Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

27/12/24 ore

La caduta degli dei nel 'Reality' di Garrone


  • Florence Ursino

“Ha la funzione di agire da catalizzatore dell'amore, della paura e della venerazione” scriveva Emmanuel Goldstein, nel '1984' orwelliano, a proposito del Big Brother. Ed è dunque a lui, al Grande Fratello che, nel 'Reality' di Garrone, si rivolge Luciano, pescivendolo e truffaldino napoletano, bramoso di attrarre su di sé l'occhio magnetico della celebrità.

 

Perchè l'unica possibilità di riscatto, per Luciano, è una piccola pallina nascosta sotto uno dei campanellini di vetro del banchetto della vita, dentro 'La Casa' più famosa d'Italia. Fama, nel vocabolario del ventunesimo secolo, è sinonimo di apparenza, e l'apparenza ha la stessa taglia della miseria, ma veste abiti più preziosi.

 

Perciò 'l'uomo comune', l'uomo che sogna, si trasforma in un sonnambulo dagli occhi spalancati e dalle membra mosse da incontrollata ambizione: il desiderio diventa percezione distorta, ossessione che sostituisce la luce del sole con un potente faro mentre il confine tra vita reale e sua affannosa imitazione risulta sempre più sfocato.

 

Garrone regala al pubblico l'antagonista perfetto del buon Truman, che più di un decennio fa Peter Weir aveva intrappolato a sua insaputa tra finte lune e oceani inesistenti: in 'Reality' è l'inconsistenza morale di Luciano, la sua tragica vacuità, ad edificare con le materie prime dell'immaginazione un gigantesco set in cui si aggirano i grotteschi personaggi di una favola nera.

 

Dà l'impressione di provarci all'inizio, il regista di 'Gomorra', ad invadere il mondo del suo protagonista, restituendogli qui e lì brandelli di realtà, ma Luciano è affamato di miti decaduti, il richiamo del flauto di Pan è per lui irresistibile mentre delirante ricerca l'orgia mediatica.

 

E ogni dettaglio, nel film di Garrone, dalle musiche del maestro Alexandre Desplat alla chiassosa fotografia, dall'invadenza della camera puntata sul viso del protagonista alla recitazione impeccabile di quest'ultimo, contribuisce a ricostruire questo patetico baccanale in cui Luciano è solo il simbolo di un'umanità che ha ucciso (dimenticando poi di averlo fatto) gli antichi dei dell'Arcadia, rimpiazzandoli con nuovi eroi con abiti divini e vuoti corpi di legno e plastica.


Aggiungi commento