Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

14/11/24 ore

Jazz Reset



di Raffaele Cascone

 

Le plebi partecipi degli attuali processi “a catastrofe” di mediatizzazione avanzata del pianeta e dell’Antropocene con riscaldamento climatico e emergenza pandemica a cui ha fatto seguito il rischio in costante escalation di III guerra mondiale con olocausto nucleare e estinzione della vita sul pianeta, a tutt’oggi non manifestano iniziative che permettano di salvare la pelle agendo in modo da determinare cambiamenti in direzione di un’inversione di tendenza.

 

Questa passività e inerzia nei confronti della escalation contemporanea verso disastri e vessazioni di ogni tipo è correlata agli stati di attesa in tensione, alla valanga di immagini indotte dai dispositivi elettronici e alle relative perturbazioni del ritmo circadiano determinate dall’immobilità, dalla fissazione e dalla saturazione da stimolazione oculare e sensoriale durante i trasporti, dall’uso degli schermi luminescenti e dagli spettacoli della realtà. 

 

Questo stato di attesa in tensione, sotto stimoli saturanti, tende a generare, nel contempo, costante ricerca di nuovi stimoli artificiali e artefatti nonché comportamenti astenici di evitamento passivo degli altri. Si tratta di una sindrome complessa che incardinata com’è a vari livelli scalari nell’individuo e nella vita sociale, su vari livelli biologici, relazionali, psiconeurologici, epigenetici e mediatici e sulle loro zone di confine, elude la presa delle singole competenze e discipline, rendendo difficile porre rimedi. 

 

Lo spettatore-consumatore terminale (entità che sussiste solo in un mercato pubblicitario e solo in quanto co-sto-contatto) si trovi cronicamente in questo stato alterato di coscienza, una sorta di euforia catatonico-ipnoide indotta dagli schermi. Vivendo ormai nel Metaverso da molto prima che qualcuno si sia presa la briga di teorizzarlo e di implementarlo, il plebeo elettronico percepisce sé stesso come immortale mentre, sprofondato nella sua poltrona, non sperimenta i vin- coli terreni della sua corporeità in decadimento a cui sostituisce l’esistenza degli atletici personaggi e delle loro avventurose vicende sullo schermo con cui esclusivamente coesiste, simpatizza e si identifica.

 

Mentre i media rappresentano persone e cose in modo caricaturale e noi stessi ci diamo da fare per apparire sempre di più come gli attori dei media, e ci adeguiamo alle loro trame, e alle loro vicende, i dispositivi della globalizzazione finanziaria ed economica, dei trasporti intercontinentali, della Rete e degli schermi ci fanno esistere in un sistema di relazioni e di connessioni, a grande distanza, con entità e attori umani e non umani, biologici e non biologici e ci consentono di essere più a nostro agio, rassicurati e confortati, convivendo con i tagliatori di teste a 4k del Borneo che non con i dirimpettai di pianerottolo dei nostri condomìni, covi di insospettabili psicopatici criminali.

 

Plebizzazione globale, induzione di trance e stati alterati di coscienza nella masse, insieme ai tentativi in corso di imposizione di un monismo convenzionale, non sono per niente nuovi, come non è per niente nuovo l’uso di dispositivi mediatici per implementarli: si parta dal presente non solo nelle dittature correnti ma anche nei Paesi a più alta densità mediatica al mondo come gli Stati Uniti ed anche l’Italia, risalendo al maccartismo in America, al peronismo in sud America, al nazismo, al fascismo, fino al medioevo. 

 

Non sono nuovi nemmeno il conformismo integrale, l’accettazione passiva e sciroccata, l’identificazione con il comando e con il controllo e infine la frenesia di salire sul carro del vincitore. Ciò che è nuovo non è nemmeno che il luogo dell’esistenza sia virtuale e coincida con il Metaverso.

 

La novità è che le oligarchie e Big brother impongano che non ci sia altro che ciò che il Convenzionale vede e decide che esista, che non esista nient’altro e che chiunque ne dubiti, affermi o rappresenti altro, sia considerato il nemico, il sostenitore di tutti i nemici e il pericolo per l’esistenza del mondo e della “realtà” ufficialmente definita e verificata. 

 

Il modernismo, d’altronde mai realizzato, aveva tentato di dividere l’umanità, su scala nazionale ed internazionale, tra moderni, da un lato, aderenti alla verità meccanicistico-razionalista scientista, e non moderni, dall’altro, superstiziosi, creduloni, arretrati, selvaggi, e pertanto da sradicare, rieducare e colonizzare. 

 

Questo tradizionale colonialismo imperialistico che continua nei regimi mediatici odierni è ora arricchito da un neo-modernismo caricaturale e fumettistico, una forma di imperialismo contrabbandato attraverso l’ontologia degradata apparentemente semplificata e riduttiva del: chi non è convenzionale non è “convenzionabile”, non sta soltanto fuori, non è soltanto un outsider, come negli anni ’50. Oggi, semplicemente, chi non è dentro il Convenzionale non ha diritto ad esistere. 

