Gaudino è l'ultimo film italiano in concorso. Sicuramente il maggiore dei precedenti (A BiGGER SPLASH, L'ATTESA e SANGUE DEL MIO SANGUE) mostra la complessità dei rapporti familiari che diventa complicatezza se lo sfondo è un contesto di malaffare camorristico, di disamore e di degrado derivante dal bisogno, da un opportunismo involontario, compulsivo, imposto da ristrettezze economiche, disoccupazione, alienazione consumistica (leggi video-poker et similia).
Tra mare e sottosuolo, sole e catacombe puteolane, doveri familiari e lavoro da "gobbista" in una televisione napoletana, Anna non vive che per gli altri, divenuta la "cosa 'e niente" di Eduardiana memoria, schiacciata dalla gabbia anaffettiva in cui, per "amore della famiglia" si è rinchiusa, succube volontaria, da ormai un ventennio.
Brava, anche se non al meglio, la Golino e nel suo piccolo (ruolo) anche Adriano Giannini. Guadino osa molto ma finisce per mescolare troppi linguaggi; si va dal melò, al fumetto, dalla tragedia alla farsa, dalla sceneggiata napoletana alla contaminazione dantesca hip-pop fino all'iconografia dei Santini e oltre.
Dilata inspiegabilmente una sceneggiatura che avrebbe molto beneficiato di una spending revue di almeno un 20% ma, nonostante tutti gli eccessi, rimane un film da vedere se non altro perché, pur limitandosi alla pancia vesuviana, mostra l’intero organismo Italiano.
Ora l’attesissimo HUMAN di Yann Arthus-Bertrand, il grande fotografo e documentarista che dalle meravigliose immagini riprese dal cielo poi si abbassa e interroga sulle umane miserie, raccontate dai protagonisti: di guerre, discriminazioni, violenze e povertà.
“Riuscire nella professione che ci siamo scelti può essere relativamente facile. E’ molto più complicato riuscire in quanto esseri umani. A quasi 70 anni credo sia sempre più importante arrivare all’essenziale”.
L'apoteosi di Vasco Rossi, il più osannato sul red carpet, e del suo Decalogo per la regia di Fabio Masi, chiude questa penultima giornata di festival.
- Venezia 2015: Mostra Internazionale del Cinema, arriva il restauro integrale del miglior Welles. Quattro i registi italiani in concorso di V.B.