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26/12/24 ore

MusiCapodimonte



di Adriana Dragoni

 

L'avevo ascoltata cantare, vestito nero e scialle rosso, in una piccola chiesa, la Cappella dei Massa, dalle parti del Mercato, a Napoli. Quello del Mercato è un rione popolare. Quattro o cinque monelli sostavano all'ingresso della chiesetta ragionando sul da farsi per mettere la cantante in imbarazzo. E iniziavano a mormorare, a fare smorfie. Lei non si scompose. La ammirai. Perché, senza smettere di cantare, con un cenno invitò i monelli a venire verso l'altare e a cantare con lei canzoni napoletane, le più conosciute. E quegli scugnizzi, obbedienti, intonarono con lei un piccolo concerto.

 

Mi venne in mente questo episodio quando mi presentarono Aurora Giglio, dicendomi “dalle una mano”. Lei cercava artisti di strada interpreti di canzoni popolari napoletane. E allora, per prima cosa, le suggerii quella signora che mi aveva affascinato per la sua bravura nel canto e la sua prontezza. Gliela descrissi: capelli neri, rotondetta… Mentre le parlavo, guardavo Aurora Giglio... in effetti le somigliava... Mi disse: “Ma quella che descrivi.. dove la hai sentita?” “ Nella Cappella dei Massa” risposi. E allora lei: “Ma quella ero proprio io!”.

 

Adesso era diventata direttrice di MusiCapodimonte, un'associazione creata per volontà di Sylvain Bellenger, direttore della Reggia-Museo e del Real Bosco di Capodimonte, che ne aveva affidata a lei la direzione. Aurora ne era contentissima. “Da più di vent'anni - racconta - ero andata in giro, come una madonna pellegrina, elemosinando, da questa o da quella Istituzione, un luogo dove suonare, studiare e promuovere la canzone popolare napoletana. E ora questo luogo mi veniva offerto, per di più in una sede prestigiosa”.

 

Così si era trovata a far parte, dapprima senza saperlo, di un disegno più grande di lei, in cui il suo progetto era un tassello che si inseriva precisamente. Prontamente Aurora vi si è adeguata, allargando le sue competenze.  E ha seguito e realizzato intelligentemente e con prontezza  le indicazioni che le venivano date.

 


 

Quello di Bellenger è un vasto progetto culturale, le cui finalità sono state enunciate anche nel titolo del recente Convegno internazionale “Napoli, il Museo e il Real Bosco di Capodimonte nel contesto mondiale”. E che già si è mostrato chiaramente, nella mostra, a Capodimonte, dell'opera più grande (metricamente) di Picasso: Parade. Bellenger l'ha organizzata quest'anno per evidenziare, con il centenario, l'arrivo dell'artista a Napoli nel 1917. È un episodio della vita di Picasso poco o per nulla studiato. Questa mostra ne ha evidenziato l'importanza, precisando l'influenza che il soggiorno napoletano ha avuto su Picasso e anche, attraverso di lui, sulla storia dell'arte in generale.

 

Appunto in questa occasione Bellenger volle che l'evento fosse vivacizzato da un teatrino delle guarattelle (= delle marionette che vengono mosse con le mani guantate), da Pulcinella e dalle canzoni della posteggia napoletana, cioè da quegli elementi della cultura popolare che avevano emozionato, a Napoli, l'artista franco-spagnolo. Aurora Giglio partecipò alla presentazione dell'evento con il suo bagaglio di esperienze. Ed ecco come è iniziata MusiCapodimonte, che ha dato prova di sé organizzando diverse manifestazioni popolari o dando un tono vivace a impegnativi eventi culturali.

 

Tuttavia, se Bellenger volesse considerare il folk napoletano soltanto nella sua piacevolezza, il suo progetto culturale sarebbe ben poca cosa. Ma il folk napoletano risale all'antichissima cultura della Grande Grecia, propria delle antiche poleis, che è conservata soprattutto nella città che per sei secoli ne fu la capitale. Ed è ancora lo scrigno nascosto di quella cultura vitalissima, che segue una logica più libera, più duttile, di una realtà più ampiamente umana.

 

Che, con la sua verità, ha ragione sulla ragione stessa. Perciò Napoli è diversa. Ha un mentalità diversa da quella che oggi è di tutta Europa se non di tutto il mondo occidentale. E non è detto, perciò, che sia una mentalità arretrata, sebbene di questo la si accusi ancora, secondo un concetto sbagliato di progresso.

 


 

E Bellenger ha compreso bene il profondo legame che esiste tra la cultura napoletana alta e quella d''o populo vascio, che dell'altra è l'origine e la conseguenza.

 

O, meglio, esisteva. Adesso gli stessi “intellettuali” napoletani si sono convertiti in maggioranza ad una unilaterale interpretazione dei fatti, che gli è imposta attraverso le Istituzioni pubbliche, politiche e culturali. E la cui azione si esplica molto chiaramente nella scuola e nelle università italiane, dove i libri di storia, di letteratura, di matematica e di arte non riportano nulla,  se non delle deformazioni, della grande cultura napoletana del passato.

 

Occorrerebbe una rivisitazione critica della storia scientifica, letteraria e artistica meridionale, fatta senza pregiudizi e con amore per la verità. Una rivoluzione culturale che però è osteggiata da presuntuosi parrucconi, che temono di perdere i loro privilegi.

 

Cosicché oggi siamo ridotti a ricercare la versione originale del pensiero di Parmenide, rivisitato da Aristotele, o di Vico, più recentemente alterato, nella cultura d' o' populo vascio, che la conserva ancora, nonostante la scolarizzazione forzata (ma spesso elusa).

 


 

E che, nei costumi e nel linguaggio, rivela la concezione di un tempo immanente. Ad esempio, nel Presepio, nel culto dei morti che sono sempre vivi e in quella sintassi grammaticale che ama soprattutto il presente anche quando spera nel futuro.  E ... “speramme ca  l'anno che vène é nu poco meglio”.

 

D'altronde una canzone svela: “Carmé....dimane è surtanto speranza”. Perché in questa Napoli eretica la vita si vive nell'oggi, questo è il suo grande segreto, e si evolve; ma il futuro non esiste e i morti stanno qua perché il paradiso non c'è nell'inesistente aldilà.

 

 


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