Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

22/12/24 ore

Giulia, di Ciro De Caro. Il disagio di stare con gli altri



di Maurizio Musu

 

Giulia è un film del 2021, diretto da Ciro De Caro uscito nelle sale cinematografiche a febbraio del 2022

 

Il film racconta la storia di Giulia nell'immediato post lockdown. Periferia romana, Giulia, in seguito alla rottura con il fidanzato, si ritrova sola, senza casa, senza lavoro. 

 

Inizia così un susseguirsi di vicende che narrano disagi interiori oltre che materiali. La ricerca di una casa, di un lavoro, di affetti stabili porteranno Giulia a confrontarsi con le difficoltà del momento e con chi, come lei, ha la necessità di ritrovare una stabilità affettiva, sociale, economica che la pandemia ha spazzato via.

 

Sergio, Ciovani, Alessandro, sono, come Giulia, alla ricerca di una nuova vita che possa dare un senso al presente prim'ancora che al futuro.

 

Ciascuno con la necessità di sbarcare il lunario e di sentirsi parte di un tempo che risulta avulso nel suo essere indifferente alle necessità individuali.

 

Le immagini come i dialoghi risultano spesso manierismi faticosi da seguire; la città post lockdown appare desolante, sporca, silenziosa, abbandonata ma nel suo essere tramortita, lentamente prova a riprendere luci colori, vita. Non così per i personaggi, visibilmente ancorati ad un pre pandemonico in cui ruoli e status risultavano ben definiti.

 

Visibilmente sotto lo shock, Giulia parte la ricerca di una nuova vita alla quale aggrapparsi disperatamente, una rincorsa spasmodica, deludente, corrosiva che condurrà la stessa verso situazioni al limite ed un destino già scritto.

 

Ciò che appare evidente allo spettatore, fin dalle prime scene, è il disagio umano di Giulia. Un disagio che diventa via via sempre più ansiogeno, claustrofobico, al punto che lo stesso ne risente come un senso di orticaria, fastidioso.

 

Verrebbe quasi voglia di andare via dalla sala del cinema ma sarebbe come dare ragione all'impossibilità di salvarsi da quel senso di disagio e malattia che la protagonista vive e  rappresenta.

 

Verrebbe da dire che indagare l'intimità dell'essere umano dovrebbe essere sinonimo di possibilità, cura, ricerca, quanto, invece, per la protagonista e  il regista non lo sono. L'idea personale è che il film non tenga conto di questi aspetti, anzi pare relegare la questione dell'umano ad un più generico disagio sociale, causato dalla pandemia.

 

Un nuovo status sociale di appartenenza, un po' come far parte di una classe sociale o un'altra.

 

Semplicistico quanto ingiusto.

 

È una irriverente genuflessione al malcostume sociale in cui la malattia mentale, che sia depressione o altro, è considerata come qualcosa di cui è meglio tacere e da tenere sotto il tappeto.

 

Per questo rimanere fino alla fine della pellicola è un valido esercizio di stile nei confronti del film, decisamente poco appetibile al grande pubblico e forse anche a quello "colto". È bene asserire che questo film è un mal riuscito lavoro sia sugli effetti e le difficoltà del post quarantena, sia su un più reale disagio dell' umano che pare presente da prima della pandemia.

 

Giulia, e non solo lei, agli occhi dello spettatore, evidenzia i segni di una forma acuta di depressione! E chi non lo sarebbe e chi non lo è stato.

 

Perdita del lavoro. Perdita del fidanzato. Isolamento forzato. Giulia, come ciascuno di noi, ha dovuto fare i conti con la fatica della solitudine e di un rapporto già evidentemente logoro e corroso nelle sue fondamenta.

 

Noi tutti abbiamo dovuto fare i conti con la realtà. La pandemia, in alcuni casi, ha solo dato il colpo di grazia. Così per la protagonista.

 

Emblematiche a tal proposito sono la scena di Giulia e del fidanzato sulla questione maternità, o la stessa che si presenta a casa della sorella dell'ormai ex fidanzato.

 

Sono le scene dell'assurdo di beckettiana memoria ma che dal grande maestro prende solo la citazione e poco altro. Qui il regista evidenzia una preoccupante dissociazione della protagonista nei confronti del reale, potremo definirla schizofrenica o un limitare ad essa! Invece qui vengono raccontate come semplici manifestazioni post isolamento come conseguenze dello straordinario.

 

La controparte non ci è data ma le immagini ad un occhio competente appaiono ben diverse. Nel loro svolgersi non viene mai menzionata la possibilità di una ricerca personale volta alla conoscenza e comprensione del proprio stato mentale. Giulia è alla costante ricerca di rapporti ma sono evidenti le difficoltà. I rapporti chiedono una presenza attiva che Giulia non è in grado di dare, tantomeno ricevere.

 

Sfugge al sé come all'altro.

 

Lo spettatore è davanti al disagio dell'umano che forse inizia con la fine della quarantena ma tant'è che chi scrive si pone la domanda se Giulia, e tanti altri come lei, evidenzi segni di una malattia mentale sulla quale si è fatto poco o nulla nel dopo quarantena. 

 

È evidente lo scollamento dal reale da parte di Giulia così come le difficoltà di comprendere e aiutarla di chi le sta vicino.

 

Si precisi che lo scollamento citato non è il surreale immaginifico del regista, come è già stato evidenziato più sopra, ma la rappresentazione di una malattia vera e concreta al punto che il suicidio appare la soluzione unica.

 

Una sentenza che non accetta possibilità e cura.

 

Il tema è scottante, la trama un po' meno, attrice e attori rimandati a nuove pellicole.

 

Perché vederlo? Forse, e si sottolinea il forse, perché ciascuno di noi nel vivere la quarantena ha dovuto fare i conti, durante e dopo, con il proprio sé e con i vari rapporti.

 

 


Aggiungi commento