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06/11/24 ore

Pane e Pace, così la nostalgia blocca l'innovazione


  • Silvia Soligon

 

“I migliori alleati delle cattive multinazionali oggi sono i bravi ambientalisti”. Conclude così il suo libro “Pane e PaceAntonio Pascale, agronomo, scrittore, giornalista e collaboratore del Ministero delle Politiche Agricole. Libro pensato – non lo nasconde nemmeno l'autore – per parlare di quegli Organismi geneticamente modificati (Ogm) che secondo molti minacciano l'agricoltura italiana e la salute di chi li potrebbe mangiare.

 

Gli spunti di riflessione offerti da Pascale partono da una conversazione dello scrittore con il figlio tredicenne che, dopo un incontro scolastico con una dietologa, è tornato a casa con un'informazione precisa: i principi su cui si basa un'agricoltura buona e sostenibile sono coltivazioni biologiche, acquisto di prodotti tipici e consumo a chilometro zero. I principi, racconta l'autore, che governavano l'agricoltura ai tempi del nonno, quando le preoccupazioni maggiori erano il cibo e la fame.

 

Il nonno anche sul letto di morte parlava di cibo. Il fatto è che i suoi prodotti erano sì tipici, coltivati con le sue mani nel suo piccolo orto, naturali e così via, ma non eccellenti. Né per quantità né per qualità”.

 

Poi arrivarono agrofarmaci e diserbanti e l'uomo iniziò a incrociare le diverse varietà per ottenere piante più resistenti o più produttive, operando una “ingegneria genetica” ante litteram, perché “scegliere un carattere perché sembra utile e vantaggioso per noi significa scegliere un gene (o più geni) che regola quel carattere. (…) Si tratta di 'ingegneria genetica'”. Questa forma di ingegnerizzazione è oggi ben accetta, ma quando il suo pioniere italiano, Nazareno Strampelli, la propose dovette lottare contro il parere sfavorevole dei più.

 

Insomma, quello che emerge dalle pagine di questo libro è, al di là dell'opinione dei singoli sulle piante geneticamente modificate, l'esistenza di un atteggiamento profondamente radicato nell'opinione pubblica italiana, che in campo agroalimentare sembra costantemente spaventata più dall'innovazione in quanto tale che dal reale contenuto dell'innovazione stessa.

 

Non solo, la predisposizione nostalgica nei confronti dell'agricoltura del passato farebbe perdere di vista il fatto che anche in campo agricolo le innovazioni nascono per risolvere un problema e che chi, come il nonno dell'autore, non aveva a disposizione i mezzi dell'agricoltura moderna, con tutta probabilità non rinuncerebbe, una volta toccati con mano i suoi vantaggi, all'innovazione.

 

“C'è la possibilità concreta che non ci ricordiamo più com'era magari solo quaranta, cinquanta, sessant'anni fa – sottolinea Pascale -. La memoria si è perduta e al suo posto sono sorte immagini idealizzate perché, si sa, ogni rimozione genera un'idealizzazione”. Ma i problemi non sono solo questi.

 

La disinformazione e il passaggio di informazioni errate non fanno altro che aggravare la ritrosia nei confronti degli Ogm. Spesso si sente parlare delle piante migliorate geneticamente come di “organismi segretati”, di piante contenenti virus o di “semi Terminator” che costringono gli agricoltori ad acquistare ogni anno le sementi dai produttori. Pascale spiega in modo semplice, ma rigoroso, gli errori nascosti dietro a questo tipo di comunicazione, giungendo alla conclusione che “se non si abbasserà la dose di paura che in genere le associazioni ambientaliste e la sinistra tendono a iniettare nel bravo consumatore, costui chiederà tanti costosi e inutili controlli e questi limiteranno l'accesso al mercato di altre aziende biotech”.

 

Proprio così potrebbe diventare realtà ciò che tanto si teme: il monopolio delle multinazionali.


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