Premiato nel 2018 alla 75ª Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia con la CoppaVolpiper il MigliorAttore a Willem Dafoe e con una candidatura ai Golden Globe 2019, il film Van Gogh, sulla soglia dell'eternità (At Eternity's Gate) di Julian Schnabel, pittore newyorkese di successo nonché regista, non può essere considerato un comune biopic, poiché cerca di rompere schemi e cliché presenti in precedenti pellicole.
Il film si concentra sugli ultimi anni di vita di van Gogh, partendo dalla decisione dell’artista di abbandonare Parigi, dove si era trasferito per vivere con il fratello nel febbraio1886, per spostarsi in Provenza alla ricerca di un clima più mite e di una “nuova luce” per realizzare quadri meno cupi (fotografia, Benoît Delhomme).
Pur raccontando i momenti drammatici dei suddetti anni, come il taglio di un orecchio dopo la partenza dell’amico Paul Gauguin e la dura esperienza del manicomio, in effettiil regista utilizza anche episodi che la gente non conosce: non una pedissequa biografia, dunque, come ha affermato Jean-Claude Carrière, che ha scritto la sceneggiatura con Louise Kugelberg e con lo stesso J.Schnabel, in quanto il racconto si ispira non solo alle lettere scritte dall’artista al fratello, ma anche a racconti privi di testimonianza storica.
Secondo il regista la vita di Van Gogh era diventato quasi “un’attrazione turistica… Se si va in Olanda, tutti i posti in cui è stato sono diventati delle boutique; e invece la gente ad Harlem non era stata molto gentile con lui quando era in vita. Tutti pensano di sapere tutto su Van Gogh, e in effetti questa poteva essere una buona ragione per non fare niente: ma per gli stessi motivi poteva essere una ottima ragione per girare”.
Nel film vengono sottolineati i rapporti con il fratello Theo (Rupert Friend) e il pittore Paul Gauguin (Oscar Isaac). Il fratello infatti accorre sempre per offrirgli conforto e aiuto ed è tra le poche persone che apprezzano i suoi dipinti: toccante la scena in cui Theo si sdraia accanto a lui sul letto del manicomio. Paul Gauguin, altra figura importante, diventa suo amico, grazie a Theo che gli chiede di prendersi cura di Vincent in cambio dell’acquisto mensile di un suo dipinto.
Significativa la scena del film in cui Van Gogh spiega a Gauguin il suo modo di sentire nel dipingere: “Mi sento perduto se non ho niente da osservare. Ho bisogno di qualcosa da vedere, c’è così tanto da vedere-egli afferma-L’essenza della natura è la bellezza. Quando guardo la natura, vedo chiaramente quel legame che unisce tutti noi. Un’energia pulsante che parla con la voce di Dio. Non invento il quadro, non ho bisogno d’inventarlo, lo trovo dentro la natura, devo solo liberarlo. Ho bisogno di uscire all’aperto e lavorare per dimenticare me stesso. Voglio perdere il controllo, ho bisogno di sentirmi in uno stato febbrile. Più dipingo velocemente, più sto bene. I quadri vanno fatti con un solo gesto netto. I pittori che ammiro, Frans Hals, Goya, Velázquez, Veronese, Delacroix, dipingevano tutti velocemente, con un gesto netto a ogni colpo di pennello”.
Lo stesso titolo scelto, Sulla soglia dell’eternità, evidenzia la vita di un artista che si dedicò con fatica e passione alla pittura, una passione spesso incompresa e derisa che fu apprezzata solo dopo la morte, come egli stesso aveva previsto nel corso di un dialogo con un prete (Mads Mikkelsen) durante la sua degenza in manicomio.
Un artista senz’altro “diverso”, più che pazzo forse un visionario incompreso,spinto da una vocazione, dal daimon che sollecita l’anima a creare, come insegnano Platone nel Mito di Er e James Hillman nel “Codice dell’anima”.
Ecco un’intervista a W.Dafoe. (da rainews.it)