Il teatro insegna. Contro l’attuale tendenza di uniformare tutto e tutti, il tris di spettacoli che, uno dietro l’altro, sta andando in scena allo Stabile napoletano testimonia che il mondo è molto vario e varia anche secondo le epoche e i punti di vista. C’è lo sguardo disincantato in Prima del silenzio di Giuseppe Patroni Griffi, quello compassionevole per un modesto travet ne Il cappotto di Nikolaij Gogol, e quello beffardo verso la borghesia superficiale, polemica e inconcludente della Parigi della belle époque ne On purge bébé, ovvero La purga, in scena dal 10 al 15 dicembre.
Autore ne è quell’impertinente, effervescente creatore di farse e vaudeville che è stato Georges Feydeau (1862/1921). Qui il sipario si alza su una stanza vista di sghimbescio, forse un soggiorno, si pensa: qualche quadro alle pareti, serie di vasi di varie dimensioni sulle mensole, bianchi sedili intorno a un tavolo; soltanto un lavandino, accostato a una parete laterale, sembra stonato.
Ma solo a tutta prima. Prima che ci si accorga, stupiti, che i bianchi sedili intorno al tavolo sono tazze da gabinetto e i vasi sulle mensole pitali e vasi da notte. Bastiano, il protagonista, infatti, interpretato da un brillantissimo Arturo Cirillo, che è anche il regista della farsa, è un produttore di questi oggetti, che vorrebbe vendere al Ministero della Guerra, servendosi del tramite di un funzionario. Lo sta aspettando.
Nel frattempo bisticcia con Giulia, sua moglie. Il loro rapido dialogo, fatto di brevi battute, battibecca sulle parole, fino a diventare assurdo, del tutto privo di senso comune. (Purtroppo accade anche nella realtà di accapigliarsi insensatamente per delle banalità).
Giulia è affetta da mammismo parossistico nei confronti del figlioletto Oreste, detto Totò, un bébé dispettoso e insopportabilmente petulante, che ostinatamente rifiuta la purga che vorrebbe fargli ingoiare, perché, secondo lei, il bimbo ha un problema gravissimo: quel mattino “non ha fatto”, è costipato.
A sua volta Bastiano non è esente da colpe: è un ignorantello superficiale, un imprenditore improvvisato che si illude di avere inventato un materiale nuovo, una porcellana infrangibile che però alla prova si rivela frangibilissima. Il funzionario ministeriale che entra in scena è un tipo accomodante, piuttosto stolido e, lo si scopre alla fine, anche becco.
L’intervento della moglie Giulia e del bébé Totò durante l’incontro tra Bastiano e il funzionario suscita l’imbarazzo di Bastiano. Che lo esprime attraverso il corpo: gesti esagerati, movimenti esagitati, tic, scatti, contorcimenti, immediatamente compresi dallo spettatore. Che, dapprima interdetto, poi stupito, diventa ora comprensivo e simpatizzante verso Bastiano, mentre le sue risate, dapprima contenute nel sorriso, diventano piene e fragorose.
Feydeau ai suoi tempi era considerato un autore di secondo ordine. La sua fortuna critica è iniziata dopo la sua morte, quando l’Accademia, che le aveva rifiutate, mette poi in scena le sue commedie. Che, in Francia e altrove, vengono rappresentate con successo. Alcune sono molto note, perché hanno avuto anche versioni cinematografiche, come Occupe-toi d’Amelie, Occupati d’Amelia, e L’hotel du libre exange, L’albergo del libero scambio.
Feydeau è stato detto critico lucido fino alla crudeltà della borghesia sua contemporanea. Spassionato e (è etimologicamente conseguente) spassoso osservatore della società, descrisse il lato comico di ogni situazione, anche drammatica. In quanto a lui, non volle far parte di questa borghesia, che evidentemente aborriva.
Si dette alla vita mondana, un tavolo sempre fissato al Maxim’s, bagordi, eccessi. Eccessi che lo portarono, con la sifilide, a finire i suoi giorni in una clinica psichiatrica. Forse, alla fine, vien da pensare, è meglio accontentarsi di essere stupidi come un Bastiano o una Giulia, piuttosto che intelligenti e mordaci come il brillante ma miserando Georges.
Adriana Dragoni