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22/11/24 ore

Il processo ai Chicago 7, di Aaron Sorkin. Tra passato e presente


  • Giovanna D'Arbitrio

Il processo ai Chicago 7 (The Trial of the Chicago 7), disponibile su Netflix, scritto e diretto da Aaron Sorkin, ha ottenuto 5 candidature a Premi Oscar, 5 candidature e vinto un premio ai Golden Globes, 3 candidature a BAFTA e altri pregevoli riconoscimenti. Il film descrive il processo ai cosiddetti Chicago Seven, un gruppo di attivisti contro la guerra del Vietnam accusati di aver causato lo scontro tra manifestanti e polizia, avvenuto il 28 agosto 1968 a Chicago, durante la convention del Partito Democratico.

 

Le prime immagini mostrano Abbie Hoffman (Sacha Baron Cohen), Jerry Rubin (Jeremy Strong), Tom Hayden (Eddie Redmayne), Rennie Davis (Alex Sharp), David Dellinger (John Carroll Lynch), Lee Weiner(Noah Robbins), John Froines (Daniel Flaherty) e Bobby Seale (Yahya Abdul-Mateen) mentre si preparano ad andare a Chigaco per partecipare alla suddetta manifestazione.

 

Cinque mesi dopo vengono arrestati e accusati di aver incitato i partecipanti alla rivolta. Intanto John N. Mitchell (John Doman) il procuratore generale, chiede a Tom Foran (J. MacKenzie) e Richard Schultz (Joseph Gordon-Levitt) di assumere il ruolo di pubblica accusa nel suddetto processo, imponendo loro di usare ogni mezzo per far condannare gli imputati per espressa volontà del presidente Johnson.

 

Tutti gli imputati sono difesi da William Kunstler (Mark Rylance) e Leonard Weinglass (Ben Shenkman), tranne Bobby Seale, co-fondatore del movimento delle Pantere Nere, il cui avvocato è ricoverato in ospedale: il giudice Julius Hoffman (Frank Langella) non gli concede né un nuovo avvocato, né di difendersi da solo, benché si dichiarasse estraneo ai fatti essendo stato a Chicago solo per quattro ore, prima che scoppiassero gli scontri.

 

Durante il processo, chiaramente irregolare, emerge l’odio razziale del giudice che arriva a far trascinare Bobby in aula incatenato e imbavagliato (immagine che ci riporta purtroppo a fatti recenti), nonché la sua determinazione a favorire la condanna degli imputati, rimuovendo con falsi pretesti due giurati e impedendo con ogni mezzo di arrivare alla verità

 

Intanto scoppiano contrasti e discussioni tra il gruppo degli Hippy guidati da Abbie Hoffman e Jerry Rubin e quello degli studenti democratici capeggiati dal futuro politico Tom Hayden, mentre cercano di ricostruire le dinamiche dei violenti scontri con la polizia durante la manifestazione che era nata con intenzioni pacifiche. 

 

Gradualmente avvocati e imputati comprendono che si tratta di un processo politico per colpire esponenti della cultura giovanile progressista travisando i fatti della violenta repressione della manifestazione. 

 

Decidono quindi di chiedere chiarimenti in merito a Ramsey Clark (Michael Keaton) ex procuratore generale che accetta di testimoniare al processo confermando i dubbi su un processo politico, organizzato per colpire gli organizzatori della protesta contro la guerra nel Vietnam. Anche in questo caso, tuttavia, interviene il giudice che fa svolgere la testimonianza solo in fase preliminare e senza la presenza della giuria.

 

Il processo si conclude con una condanna di 5 anni di carcere per ciascun imputato e la concessione, secondo l’usanza, di un’ultima breve dichiarazione da parte di un rappresentante scelto dagli imputati. La parola viene data a Tom Hayden che legge i nomi di circa 5000 caduti in Vietnam mentre il processo era in atto.

 

Senza dubbio il film è molto coinvolgente, merito di una sceneggiatura che si avvale di ritmi serrati e veloci e dialoghi brillanti in cui toni drammatici si alternano a sarcastica ironia. Un film che fa riflettere sui valori di Libertà e Giustizia che vanno sempre difesi contro imprevedibili attacchi di forze illiberali presenti anche in Paesi democratici.

 

A quanto pare l’idea del film è stata suggerita al regista da Steven Spielberg diversi anni fa. “Devo ringraziare Steven che mi ha incoraggiato a dirigere il film (…) - ha affermato - Se guardiamo le foto in bianco e nero scattate nel 1969 fuori dal tribunale, vediamo gli oppositori e i sostenitori dei Chicago 7 con cartelli che alternativamente recitano “America: Love It or Leave It”, “What About White Civil Rights?” e “Lock ’Em Up”: un déjà-vu allucinante con quello a cui assistiamo adesso. Ho pensato subito a quanto questo fosse rilevante, a quanto Il processo ai Chicago 7 non sia una lezione di storia, ma il racconto dell’America di oggi”

 

Ecco il sito con l’intervista e il trailer del film (da RollingStone)

 

 


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