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22/12/24 ore

Cristiano Berti e il suo ‘Eredi Boggiano’ al Goethe Institut Roma, conversazione con Viviana Gravano



di Giulia Anzani

 

Metà febbraio: un freddo pungente e un cielo terso avvolgono il Goethe Institut, a due passi da Porta Pia. Nel pieno della settimana di riflessioni e iniziative sui crimini e sulle eredità del colonialismo italiano, organizzata dalla “Rete Yekatit12-19 febbraio”, il prestigioso istituto di tedesco è uno dei luoghi che ospita uno dei tanti eventi che s’inseriscono nel programma: la presentazione di Eredi Boggiano, il nuovo libro di Cristiano Berti edito Quodlibet, in conversazione con Viviana Gravano.

 

Berti è un artista visivo, insegnante alle Belle Arti di Macerata e scrittore. Il suo progetto, chiamato Cicli Futili e di cui Eredi Boggiano è il secondo volume, riguarda la storia e la ricerca storica, compreso il suo significato al giorno d’oggi.

 

Eredi Boggiano racconta di uno schiavista italiano, Antonio Boggiano che, come recita l’aletta anteriore del libro, fu: “Committente di un bell’altare di marmo bianco che si trova oggi nella chiesa più importante di Trinidad. Padre severo eppure amorevole di numerosi figli e figlie. Un uomo che prima di terminare l’esistenza, e cadere nell’oblio, ha lasciato numerose prove del suo laborioso cammino: tracce facili da scoprire con gli strumenti della ricerca storica, che in casi come questo paiono essere ben affilati, e capaci di incidere in profondità. Ma vi è pure dell’altro, e a ben vedere è questo che maggiormente resta di Boggiano. Un seme dei tempi della colonia, intriso di avidità e cattiveria, che nel tempo si è trasformato e, perpetuandosi, ha perduto il gusto amaro delle origini”.

 

È un libro d’artista ma anche un saggio, come mi spiega lo stesso Berti in una conversazione appena prima dell’inizio della conferenza: “Ho voluto intenzionalmente sottrarre questo libro a tutte le convenzioni che un libro d’artista ha: non ha un mercato ristretto, ma viene normalmente distribuito attraverso i canali di distribuzione. L’ho privato di immagini mantenendolo sulla linea saggistica dell’editore. Tutti i lavori dei Cicli futili hanno la caratteristica di far rapportare tra  loro ricerca artistica e ricerca storica: non si tratta solo dell’artista che si accontenta di leggere il libro di storia e fare un’opera a riguardo, ma dell’artista che concepisce la ricerca storica come atto artistico in sé, necessario per poter costituire il materiale della propria elaborazione artistica”.

 


 

Alle spalle della creazione del libro, c’è un importante lavoro di ricerca. Berti mi racconta che si tratta di “un’operazione con valenza scientifica: le affermazioni che faccio derivano dallo studio di documenti, quindi sono verificabili. Il modo di proporre queste informazioni è, invece, non sempre coerente al modello accademico del saggio”.

 

Viviana Gravano, a presentazione iniziata, ci fa entrare nel vivo della storia che Berti ha così accuratamente studiato: il colonialismo in Italia.

 

Noi tutti sappiamo che il colonialismo in Italia è stato inconsciamente rimosso. Il colonialismo ha modellato noi come Nazione e come individui”, spiega. “Il colonialismo è stato fascista, ma non solo: siamo stati colonialisti dal giorno dopo dell’Unità d’Italia. Nel libro, Cristiano parla di un individuo, Boggiano, che fa qualcosa di incredibile, che noi mai potremmo immaginare. Se parlando di tratta atlantica e schiavismo io vi dicessi “fatemi il nome di un italiano implicato”, la risposta sarebbe “gli italiani hanno tanti torti, ma non è che sono schiavisti”… e invece lo sono stati eccome, in tantissimi posti per giunta”. Il punto è, insomma è che “l’Italia non fa i conti con nessun suo passato e miracolosamente tutti noi diventiamo, come scriveva Angelo Del Boca “Italiani brava gente”.

 


 

L’abitudine di nascondere la polvere sotto al tappeto, di far finta che i problemi non esistono in virtù di una bell’apparenza. Atteggiamenti pienamente italiani, forgiati su anni e anni di omertà e di silenzi.

 

Questo prezioso lavoro di Cristiano Berti è l’occasione per fare luce su uno dei periodi più oscuri della storia mondiale, accendendo un faro da puntare in particolare sul nostro Stivale - da cui abbiamo accuratamente tolto il fango calpestato nei secoli - facendoci prendere coscienza delle ambiguità troppo a lungo reiterate.

 


 

 


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