 


 

Si tratta di una pulizia etnico-psichica di stampo orwelliano integrata con immediate implicazioni sul diritto ad esistere in quanto corpi, ai quali viene negata la presenza, innanzitutto nello spazio, (è negato anche un pezzo di terra in cui seppellirsi, meglio che i corpi sprofondino a mare) e poi nel tempo, diritto che viene concesso solo a chi riesca a catturare l’attenzione mediatica. 

 

Negli anni ’50 in pieno maccartismo, mentre l’America si preparava al tentativo, oggi riuscito, di mediatizzazione e disneylandizzazione del pianeta, Billy Burroughs, la Beat Generation e gli hipsters dell’universo del Jazz, invitavano alla disintossicazione mediatica e all’affrancamento delle coscienze dal riduttivismo esistenziale ed epistemologico del mondo convenzionale e a vivere nel modo dell’arte, del jazz. Questo invito e questa apparente semplice apertura di nuove possibilità oggi non sono più adeguati poiché la posta in gioco e i pericoli non riguardano più solo la coscienza, ma la sopravvivenza, l’esistenza in vita. 

 

L’adeguamento verso il basso, la fuga dalla responsabilità, l’orientarsi e il conformarsi attraverso indicazioni convenzionali soprattutto mediatiche, il corrente deficit di attenzione e la sottocultura superficiale che ne derivano sono le caratteristiche dei proto-soggetti contemporanei. Sono indicatori di un’umanità alla deriva e alla mercé di poteri esclusivamente interessati a un’escalation delle condizioni del dominio. 

 

Questo neo-medioevo creerà gli anticorpi della sua salvezza? Nella ricerca di risorse e dispositivi originali robusti, radicati e adeguati ai tempi è probabilmente il momento giusto per dare fondo ad una risorsa quasi dimenticata nella notte dei tempi e affossata dalla nostra subalternità storica nel sud globalizzato: la proposizione di una civiltà basata sull’arte è alle origini della specificità italiana. Ciò può essere compreso solo a seguito di una disintossicazione dalla visione asfittica, mortificante e riduttivistica del mondo convenzionale. 

 

In una sorprendente analogia con le crisi che portarono al suo esilio nel ’300, Dante Alighieri può essere oggi la guida nel nostro per- corso verso la sopravvivenza e verso l’apertura delle possibilità che si presentano solo allorché si “riconosce” e si attiva il contatto con le fonti delle potenzialità. La famigerata testimonianza lettera- rio-mediatica moderna dell’apertura delle porte della percezione da parte dell’inglese, naturalizzato statunitense, Aldous Huxley, de- gli anni ’50, va ridimensionata: se nel mondo anglo-sassone l’attenzione era sul superare i limiti dei quadri ristretti di riferimento con l’apertura delle porte della percezione ed accedere alla ricchezza della pluralità, da noi invece si è ripetuto nei secoli il problema dell’ adeguamento, “adequatio rei et intellectus”, alla pluralità e al parlamento delle cose. Per noi e per i sud del mondo che già viviamo in universi di per sé già aperti, multipli, plurali e conflittuali, c’è necessità da sempre di acquisire anche e soprattutto capacità di contenimento e orientamento.

 

La proposta di Dante, radicata in un’ontologia potente e robusta, è uno degli eventi se non “l’evento” fondante la nostra civiltà: non si tratta della semplice proposta letteraria della psichedelia pragmatica anglo-sassone verso un “espansione della coscienza”. 

 

Il nostro percorso originario di edificazione di civiltà, che è l’embodiment dell’anima, invece, è psicolitico e maieutico solo preliminarmente. A questa prima fase propedeutica, infernale, già in corso nella nostra esistenza globalizzata, fa seguito una successiva in cui il percorso diventa incorpora- to e terrestre, perché “situato” nei tempi e negli spazi: consiste in un’emancipazione dal modo tipico di essere e dal “carattere”, apparati e costrutti che contengono tutto il ciarpame inutile e fuorviante di tutto ciò che è tipico, locale, nazionale, convenzionale e buona parte delle relative convinzioni su cui ciascuno costruisce indipendente- mente la realtà e la verità, senza preoccuparsi di verificarla con gli altri.

 

Anche questo percorso dantesco 2.0 dei nostri anni ’20 si origina dall’inferno della sofferenza, dal processo del de-identificarsi e poi del dissociarsi da modi di essere che non ci appartengono, che non abbiamo desiderato, che abbiamo tanto devotamente accolti in delega da altri per meglio adattarci, fino ad arrivare al punto di allucinarli come nostri e caratteristici della nostra essenza. L’emancipazione che deriva dalla riconquista di questa capacità di meta-linguaggio e di meta-comunicazione è la base della civiltà e dell’arte: la proposizione del nostro reset. 

 

(MuMag / periodico di informazione musicale)

 


 

 


Aggiungi commento