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22/12/24 ore

“Antonio e Cleopatra” uno spettacolo in verticale al Mercadante di Napoli



Un palcoscenico in verticale: uno schermo digitale enorme, tutto grigio, grande come il sipario intero. Vi appaiono e vi  si muovono personaggi dal colore di pietra, di una pietra imbevuta di luce: parlanti sculture marmoree. Monumenti, ricordi imperituri di un antico avvenimento epocale, lo scontro tra Oriente e Occidente.

 

I suoi protagonisti furono persone meritevoli di essere onorati dalla Storia, perché ebbero dignità e  "uno spirito grande", come riconosce finanche il rivale Ottaviano ad Antonio morto. Le immagini spuntano qui e là su questo grande schermo, surreali, vivi fantasmi, quasi quali pensieri.

 

A volte le immagini diventano particolari corporei che si dilatano e ingrandiscono a dismisura: una mano che fa un cenno d’imperio, una stretta di due mani che sanciscono un patto, un viso che, bianco, si dilata ingigantito tanto che non entra in questo schermo enorme, una lacrima nera di rimmel che scorre lungo una guancia. Espressioni significative di fatti fondamentali.

 

Si mira all’essenziale, senza perdere la potenza grandiosa del testo shakespeariano che è stato ridotto, impervio impegno, per facilitarne la visione. Grigio e bianco di schiuma è il mare agitato della battaglia di Azio, in cui Antonio viene sconfitto: si agitano i nudi corpi dei combattenti che poi giacciono là, mucchio di giovani cadaveri bianchi, come il gruppo marmoreo di un antico  monumento ai caduti. Si muovono, vivi, sulle tavole del palcoscenico, gli attori.

 

La voce dei personaggi maschili è grave, solenne, ma, lodevolmente, non ha un esagerato tono retorico. I personaggi maschili hanno una postura ben diritta, secondo il peso di un filo a piombo, e gesti dritti e decisi, direi neoclassici: la solennità della gravitas romana è espressa visivamente. Le fanno da contrappunto le movenze sinuose e aggraziate di Cleopatra, la greca regina d’Egitto. La femminilità, l’eterno femminino, a fronte della severa mascolinità; il dolce vivere dell’ellenismo perenne, a fronte del rigore militare dell’antica romanità.

 

Ma Antonio, maschio esponente della romanità, dalla grecità orientale si lascia sedurre. Ha vari pensieri e tentennamenti. Spera nella morte della prima moglie e poi, quando questa muore,  se ne addolora, per sposarsene, tornato a Roma, un’altra (e chi va a scegliere? proprio Ottavia, sorella del suo rivale Ottaviano), per poi dire: "Il mio piacere è là" e tornarsene in Egitto dalla amata Cleopatra.

 

Amata si. E amore fu se Antonio, prima di suicidarsi dopo essere stato sconfitto da Ottaviano, pensa ancora a lei. Se la regina, abbracciandolo, da morto, lo piange e lo chiama amore. Complessità di caratteri, grandiosità di un’epoca. Un dramma grandiosamente drammatico e uno spettacolo meravigliosamente spettacolare. Grande è la capacità d’immaginazione poetica di Shakespeare.

 

Grande immaginazione poetica anche dei realizzatori di questo moderno "Antonio e Cleopatra" che chiude,  in modo splendido, la stagione 13/14 del  Mercadante di Napoli. Luca De Fusco per l’adattamento e la regia, Gianni Garrera  per la traduzione, Maurizio Balò per le scene, Ran Bagno, per le musiche, Gigi Saccomandi per le luci. Bravissimi anche gli attori.  Soprattutto i protagonisti Gaia Aprea e Luca Lazzareschi.

 

Adriana Dragoni

 

 

 


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