di Giulia Anzani
A fronte della lettura, e relativa recensione, del libro “Avvocata, io ti racconto”, ho posto alcune domande mirate all’autrice, Francesca Sesti…
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In qualità di legale, che emozioni scaturiscono dall’ascolto di un certo tipo di storia? Com’è l’impatto, il primo incontro con la vittima?
Si dice che tra l’avvocato e il proprio assistito debba “esserci di mezzo il tavolo”, nel senso che bisognerebbe mantenere un certo distacco rispetto alle vicende che vengono sottoposte. Io, quest’insegnamento, mai l’ho recepito. Soffro e lotto insieme al loro; con loro vivo emozioni fortissime. A volte m’immedesimo un po’ troppo e, tuttavia, continuo a pensare che senza empatia non ci si possa occupare di diritto di famiglia. Serve l’impatto iniziale, è fondamentale per verificare che scatti il feeling tra avvocato e assistito. La sintonia tra le due figure è necessaria.
Donne che “inventano” ce ne sono, e fanno un gran danno a tutte le donne che soffrono e patiscono realmente… anche questo bisogna capire, la credibilità della persona che ho di fronte. Alla fine del primo appuntamento si aprono due strade: o invito gentilmente il cliente a rivolgersi ad un altro legale o sposo totalmente la sua causa. Non può esserci una via di mezzo.
L’idea di scrivere un libro è sempre stata latente, o ti è venuta come un’illuminazione? Insomma, hai avuto voglia di scrivere e hai trovato le storie, o sono le storie che ti hanno trovata e portata a farne un libro?
Mi è sempre piaciuto scrivere. Ho frequentato un laboratorio di scrittura in RAI che ha accentuato e consolidato questa passione. Non so mai cosa effettivamente scriverà, e men che meno cosa ne farò del mio testo. Prendo la penna, accendo il computer o il telefono e sì… direi proprio che sono le storie a venirmi a cercare, hai colto nel segno.
L’idea del libro, però, è dei miei compagni di liceo che mi hanno ripetutamente invitata a raccogliere in un volume i lunghi messaggi - veri e propri racconti brevi - con cui li tedio da anni, generalmente all’alba, sul nostro gruppo WhatsApp.
Scrivere è qualcosa che fa scavare molto a fondo in qualcosa. Tu cosa hai imparato da questa esperienza?
Ho imparato che tutte le storie e tutte le persone un po’ si assomigliano. Nessuno può dirsi immune da certi meccanismi, anche perversi, che si avviano quando sono coinvolti sentimenti forti, quando da un giorno all’altro crolla il progetto di tutta una vita insieme.
Prendi, per esempio, donne molto negative protagoniste dei miei racconti, come quelle che, dinanzi al tradimento e relativo abbandono del marito, hanno strumentalizzato i figli. Mi sono domandata spesso: Ssei sicura che tu non avresti fatto la stessa cosa?”, e la risposta è stata: “No, non sono affatto sicura”. Queste domande non me le sono poste come avvocato, quando scrivevo gli atti di causa… ma come donna, che scrive vicende di altre donne, e scava dentro se stessa.
Hai conservato un rapporto con le donne di cui racconti, o con alcune di loro? Se sì, che tipo di rapporto è?
Con le “mie donne” conservo sempre un rapporto speciale perché, come dicevo prima, seguo soltanto le persone con cui mi sento in sintonia. Passata la bufera, il rapporto cambia e possiamo permetterci anche il lusso di scherzare, di parlare di politica (non è un caso che la pensiamo sempre allo stesso modo), di raccontarci dei nostri figli.
È un rapporto alla pari, in cui non ci sono più l’avvocato e l’assistito, ma due donne che hanno semplicemente scelto di essere amiche.
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